Politica

Quando si dice etnia ma si intende razza

Cosa intendeva il ministro Lollobrigida quando ha detto «esiste una etnia italiana da tutelare»? C’è da preoccuparsi quando un Governo tira di nuovo in ballo concetti come etnia, identità e cultura? Secondo le società scientifiche degli antropologi culturali, «dietro l’uso cosmetico di termini apparentemente neutri», come questi, può celarsi «un “nuovo” razzismo che fomenta fondamentalismi, esclusioni, discriminazioni»

di Sabina Pignataro

«Esiste una etnia italiana da tutelare»: con queste parole si era espresso alcuni giorni fa il ministro per l'Agricoltura Francesco Lollobrigida, intervenendo in occasione degli Stati generali della natalità. L’esponente del governo Meloni aveva poi aggiunto: «Credo che sia evidente a tutti che non esiste una razza italiana. È un falso problema immaginare un concetto di questa natura. Esiste però una cultura, un'etnia italiana».
Poche settimane lo stesso ministro era finito al centro delle polemiche, dopo aver affermato che «non possiamo arrenderci all'idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro. Non è quella la strada».

Le critiche sono state abbondanti.

«Siamo preoccupati per l’uso sempre più frequente nel linguaggio pubblico di termini e concetti come etnia, identità e persino cultura, con significati semplificati e distorti, riconducibili alla costellazione di idee collegate al concetto di razza». A dirlo sono La Società Italiana di Antropologia Applicata (Siaa), la Società di Antropologia Culturale (Siac), l’Associazione Nazionale Professionale Italiana di Antropologia (Anpia) e la Società Italiana per la Museografia e i Beni Demoetnoantropologici (Simbdea). «Che in questi giorni riferimento ad una “etnia italiana” ci dovrebbe far pensare al passato (ma anche al presente), agli italiani altrove, che proprio perché considerati “etnia” sono stati discriminati ed emarginati. Non dimentichiamo, inoltre, che la manipolazione dell’identità etnica o nazionale ha generato e continua a provocare aberranti e sanguinose operazioni di pulizia etnica».

«Nonostante sia universalmente dimostrato che la nozione di razza non abbia alcuna fondatezza scientifica – prosegue la nota – a livello pubblico e politico sembra si faccia fatica ad accettare l’uguaglianza dei gruppi umani, con un richiamo a presunte “ereditarietà” di caratteri culturali, etnici e identitari».
Secondo gli esperti, si manifesta, infatti, con sempre maggiore frequenza la tendenza a considerare cultura, etnia e identità come categorie dotate di un’essenza immutabile, rigida e statica, e a gerarchizzare tali differenze. «Questa – sottolineano – non è una bonaria forma di ignoranza, ma un “nuovo” razzismo che fomenta fondamentalismi, esclusioni, discriminazioni».

Per gli antropologi, «dietro l’uso cosmetico di termini apparentemente neutri come quelli di identità e cultura può celarsi uno slancio propagandistico i cui esiti possono portare alla rinascita di sentimenti nazionalistici che in Europa sono già tornati a manifestarsi».

Per l’antropologia scientifica, etnia corrisponde solo a un costrutto astratto di origine coloniale che, di volta in volta e a seconda dei contesti storici, viene utilizzato per definire differenze tra un “noi” e un “loro” e stabilire correlativamente gerarchie sociali, economiche, di accesso ai diritti», spiegano ancora gli esperti. «Ogni affermazione di un’identità etnica presuppone la manipolazione del passato, cioè un processo di invenzione o identificazione arbitraria di un confine simbolico – spesso concepito e presentato come invalicabile – fra i gruppi socio-culturali».

L’antropologia culturale ha messo a disposizione una moltitudine di studi che dimostrano il valore etico e scientifico del riconoscimento delle pluralità umane in continua evoluzione e trasformazione. «Non c’è nulla di statico nelle culture o nelle identità, così come nei gruppi “etnici”, e tantomeno in un paese come l’Italia, da sempre crocevia di culture e gruppi diversi. Proprio questa diversità consente ai cittadini di sviluppare la capacità di conoscere, adattarsi e immaginare il proprio futuro. Al contrario, una politica che ritenga la nazione come una entità etnicamente pura, omogenea e incontaminata non ha alcun futuro, se non quello di perpetuare le disuguaglianze e le rendite di posizione».

Da qualche anno è in atto una pericolosa involuzione storica. Per questo, conclude la nota, «è urgente mobilitarsi per denunciare di volta in volta l’abuso pseudo-scientifico e astorico di concetti complessi e stratificati, finalizzato alla ri-attualizzazione di elementi ideologici di chiara radice razzista e nazi-fascista. Occorre smascherare le ri-significazioni strumentali di parole solo apparentemente neutre e presidiare i princìpi di uguaglianza, inclusione, pluralità sanciti dallo Stato di diritto, dalla democrazia e dalla Costituzione, questa sì, italiana».

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