La mania di tenersi in forma senza investire già esigui patrimoni, e del farlo mentre si ammirano la natura o l’arte intorno, è il tormentone di un decennio che ha messo d’accordo sia adulti che giovani. La corsa è la protagonista di questo fantastico connubio. Non stupisce affatto, allora, che un paese alla ricerca di consensi come la Repubblica Islamica Iraniana oggi abbia fatto leva su questo sport per attirare a sé tanti stranieri incuriositi, ma spesso timorosi, di visitare splendidi luoghi resi celebri dai grandi condottieri persiani, ma oscuratisi da anni di lunghe lotte, violenze e restrizioni.
Il 9 aprile in 250 si sono riuniti nella quinta più popolosa città iraniana, Shiraz, luogo di ebbrezza e poesia, per il taglio del nastro, che avrebbe inaugurato di lì a poco una spettacolare maratona verso l’epica Porta di Tutte le Nazioni, sito Patrimonio dell’UNESCO nell’antica città di Persepolis, scelta a traguardo dell’iniziativa. Pur rappresentando una svolta per un Paese che fino a poco tempo fa era abituato a respingere, non ad accogliere, occidentali da ogni dove, l’I Run Iran, maratona organizzata da Sebastian Straten, viaggiatore danese e proprietario dell’agenzia di viaggi Iran Silk Road, ha dovuto sottostare al volere delle autorità religiose e bandire tutte le donne, iraniane e non, dalla gara.
“Sfortunatamente alle donne non è permesso partecipare – se non da spettatrici – a questa prima edizione limitata,” ha detto Straten al quotidiano inglese The Telegraph, qualche giorno prima che l’evento avesse inizio. “Ci sono così tante donne (iraniane) che vorrebbero correre e speriamo davvero che nella prossima edizione ci venga dato il permesso di coinvolgerle.” Le donne in Iran si allenano e competono in tanti sport ma, almeno formalmente, devono rispettare la rigida segregazione che investe molti spazi pubblici; non è loro concesso guardare le partite negli stadi e, per le atlete su scala nazionale che vogliano competere all’estero di fronte a un pubblico misto, a nulla serve ribellarsi allo scomodo e soffocante hijab totale.
Nonostante le pressioni e i limiti imposti alle donne in Iran, l’I Run Iran è stato caratterizzata da qualche colpo di scena. Infatti, come ha twittato la giornalista Bahar Shoghi, “Due donne sono state viste mentre correvano non ufficialmente a lato della maratona vera e propria.” Ancora non è dato sapere di chi si tratti, probabilmente non verrà mai divulgato, ma, se da un lato un caso simile dimostra il non così raro atteggiamento delle autorità rispetto a piccole effrazioni (insomma, il tipico girarsi dall’altra parte e far finta di nulla per quieto vivere), dall’altro è sintomo di una realtà iraniana tutt’altro che statica ma, anzi, in continua e rapida evoluzione.
E’ così che l’organizzazione Free to Run ideatrice della Iranian Silk Road Ultramarathon, dopo aver disertato la maratona di sabato scorso per via del bando sulle donne, spera di poter coinvolgere partecipanti femminili alla prossima gara che si terrà a maggio e che, da non sottovalutare per la fine opera di convincimento sulle autorità, si terrà nel deserto di Dasht-e-Lut fuori Kerman, a più di 700km di distanza dalla capitale. “Per il momento le autorità non hanno espresso particolari preoccupazioni sulla natura mista dell’evento, ma,” come ha confermato il direttore della maratona Paolo Barghini secondo il sito Running News, “l’avrebbero fatto se la gara si fosse tenuta in città.”
Sempre mantenendo un minimo di decoro, che si traduce nell’obbligo di indossare maglietta, cappellino col frontino, pants attillati sotto il ginocchio e gonnellina da tennis per coprire le parti più scabrose, “se tutto va come pianificato,sarebbe la prima gara mista in Iran in 38 anni, o dalla fondazione della Repubblica Islamica.” E’ ancora presto per fare pronostici ma, con o senza divieto, dopo il taglio del nastro sarà sempre più impossibile impedire alle donne iraniane di correre.
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