Formazione
Quanti punti di Pil valgono i drop out?
Intervita, al termine del primo anno del suo progetto contro la dispersione scolastica, lancia la prima ricerca nazionale per quantificarne l'impatto economico. E per mappare le iniziative e l'investimento del terzo settore
In Italia quasi due ragazzi su dieci abbandonano gli studi. Siamo al 17,6%, ben oltre la media europea che si ferma al 14,1%. Il divario aumenta se guardiamo al Sud, dove la media è del 22,3%, ma anche il Centro-Nord arriva al 16,2%. Nel 2000 l’Europa si prefissò di portare gli early school leavers sotto il 10% entro il 2010: obiettivo fallito, ora quello stesso traguardo ci attende per il 2020. I contorni numerici del problema sono noti, certificati dall’Istat e dal Miur. Più difficile invece è raccogliere in una visione d’insieme quello che si sta facendo per contrastare l’abbandono scolastico. Perché non è vero che non si è fatto e non si fa nulla, sia sul versante del Miur (il sottosegretario Marco Rossi Doria ha detto ancora lunedì che «c’è un lento miglioramento dei dati sulla dispersione, assolutamente insufficiente, che deriva dallo sforzo immane delle scuole pubbliche»), sia (soprattutto) su quello del provato sociale e del volontariato che è sceso in campo al fianco della scuola. Da tempo gli esperti dicono che «il problema della lotta alla dispersione scolastica è la dispersione delle esperienze».
Uno degli esempi più recenti ma più sistematici di questa sinergia è Frequenza200, il network messo in campo da Intervita per contrastare la dispersione scolastica e riportare a scuola 4.000 ragazzi entro il 2016. Intervita ha presentato in Senato i risultati del suo primo anno di intervento, raccolti nel dossier “lenti a contatto” (in allegato), e soprattutto ha promosso la prima Ricerca Nazionale sulla dispersione scolastica, insieme all’Associazione Bruno Trentin di CGIL, la Fondazione Giovanni Agnelli e con il contributo di CSVnet. L’avvocato Marco Chiesara, presidente di Intervita, ne spiega le ragioni.
Perché ancora una ricerca? Non sappiamo già abbastanza dati?
La ricerca è un progetto innovativo perché vuole quantificare l’incidenza della dispersione scolastica sul Pil italiano: questo è indispensabile per comprendere l’impatto economico della dispersione scolastica nel nostro Paese. Dall’altro lato vuole essere il primo tentativo di monitorare tutte le esperienze di contrasto alla dispersione scolastica, anche quelle più piccole, con una manciata di volontari che si impegnano in un oratorio. È un modo per mappare e pesare gli investimenti del privato sociale.
Qualche tempo fa Daniele Checchi, economista della Statale di Milano, aveva fatto una prima stima di quanto costa all’Italia l’emorragia dei drop out, quantificandola in 70,7 miliardi di euro all’anno. Vi aspettate un dato analogo?
Daniele Checchi sarà il presidente del Comitato scientifico della ricerca che ci avviamo a realizzare. Questa però sarà una nuova ricerca, che andrà a verificare empiricamente quel dato, che era invece una stima: questa è la differenza. La nostra è una “ricerca-azione” che mira ad avere sia l’elaborazione teorica sia l’intervento concreto, che la teoria ha rilanciato. In termini di energie è un approccio più dispendioso, ma ci crediamo molto.
Che bilancio può fare del primo anno del progetto Frequenza200?
Siamo molto soddisfatti, nel dossier “lenti a contatto” si possono leggere le storie e il primo depositato di questo anno di lavoro. La novità è che dopo Milano, Napoli e Palermo il progetto partirà anche a Roma. Frequenza200 è un progetto estremamente importante per Intervita, grazie al quale siamo al fianco di tanti ragazzi che vivono in situazioni di disagio. Questo progetto è realizzato grazie alla generosità dei nostri sostenitori e di importanti aziende, tra cui c’è Terna SPA, che dal 2012 è al nostro fianco su Frequenza200.
Una delle caratteristiche del progetto Frequenza200 è il coinvolgimento del barista, del panettiere, delle figure adulte che i ragazzi frequentano ma che non hanno a che fare direttamente con la scuola. Ha funzionato?
Uno dei punti di forza del progetto è proprio l’attivazione della rete, che comprende anche gli operatori informali. Sta funzionando, sì. La dispersione scolastica non va affrontata solo dalla scuola e nella scuola, ma tutti gli ambiti di vita del ragazzo devono concorrere a riaffezionare quel ragazzo alla scuola.
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