“Chiedo scusa, ma mi importa più il destino dei veneziani, oggi così precario, che quello d’ una garzetta“. Le garzette, per chi non lo sapesse, sono uccelli tipici della laguna (qui), e a preoccuparsi più del destino dei veneziani che di questo uccello della famiglia dei ciconiformi non era Renato Brunetta, ma Rossana Rossanda.
Correva l’anno 2006 (precisamente il 28 novembre) e sulle pagine del manifesto, in un botta e risposta con Gennaro Migliore, la Rossanda declinava quel destino in una parola di quattro lettere: Mose. Iniziati nel 2003, dopo una progettazione infinita, i lavori del Mose sono finora costati circa 5 miliardi di euro.
Ora il Mose sembra solo un affare di tangenti e di cattiva progettazione – e lo è – ma è stato anche – e, ahinoi, chissà per quanto ancora lo sarà – un abbaglio, anche a sinistra. Chi voleva capire, aveva tutti gli strumenti e i pareri per farlo (basta rileggersi la rassegna su Eddyburg → qui), e forse oggi dovrebbe chiedere scusa, se non alla garzetta, quanto meno ai veneziani.
Comunque sia, ecco l’articolo:
Venezia affonda pian piano il Mose almeno rallenta
Rossana Rossanda
il manifesto, 28/11/2006
Caro Gennaro Migliore, davvero il Mose trasformerebbe la laguna in un lago artificiale? Per via di un sistema di paratie che fuori dai momenti di eccezionale marea, quando si alzano a frangere l’onda in entrata, giacciono sul fondale delle bocche di porto? Io sono per il Mose per molti diversi motivi.
Primo ed essenziale: Venezia lentamente affonda, si chiama subsidenza, probabilmente dovuta per una modifica dell’entro-terra e delle sue falde freatiche, forse conseguenza di uno sfruttamento agricolo e di una edificazione selvaggia, dei quali non sento parlare; le maree adriati-che lentamente salgono, per ragioni che non conosco ma nessuno nega; dalla metà del secolo scorso l’altezza della marea che copre gran parte della città può assumere, come nel 1966, la natura d’un disastro. Nessuno degli studi che, restando veneziana nell’animo, ho consultato nega che sia così. Venezia è in preda a un doppio fenomeno che oggi come oggi è nei tempi lunghi irresolubile.
Neanche il Mose lo risolve. Si limita a rallentare l’impatto delle molto alte maree. Neanche le altre misure proposte – necessarie, come la pulitura dei canali e il rialzo, già in parte effettuato, di alcune fondamenta (mi è riuscito sorprendente un progetto di rialzo di tutta piazza San Marco) – sono risolutive. Sono necessari ma, mi sembra, complementari al Mose, non potendosi rialzare la città d’un metro e mezzo.
Secondo. Il Mose è un’opera di alta tecnologia che porta e comporta lavoro qualificato, cosa di cui Venezia crudelmente manca. Quale altro polo industriale è stato proposto e messo in opera? Marghera è un’opera, assai discutibile, degli anni ’30, malamente agganciata alla città; il suo Petrolchimico ha avvelenato chi ci abitava e la laguna, le fabbriche degli anni ’50 e ’60 sono sparite o in crisi, la città è un gigantesco museo saccheggiato dalle multinazionali degli alberghi per un’orda di turisti più o meno screanzati, che dà lavoro a un esercito di camerieri e, chiamiamoli così, operatori turistici, e perfino a migliaia di affittacamere che spellano gli studenti, i quali vi frequentano le università e poi fuggono verso lidi che offrano qualche lavoro. Un’idea di Venezia vivente non l’ho sentita né dal mio amico Massimo Cacciari, né da Gianfranco Bettin che cerca nobilmente di renderne meno inumana la sottostante miseria.
Terzo. C’è una metodologia dell’amministrazione che dovrebbe essere una cosa seria. Mi piacerebbe sapere chi decide e come e per quanto tempo: sono quasi tre lustri che sento parlare del Mose, ne leggo i materiali e le decisioni delle commissioni di esperti, lo stesso studio del progetto è stato imponente e l’avvio dell’opera è iniziato senza che né Paolo Costa né Massimo Cacciari vi si opponessero. Perché Cacciari si oppone ora? Forse l’opera non andava fatta, forse non andava affidata al Consorzio Venezia Nuova, forse sarebbe stato meglio effettuarla come opera pubblica sovvenzionata da stato e regione e leggi speciali (ancorché, salvo la sottoscritta, chi ventila più idee così desuete?), eccetera. Ma non andava deciso prima di cominciare? Il rimpallo fra comune, forze politiche, consorzio e ambientalisti sembra una variante del gioco dell’oca. Capisco che Mario Pirani scriva: non parlatecene più.
Un solo motivo non mi sembra neanche da discutere. Chiedo scusa anche al manifesto, ma mi importa più il destino dei veneziani, oggi così precario, che di quello d’una garzetta che pure è bellissimo scorgere ogni tanto su una barena. Lunga vita alle garzette, ma non parliamo di laghi artificiali che non c’entrano niente. Del resto, non c’è un manufatto urbano più artificiale di Venezia, tanto è effimera una laguna. I dogi deviarono ben tre fiumi per tirare su la mia incantata città. Sarebbe stato meglio se non lo avessero fatto?
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