Sostenibilità
Quando mi dissero: ti perdono
Dagli attentati al lavoro in una cooperativa sociale agricola
Spesso mi capita di guardarmi indietro, di pensare ai drammi e alle tragedie che ho vissuto e li accetto con serenità, sapendo che quegli sbagli appartengono a me e basta. Il mondo di oggi non mi piace tantissimo, ma bisogna ammettere che è anche il prodotto di quello che la nostra generazione gli ha lasciato. Sono un ex militante di Prima Linea e mi sono dissociato dal 1984. Dal 1988 faccio parte della cooperativa Aretè che significa forza e coraggio. Con me lavorano ex detenuti e persone con disturbi psichici segnalati dai servizi sanitari di Bergamo. Abbiamo sette ettari di terreno che sorgono sul terreno dell?Istituto delle Suore delle poverelle dove produciamo agricoltura biologica.
Per me lavorare nel non profit significa aver trasferito quegli stessi valori e ideali che erroneamente mi hanno portato verso la lotta armata. Qui continuo a ipotizzare un modello di società non economicista, un credo basato sulla solidarietà e sulla reciprocità, sull?impegno sociale. Il non profit è una galassia che riassume in sé energie, ansie di giustizia e ha la gran fortuna di essere priva di dogmi.Ma poi c?è il passato, quel passato che riemerge sempre con il suo carico di dolori, sensi di colpa, angosce. Sono stato arrestato nel 1980 e il giudice di allora mi ha tenuto in isolamento per tre mesi. Voleva spappolarmi il cervello perché c?erano stati i primi pentimenti e pensava che avrei parlato anch?io. E invece io sono evaso. Metodo classico, sbarre segate e lenzuola annodat: che erano marce e si sono rotte mentre mi calavo dal secondo piano del carcere. Dopo l?evasione non sono più tornato in Prima Linea, avevo capito che avevamo sbagliato, che eravamo finiti, fottuti. Sono stato latitante fino al 1983, quando mi hanno ripreso.
Alla caserma Garibaldi di Milano, dove mi tenevano, ogni giorno mi portavano brioche e cappuccino per farmi parlare. Sono uscito in articolo 21 nell?88 e devo dire che mi è andata bene, sono stato fortunato. Certo a volte mi pongo il problema del perdono, ma appartiene alla sfera privata e non politica. Già durante il processo uno dei parenti delle vittime si è avvicinato alle gabbie e mi ha detto che mi perdonava. Rimasi colpito, sconquassato. Spesso sogno di incontrare delle persone e provo un dolore terribile. Ho tre figli, l?ultimo ha due anni e mi chiedo spesso come gli racconterò che credevo di essere alla vigilia di una rivoluzione e che invece non avevo capito di essere solo al tramonto di un?epoca. Gli dirò che sono uno che ha sbagliato in nome della speranza in un mondo migliore e senza tornaconto personale. Dobbiamo rimarginare quelle ferite, io nel mio piccolo lo faccio ogni giorno ,dedicandomi agli altri che hanno bisogno di questa cooperativa per uscire dalla galera e per curarsi. Il resto è qualcosa che mi porterò dentro tutta la vita.
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