Welfare

Quando la libertà viaggia in FM

In Argentina lottano per le frequenze, nel Mali educano gli agricoltori, a Belgrado sfidano Milosevic. Sono duemila le emittenti “comunitarie”, convinte che esiste una terza via per la radiofonia

di Joshua Massarenti

?Microfoni aperti. La comunicazione e i diritti umanitari?. In coincidenza con il 50esimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani, questo è stato il titolo ufficiale proposto per il settimo convegno mondiale dell?Amarc, una sigla che raggruppa un migliaio di emittenti ?comunitarie? e che ha accolto, al Forte Crest Hotel di San Donato, presso Milano, una delegazione di più di 400 delegati provenienti dai cinque continenti. «Un incontro», sottolinea il suo presidente, l? ecuadoriano Rafael Roncagliolo, «che ha posto al centro dell?attenzione problemi cruciali quali la funzione delle radio indipendenti per la difesa dei diritti umani, la promozione delle diversità culturali, la riconoscenza internazionale della nostra rete, la regolamentazione della distribuzione delle frequenze e le sfide proposte dalle nuove tecnologie dell?informazione e della comunicazione».
Nate con la volontà di informare la popolazione su tutto ciò che concerne la gestione degli interessi sociali e di rafforzare la formazione politica della società civile, le radio comunitarie rappresentano una terza via rispetto alle radio di Stato e a quelle commerciali che custodiscono un vero e proprio monopolio nel settore radiofonico. «In un?era di globalizzazione politica ed economica», sottolinea Sophie Ly (senegalese e segretario generale dell?associazione), «è fondamentale che l?Amarc adotti una forte capacità politica per trattare con i governi e le istanze internazionali nello scopo di garantire ai più deboli il diritto di comunicare e di informarsi». Perché, è l?opinione del direttore della più grande radio indipendente del mondo, Piero Scaramucci di Radio Popolare, «sia le radio che i nostri auditorii, costituiscono una roccaforte delle libertà di espressioni nel diffondere notizie alternative». Ed è proprio su queste tematiche che i rappresentanti dei 2000 membri che aderiscono all?Amarc si incontrano, dibattono e decidono nelle varie conferenze, sessioni plenarie, ?workshop? che articolano il congresso.
In questo microcosmo planetario, si può essere dunque certi che i problemi non mancano. Come quelli di Sofia Hammoe, della radio argentina FM La Tribu, per la quale «ottenere delle frequenze significa lottare contro l?esclusione multimediale dettata dalle leggi di Menem e delle multinazionali». Oppure, quelli economici, oltreché politici che il rappresentante dell?Union des Radios et des Télévisions Libres du Mali e di Radio Patriote, Moussa Keita, deve affrontare «per preservare il grande successo popolare che le nostre 80 radio indipendenti pubbliche hanno ottenuto in questi ultimi anni», soprattutto quelle rurali con i loro programmi agricoli, educativi, ecologici ecc. L?appoggio finanziario di agenzie internazionali, ong, Unicef, non basta: infrastrutture, formazioni, materiali costano.
A Belgrado invece, c?è chi canta vittoria. È Sasa Markovic, della Radio politica locale B-92, che dopo due chiusure, è riuscito a legalizzare le sue frequenze e creare l?Association of Indipendent electronic Media, un network che raggruppa 33 radio, oltreché essere TV-production, Internet provider ed editore, grazie a un budget che sfiora il milione di dollari. Per non parlare di quelle europee e nord-americane. Budget e dimensioni che per le radio africane o asiatiche restano davvero sogni proibiti. Un problema per l?Amarc, che vede così riproporsi i contrasti e gli squilibri economici tra Nord e Sud del mondo anche all?interno dell?associazione. «Ora», sostiene un membro africano, «è vero che dobbiamo restare uniti per sopravvivere, ma è anche vero che ciascun continente o regione tende, qualche volta, a portare acqua nel suo mulino, e questo condanna chi è più debole». Ma malgrado le diversità culturali ed economiche tra le radio, rimane il fatto che l?Amarc rappresenta una voce politica fondamentale riconosciuta da tutti, senza la quale ogni singola realtà morirebbe ?sulle onde del destino?.

Radio amiche,in più di cento Paesi

La storia dell?Amarc inizia per caso a Montréal nel 1983 dopo la prima Conferenza mondiale delle radio comunitarie che riunì 600 persone provenienti da 36 Paesi. È durante la seconda Assemblea,tenutasi a Vancouver (Canada), che nasce ufficialmente l?Associazione Mondiale delle Radio Comunitarie. Successivamente, nel 1988 a Managua (terza conferenza), l?associazione diventa un organismo non governativo e vede negli successivi anni aumentare il numero di Paesi che condividono la sua causa. Oggi, l?Amarc può contare ufficialmente su più di 1300 membri di 102 Paesi, in maggioranza dell?America Latina e Caraibica, seguita da Africa (298 membri), Europa (210 membri, con rapida estensione dell?Est), America del Nord (190) e a grande distanza da Oceania, Asia e infine Paesi arabi. A livello finanziario, l?Amarc può contare sull?appoggio di organizzazioni sovrannazionali (Onu, Unesco), grandi agenzie internazionali (soprattutto scandinave e canadesi), ong, fondazioni culturali come la Rockefeller (Usa) e la fondazione tedesca Friedrich Erbert, e infine le modeste donazioni dei suoi membri (dai 30 ai 100 dollari). Nel 1997, il budget dell?Amarc ha sfiorato i due milioni di dollari.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.