Non profit

Quando l’innovazione sociale nasce nelle fondazioni

Dopo il voto favorevole del parlamento europeo per l’approvazione di uno statuto unico delle fondazioni, abbiamo incontrato Gerry Salole, CEO dello European Foundation Centre, per parlare di quello che sarà il futuro della filantropia in Europa

di Ottavia Spaggiari

“E’ stato un passo importante, ma non il più importante”. Per Gerry Salole, amministratore delegato dello European Foundation Centre (EFC) , l’organizzazione che riunisce le principali fondazioni internazionali,  il voto dei parlamentari europei a favore di uno Statuto Unico delle Fondazioni è solo una piccola vittoria nel lungo percorso che EFC, porta avanti da tempo, per dare alla filantropia europea una possibilità d’azione internazionale e permettere alle fondazioni di agire oltre i confini del proprio Paese. Quando, lo scorso giugno, i membri del parlamento europeo avevano votato con un’ ampia maggioranza l’approvazione dello statuto, Evelyn Regner, vice-presidente del Comitato per gli affari legali,  aveva constatato il supporto dei parlamentari alla causa , chiedendo al Consiglio di portare avanti la pratica. “Sarebbe davvero importante se si riuscisse a raggiungere un accordo durante l’attuale legislatura,” aveva affermato. Abbiamo incontrato Gerry Salole per discutere dell’impatto di uno statuto unico per le fondazioni europee e per immaginare il futuro della filantropia in una prospettiva sempre più internazionale.
 
Perché la necessità di uno statuto unico  per le fondazioni europee?
 
E’ molto difficile lavorare con una visione paneuropea per le fondazioni, poiché esistono delle limitazioni molto forti rispetto all’attività che possono portare avanti nei diversi Paesi. Se siamo davvero in un’Europa unita, dovremmo essere in grado di poter operare ovunque, sostenendo le iniziative dei cittadini in tutta Europa. Visti gli effetti della crisi, la società civile dovrebbe giocare un ruolo sempre più centrale nel “post-welfare” ma se non ci sono strumenti per lavorare nelle diverse oltre i confini, in modo paneuropeo, allora il potere di azione è davvero limitato.
 
A che punto è l’approvazione di uno statuto unico Europeo?
 
Il voto in parlamento è stato un risultato importante, ma per far passare lo statuto serve l’unanimità di tutti gli stati membri. Stiamo cercando di promuovere l’idea il più possibile ma è fondamentale che i paesi, come l’Italia, in cui  le fondazioni sono moltissime e hanno una tradizione antica e fortemente connaturata nel tessuto sociale, facciano da traino. Il momento decisivo per l’approvazione dello statuto potrebbe essere proprio durante la presidenza italiana, il prossimo anno. Per questo è importante fare capire l’importanza di questo strumento. Il problema è che quando le presidenze si alternano, ogni Paese ha la propria agenda politica prestabilita e un provvedimento come questo sembra non essere di carattere prioritario, quando di fatto, invece lo è.
 
Quali sono le sfide maggiori per le fondazioni europee?
 
La filantropia europea è robusta, ha una storia lunga, una grande varietà e non è una copia della filantropia americana. Il fatto che le fondazioni europee non siano solo grantmakers ma anche attori impegnati operativamente  rappresenta una grande ricchezza per il mondo filantropico europeo. A questo proposito credo sia molto importante lo scambio di idee e modelli tra i diversi paesi. Allo stesso tempo però la varietà può confondere. La parola fondazione è usata per diversi tipi di organizzazioni, per i think tanks, per le fondazioni create dai governi e dai partiti, esistono anche fondazioni politiche.  Le persone non conoscono esattamente il ruolo delle fondazioni e possono essere confuse da tutta questa varietà. Credo quindi che la prima sfida a cui  dobbiamo rispondere sia quella della trasparenza. E’ importante comunicare con chiarezza il lavoro portato avanti dalle fondazioni in ambiti diversi e l’impiego delle risorse private a favore del pubblico. In secondo luogo  bisogna affrontare la falsa percezione diffusa per cui le fondazioni dovrebbero entrare dove il governo comincia a ritirarsi. C’è una grossa differenza di scala tra le risorse di un governo e quelle di una fondazione. Sarebbe come paragonare una piscina al mare.
 
Quale dovrebbe essere quindi il ruolo delle fondazioni in questo momento storico?
 
C’è un approccio nuovo alla filantropia. Sempre più fondazioni usano le risorse in modo virtuoso, cercando di favorire anche la sostenibilità economica dei progetti che supportano. Non elargiscono solo dei contributi a fondo perduto, ma scelgono invece di offrire dei prestiti agevolati. Questo permette di riutilizzare le risorse per lo sviluppo di più progetti. Molte fondazioni che fanno parte dello European Foundation Centre sono anche membri della European Venture Philanthropy. Ciò significa che l’impegno nella creazione di organizzazioni autosufficienti si traduce in un impegno più concreto nella gestione delle risorse anche da parte delle fondazioni. La filantropia dovrebbero essere il terreno di prova ideale in cui sperimentare soluzioni nuove. In realtà credo vi sia un legame molto stretto tra social innovation e il mondo delle fondazioni in Europa. I campi non sono divisi. Come dicevo, la piscina è il terreno ideale per testare l’innovazione, prima di affrontare il mare aperto.
 

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