Famiglia
Quando lutile si fa utile. Ecco l’economia del dono
Fundraising: 800 aziende in tutto il mondo scelgono le donazioni. Anche gli economisti cominciano a studiare questo modello di sviluppo
Una provocazione, un fenomeno che non potrà durare a lungo, un rebus senza soluzione per la teoria economica, dicono gli scettici. Un modo di fare impresa che schiude nuovi orizzonti di senso al discorso economico, dicono gli estimatori. Un esercito di circa 800 aziende sparse ai quattro angoli del globo che fatturano complessivamente quasi 1000 miliardi di lire, dicono i numeri (in crescita) a proposito di ?economia di comunione?, l? ?economia del dare? promossa nove anni fa da Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei focolari.
Tutto iniziò a San Paolo
Un progetto frutto del caso, o meglio «dell?Amore», come ama ripetere la Lubich. Un progetto che, con tutta probabilità, non sarebbe mai nato se, durante un viaggio a San Paolo del Brasile nel 1991, la leader religiosa non si fosse imbattuta nel dramma dell?estrema povertà di quelle popolazioni. Colpita dal loro profondo stato di indigenza, una volta giunta alla Mariapoli Araceli, cittadella del Movimento vicino San Paolo, lanciò ai ?suoi focolari? l?idea di un?economia nella quale gli utili delle imprese dovessero essere messi liberamente in comune alla maniera delle prime comunità cristiane. «Prima di tutto per destinarli all?aiuto di quelli che sono nel bisogno offrendo loro un lavoro», spiegò ai confratelli, «e poi indirizzandoli allo sviluppo delle aziende e alla formazione alla cultura del dare di uomini ?nuovi?, senza i quali non si fa una società e un?economia nuova».
A distanza di nove anni, quel seme lanciato in terra paulista è germogliato un po? ovunque. Sono finora ben 761 le aziende (società di capitali e imprese sociali, ditte individuali e società di persone, banche e società cooperative) che nel mondo liberamente scelgono di destinare ai suddetti scopi gli utili realizzati nei settori dell?industria, del commercio, dei servizi. Accanto alla cittadella pilota di Araceli oggi sorge il polo industriale ?Spartaco? che si estende su un?area di 50 mila metri quadrati e che annovera oltre 2000 soci, in prevalenza brasiliani.
A Genova, tanto per fare un esempio che ci riguarda più da vicino, il Consorzio di cooperative sociali ?Roberto Tassano? attivo nel campo dei servizi alla persona (20 miliardi di lire di fatturato annuo) è passato, dai pochi soci fondatori, a 420 soci ed è diventato un vero e proprio incubatore d?aziende per la sua capacità di suscitare nuove iniziative imprenditoriali.
Un?idea dal volto umano
Un altro autorevole riconoscimento alla ?invenzione? dei Focolarini è arrivato da un altro economista, Romano Prodi, presidente della Commissione europea. «?Economia di comunione? è più un messaggio gettato al futuro che non un?analisi delle cose già compiute», ha detto Prodi, «e questo è l?aspetto più affascinante di un movimento spirituale fondato su principi assolutamente essenziali».
Ancora una volta, dunque, l?economia dal volto umano, quella che ?irriverentemente? mette in discussione la teoria economica tradizionale, mostra straordinari segni di vitalità. «Abituati a pensare alla globalizzazione solo in termini di mercati finanziari», esordisce Luigino Bruni, docente di storia del pensiero economico all?Università Bocconi di Milano e stretto collaboratore di Chiara Lubich, «siamo portati a credere che non vi possa essere anche una globalizzazione dei movimenti espressivi della società civile. Ed invece non è affatto così come dimostra ?economia di comunione?. Si tratta piuttosto di un modo di fare economia dentro il mercato e nel contempo di scoprirne nuove dimensioni. Non è vero», continua Bruni, «che mercato e solidarietà siano in antitesi. Il mercato può diventare esso stesso luogo di incontro e di comunione. E la comunione è molto di più degli utili messi insieme. La parola comunione è un?espressione della?cultura del dare? e quando il dare suscita reciprocità allora diventa comunione e genera beni relazionali. Ora dato che questi beni, che potremmo chiamare anche capitale sociale, sono sempre più determinanti per lo stesso successo di un?impresa, credo che l??economia di comunione? incontrerà una crescita quantomai significativa nei prossimi anni». Altrettanto convinto delle sue potenzialità di crescita si dichiara Stefano Zamagni, ordinario di economia politica all?Università di Bologna ed attento studioso dei rapporti tra etica ed economia: «L?esperienza di ?economia di comunione? suscita grande interesse nell?osservatore, nello studioso, perché si tratta di un modo di organizzare l?attività economica che, per la prima volta nella storia, si realizza prima di una elaborazione di tipo teorico-culturale. «Il capitalismo industriale per esempio», prosegue l?economista dell?Alma Mater, «era stato preceduto da secoli di elaborazioni concettuali che avevano cercato di anticipare gli eventi storici sulla base di riflessioni teoriche».
Dal capitale alla persona>/b>
Ma nel caso di ?economia di comunione?, dice Zamagni, «siamo di fronte ad un?esperienza che nasce nella mente di una persona che di economia non ne sa e non è tenuta a saperne e ad un fenomeno che, solo oggi, gli economisti cominciano ad indagare. Perciò non mi meraviglio di coloro che si dichiarano scettici di fronte a questa esperienza e ne prefigurano una durata limitata. Io al contrario», aggiunge lo studioso, «ritengo vi siano le premesse per un suo importante sviluppo. Essa, infatti, dimostra un assunto che vado sostenendo da tempo e cioè che un?impresa può stare sul mercato ed essere competitiva pur avendo una funzione-obiettivo alternativa a quella del profitto». Mentre infatti nell?impresa capitalistica l?obiettivo finale è la valorizzazione del capitale, spiega il professore, « e il vincolo è il rispetto della persona. In economia di comunione è vero esattamente il contrario: qui il fine è la valorizzazione della persona e il vincolo è il profitto necessario a garantire la sopravvivenza dell?impresa».
Una realtà che, ad alcuni, «può apparire come una vera e propria provocazione visto che tutta la teoria economica si fonda sull?idea che se non si massimizza il profitto non si può stare sul mercato. Ma ben vengano queste provocazioni», conclude Zamagni. Già, ben vengano e ci auguriamo siano sempre più numerose le imprese che vorranno raccoglierle.
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