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Quando l’Italia gioca con le cifre
Nel Documento di Economia e Finanzia (DEF) approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 11 aprile, viene confermata la previsione del graduale aumento degli aiuti pubblici allo sviluppo dell'Italia. Ma il focus sugli Aps evita di dire che buona parte dei fondi stanziati sono in realtà destinati all’accoglienza dei rifugiati in Italia e per il controllo delle frontiere nei paesi di provenienza e transito.Il commento di Nino Sergi, policy advisor di Link 2007.
di Nino Sergi
Il Consiglio del Ministri ha approvato martedì 11 aprile 2017 il DEF, Documento di Economia e Finanza 2017. Nella sezione 1, “Programma di stabilità per l’Italia”, il Focus sull’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) sintetizza l’impegno per riallineare gradualmente l’Italia agli standard internazionali per la cooperazione allo sviluppo.
Il testo riprende dagli anni passati la terminologia “Aiuto pubblico allo sviluppo” mentre la legge di riforma 125/2014 parla ormai (e non è solo una questione terminologica) di Cooperazione Pubblica allo Sviluppo (CPS). Tre sono i passi essenziali del Focus:
1. In base alle rilevazioni preliminari l’APS italiano per il 2016 si dovrebbe attestare sullo 0,26% del reddito nazionale lordo (RNL), in aumento rispetto allo 0,22% del 2015 certificato dal Comitato per l’Aiuto allo Sviluppo dell’OCSE.
2. Il Governo conferma gli impegni assunti a livello europeo e internazionale attuando un graduale riallineamento degli stanziamenti annuali alla media dei Paesi OCSE. La gradualità stimata per il triennio 2018-2020 è: 0,27% dell’RNL nel 2018; 0,28% nel 2019; 0,30% nel 2020, fino al raggiungimento dello 0,7% entro il 2030 come stabilito in sede europea e nel quadro dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile.
3. L’incremento delle risorse comprenderà anche la partecipazione dell’Italia alla ricostituzione di Fondi multilaterali di sviluppo per i quali si renderanno immediatamente disponibili le risorse.
Viene sottaciuto quanto lo scorso DEF invece affermava: “in questo percorso di riallineamento influirà ovviamente anche la quota delle spese per l’assistenza ai rifugiati che potrà essere contabilizzata come APS” (Focus 2016). Si tratta di un’omissione non di poco conto dato che, pur essendo passati dai complessivi 4 miliardi di dollari del 2015 ai 4,85 miliardi del 2016 (stanziamenti a Ue, a Banche e Fondi internazionali, a iniziative multilaterali, a iniziative bilaterali), una grande parte delle risorse è stata spesa per l’accoglienza dei rifugiati in Italia e per il controllo delle frontiere nei paesi di provenienza e transito, anziché per iniziative di sviluppo con i paesi partner. “Parliamo del 34% delle risorse complessive; in termini assoluti si passa da 983 milioni di dollari allocati nel 2015 ad oltre 1,66 miliardi del 2016, pari ad un incremento del 69%”, come ha recentemente analizzato Oxfam Italia. Nel 2014, con 195,29 milioni di euro, tale spesa ha rappresentato il 34% della componente ”bilaterale” mentre oggi, con più di 1,5 miliardi, rappresenta una spesa tre volte maggiore della cooperazione bilaterale gestita dall’Agenzia e dalla Dg Cooperazione allo Sviluppo.
Il diritto di asilo, riconosciuto dall’articolo 10 della nostra Costituzione e l’accoglienza dei rifugiati ai sensi della Convenzione di Ginevra, pur sacrosanti e doverosi, non erano mai stati materia di “aiuto bilaterale” o di “cooperazione allo sviluppo”, né la nuova legge l’ha previsto. Tale inclusione, per una cifra così rilevante, fa sorgere il serio dubbio che il Governo italiano, al di là delle affermazioni, stia ormai tradendo le finalità della legge voluta con voto unanime dal Parlamento solo 32 mesi fa e la visione di cooperazione e di partnership per un comune sviluppo che l’ha ispirata.
Viene sottaciuto quanto lo scorso DEF invece affermava: “in questo percorso di riallineamento influirà ovviamente anche la quota delle spese per l’assistenza ai rifugiati che potrà essere contabilizzata come APS” (Focus 2016).
Il documento di programmazione e di indirizzo triennale
1. Il documento dello scorso anno, pur qualitativamente chiaro, conteneva poche cifre in merito alla destinazione dei fondi e alla loro ripartizione. Sarebbe bene identificare, per ogni area prioritaria, il volume di risorse allocato, con l’indicazione dello speso nel triennio precedente. Solo in questo modo l’identificazione di priorità strategiche assumerebbe il necessario spessore operativo.
2. E’ necessario restituire alle attività di cooperazione allo sviluppo quanto sottratto per coprire i costi relativi ai rifugiati in Italia, selezionando con attenzione e trasparenza le voci di spesa che potrebbero avere attinenza con la cooperazione allo sviluppo da quelle che nulla hanno a che vedere con essa.
3. Sarebbe molto utile evidenziare i possibili e auspicati valori aggiunti dai diversi soggetti pubblici e privati, profit e non profit, della cooperazione allo sviluppo. Non si tratta solo di definire “chi deve fare cosa” ma di dare respiro strategico all’articolazione delle realtà chiamate a concorrere alla politica di cooperazione dell’Italia, nell’ottica del ‘sistema paese’ al quale sia la legge e sia gli atti successivi si ispirano.
4. Opportuno sarebbe inoltre accrescere il volume delle risorse utilizzabili in paesi attualmente non prioritari dove in particolare le Ong e Osc italiane sono operative da tempo e hanno stabilito proficui rapporti di partenariato, con innegabili valenze politiche. Il tema non riguarda solo la libertà delle scelte dei soggetti della società civile che propongono iniziative al contributo pubblico ma la stessa cooperazione italiana, laddove paesi oggi non prioritari possono facilmente diventarlo alla luce dei cambiamenti di contesto, che dovrebbero consigliare di mantenere aperti i canali di dialogo e collaborazione costruiti nel tempo.
Foto di copertina: Lavoratori del Bangladesh in fuga dalla Libia verso la Tunisia nel 2012. Spencer Platt/Getty Images.
E’ necessario restituire alle attività di cooperazione allo sviluppo quanto sottratto per coprire i costi relativi ai rifugiati in Italia.
5. In particolare, ciò riguarda i paesi in situazione di post conflitto che dovrebbero entrare tra le priorità, in coordinamento con l’Ue e gli Stati membri. L’esperienza insegna che senza adeguati, tempestivi e continuativi aiuti per la ricostruzione, fisica e morale, e per il consolidamento della pace, il rischio di una ripresa degli scontri o di inconciliabili difficoltà di convivenza sono molto alti e richiedono interventi mirati di cooperazione con tutte le parti.
6. Il Governo ha accolto negli anni passati la proposta parlamentare di dedicare almeno il 10% delle risorse gestite dal Ministero degli Affari Esteri alle iniziative promosse dalle Ong. E’ bene che il documento di programmazione e di indirizzo riprenda il significato di tale proposta, adeguandola all’ampliamento delle “organizzazioni della società civile ed altri soggetti senza finalità di lucro” elencate nei sei gruppi specifici dell’articolo 26 della Legge 125/2014.
7. Nella fase attuale è necessario che sia meglio precisato il nesso migrazioni – sviluppo, al fine di non trasformare la cooperazione in uno strumento finalizzato ad altre politiche, come in parte sta avvenendo.
8. E’ inoltre necessario inserire le tematiche della sicurezza degli operatori e operatrici, sia nelle attività umanitarie che di cooperazione allo sviluppo, prevedendo specifici percorsi di formazione e non limitandosi, come avvenuto finora, ad escludere unilateralmente e burocraticamente aree di intervento, spesso frenando la presenza diretta proprio laddove sarebbe più necessaria.
9. Dovrà infine essere confermata la Conferenza nazionale sulla cooperazione allo sviluppo entro il 2017, come indicato dalla stessa legge 125: che sia partecipativa, rifletta la pluralità dei soggetti della cooperazione, sia accountable nel dare conto dei risultati raggiunti nel triennio e di quelli concretamente raggiungibili.
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