Educazione

Quando in famiglia entra il dolore

Il lutto, la malattia, la violenza, la separazione: la storia di ogni famiglia è un perenne fluttuare di gioie e sofferenze. Oggi più che in passato però è difficile che le situazioni di infelicità trovino ascolto e prossimità. Una chiamata alla responsabilità di rispondere a ciò che il nostro sguardo ha visto

di Vanna Iori

Nella storia-destino di ogni famiglia si situa il perenne fluttuare di gioie e sofferenze, di aspettative progettuali e delusioni, dolori, angosce taciute o degenerate in tragedie. Sono tanti gli eventi di dolore che riguardano le famiglie: dai lutti alle separazioni, dalle violenze domestiche alle condizioni di povertà e marginalità, dalla presenza di un familiare con disabilità cronica alle diverse forme di disagio relazionale. La condizione di dolore è spesso l’esito di una molteplicità di fattori che concorrono alla perdita di stima di sé e di fiducia negli altri, conducendo alla perdita di solidarietà e progettualità.  Per questo è importante la dimensione educativa, nelle diverse modalità che possano accompagnare ed alleviare le sofferenze.

In particolare dopo la pandemia i processi di cambiamento stanno sottoponendo le famiglie ad una maggiore insicurezza esistenziale, alle paure nuove e inattese che aumentano la vulnerabilità e la fragilità. La realtà instabile e l’insecuritas che ciascuno vive porta con sé debolezze nuove, profonde e diverse fisionomie di sofferenza: dalla malinconia all’angoscia. Siamo spesso privi di strumenti per attivare risorse emotive capaci di far fronte alle difficoltà. 

Gli anziani diventano in molti casi “vite a perdere”, privi di un riconoscimento del ruolo sociale. Molti giovani sono senza punti di riferimento e guide educative. La comunità territoriale si è impoverita di luoghi del tempo libero adeguati ai bisogni relazionali e di comunicazione, le difficoltà nel generare figli, nel gestire la relazione coniugale e l’educazione dei figli nell’enorme pressione sulle identità personali poste dalle esigenze lavorative e di cura devono fare i conti con un ambiente sociale sempre più indifferente (se non decisamente “nemico” in certi casi) della famiglia.

Il lutto

Il primo pensiero ci porta alle diverse forme di lutti e perdite premature e tragiche che attraversano l’esperienza della vita familiare. Nella morte del coniuge la vedovanza spezza un rapporto su cui si era costruito un investimento di vita. Perciò non si sperimenta solo la perdita di un altro da sé, ma anche la morte di una parte di sé, e rimane in sospeso l’alone di progetti vaganti, raramente in grado di ritrovare futuro di progettualità.  

Molte altre sono le esperienze della perdita di una parte di noi: delusioni, rinunce, perdite che segnano il passaggio da un’età all’altra della vita. I vissuti di lutto e l’elaborazione della privazione possono essere ricondotti ai passaggi esistenziali. Il superamento del lutto non consiste nell’oblio, nella cancellazione dell’esperienza di perdita, ma nella capacità di mantenere in relazione passato, presente e futuro cercandone il senso nel fluire della vita. L’esperienza del lutto, per poter diventare progettualità e guardare al futuro, deve innanzitutto passare attraverso l’elaborazione del ricordo.. 

Le separazioni

Un altro versante denso di gravi sofferenze sono le separazioni genitoriali con le patologiche conflittualità che richiedono risposte educative specifiche a seconda delle modalità con cui la coppia ha vissuto l’infrangersi del legame. L’aumento statistico delle separazioni e delle ricostituzioni in seconde unioni rendono più complesse le relazioni educative. Ancora si stenta a riconoscere che criticità e conflitti sono in realtà presenti in tutte le famiglie e che la “normalità” non è identificabile con l’assenza di sofferenze, di difficoltà, ma che occorre sviluppare la capacità di affrontarle ed elaborarle, poiché non esistono modelli o schemi predefiniti da assumere, in quanto ogni separazione rappresenta una storia a sé. 

La famiglia conflittuale che inizia a prendere in considerazione l’ipotesi della separazione coinvolge i figli in contesti educativi instabili. E l’esposizione al conflitto prolungato è, per i figli, più dannosa della separazione. Inoltre la decisione di separarsi  non è mai simmetrica  e porta con sé ferite da abbandono, vendette, anche molto crudeli, nelle quali sono coinvolti anche i figli stessi. La prospettiva pedagogica indica la necessità di considerarsi genitori per sempre, da quando ci si appresta a separarsi fino a separazione avvenuta. Il che significa attenersi ad alcuni impegni educativi che non possono essere dimenticati o delegati: lasciare spazio al dialogo educativo con i figli,  mantenere viva la comunicazione affettiva.

Oggi il divorzio è, da solo, la causa più diffusa della depressione infantile per l’intensa paura da abbandono e inquietudine, soprattutto in età infantile e adolescenziale. I genitori dovrebbero essere consapevoli di questi sentimenti, e affrontarli con equilibrio. Cessato il legame matrimoniale, occorre conservare una educazione congiunta: la co-genitorialità (ove ciò sia possibile), e salvare ciò che resta dell’essere stati famiglia, aiutare i figli a sentire che i genitori ci sono ancora.

La violenza domestica

Anche nella più cupa delle sofferenze familiari, la violenza domestica, è importantissimo un lavoro educativo condiviso che può essere sostenuto dagli educatori, dagli insegnanti, dalla parrocchia, dallo sport per accompagnare al recupero di quella fiducia in sé stessi e nella vita che la violenza diffusa anche nei contesti sociali rende oggi ancora più arduo. 

La disabilità di un figlio

E così davanti alla presenza di un figlio con disabilità grave occorre conservare una progettualità pedagogica che deve muoversi nella prospettiva di trascendenza della situazione presente e di apertura al futuro, far leva sul poter essere, ossia sulle possibilità, presenti in ogni persona, anche apparentemente più deprivata. Questo richiede ovviamente un lavoro di caregiving e una chiara scelta etico-politica.

Prossimità e ascolto, l’arte più difficile

Se nella storia di ogni famiglia possono presentarsi momenti di dolore improvvisi o prolungati, nella solitudine relazionale, è difficile, oggi più che in passato, ascoltare e comprendere i vissuti nei lutti, nelle relazioni laceranti in un contesto  di crescente insicurezza sociale, politica, ed emotiva. Il punto di partenza fondamentale rimane invece proprio la formazione alla vita emotiva. Per affrontare sentimenti difficili, trovare risposte educative efficaci e proporre modelli pedagogicamente significativi le risposte si costruiscono entro una cultura in cui si rafforzi la comunità educante: la consapevolezza che ognuno è una “persona” e ha diritto al sostegno, alla comprensione, alla solidarietà, al rispetto per la propria persona umana. 

Le azioni educative familiari sono legate alla temporalità, ma lo scorrere del tempo non ha un andamento lineare e omogeneo; le transizioni da una fase ad un’altra della famiglia scandiscono l’evoluzione relazionale ed educativa in percorsi di perenne trasformazione personale e del nucleo. Ogni  progetto di sostegno nelle situazioni di infelicità familiare presuppone la responsabilità (intesa nel senso etimologico di respondeo) verso la chiamata di qualcuno, conseguente alla capacità di vedere la sofferenza dell’altro:  è un atto di decisione per corrispondere al veduto e “all’appello che viene dall’altro”. Lo scorrere del tempo nella vita  familiare è un continuo sovrapporsi del tempo vissuto, del tempo durata, del tempo ciclico, e anche del tempo imprevisto che irrompe nello scorrere ordinario. 

Il saper vedere l’altro nella sofferenza diventa così un atto di “responsabilità”. Hannah Arendt sottolinea infatti come lo sguardo, il vedere e anche l’udire siano decisivi per la nostra responsabilità, davanti al mondo e alla storia, per aiutare e sostenere chi attraversa i giorni del dolore.

Foto di Rosie Sun su Unsplash

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