Volontariato

Quando il dolore diventa arte

L’artista spagnola Cristina Nuñez usa la fotografia come terapia. Ha creato un metodo, #The Self Portrait Experience, che insegna in tutto il mondo, per trasformare il dolore e le emozioni attraverso l’autoritratto.

di Cristina Barbetta

Arte e percorso biografico si fondono strettamente nel percorso di Cristina Nuñez.
Artista autodidatta spagnola, nata a Figueras nel 1962, dopo un’adolescenza di fragilità e di dipendenza dall’eroina si avvicina alla fotografia. E grazie a questo incontro la sua vita cambia.

E’ del 1988 il suo primo autoritratto.

«Ho deciso di volgere l’obiettivo verso di me per trovare quello sguardo profondo che prima chiedevo agli altri e che adesso dò a me stessa, rendendomi indipendente e visibile al mondo».


Come dice Cristina Nuñez nel suo talk al TEDxMilanoWomen, che si è svolto di recente nel capoluogo lombardo, dove l’artista ha vissuto per 24 anni: «L’autoritratto ha un grande potere terapeutico, è un modo per esprimere le proprie emozioni e il proprio dolore, trasformandoli, e di esplorare in modo creativo la propria identità».
L’autoritratto è terapeutico perché esprimendo il dolore ce ne si distacca e si riesce a liberarsene.

E’ un mezzo per ritrovare l’autostima ed esplorare la propria identità, «che non è fissa, ma è molteplice e mutevole, è sempre in trasformazione. E’ espressione del nostro inconscio, ci spinge a prendere contatto con le nostre emozioni, a comunicarle e a dialogare in modo potente con noi stessi».

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Dopo essersi fotografata per anni, nel 2005 Cristina Nuñez si rende conto che il suo metodo dell’autoritratto terapeutico può essere utile anche agli altri.

Nasce così The Self Portrait Experience, un processo di esplorazione interiore attraverso l’autoritratto , condiviso con il pubblico, che la Nuñez pratica da 10 anni in tutto il mondo, da New York a Madrid, a Oslo, a Napoli, al Bangladesh.
Con questo metodo «le persone possono convertire il loro dolore in arte, perché il nostro dolore ha un potere creativo e sociale enorme».
Le sessioni di autoritratto si svolgono nello studio dell’artista seguendo le sue indicazioni. Chi partecipa si ritrova solo con l’obiettivo puntato sul viso, e la possibilità di esprimere liberamente i propri sentimenti, dalla rabbia, alla tristezza, all’euforia, e di fissarli in un autoritratto.

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La Nuñez ha insegnato il suo metodo in giro per il mondo, facendo workshop con i bambini, gli adolescenti, i terapeuti, i tossicodipendenti, gli ammalati di AIDS, nelle carceri, nei musei, nelle gallerie, nelle università…

Come in “Palermo uno sguardo a fuoco”, un progetto realizzato con l’Università di Palermo e l’Azienda Sanitaria Provinciale in cui per la prima volta la fotografia è usata come strumento di reinserimento sociale per 25 persone con dipendenze patologiche.

Il lavoro di Cristina Nuñez è riconosciuto a livello internazionale ed esposto in musei e gallerie in tutto il mondo.
Il percorso personale attraverso cui è arrivata a sviluppare il suo metodo è raccontato, attraverso la stessa voce dell’autrice, nel video Someone to Love, un’autobiografia raccontata attraverso i migliori autoritratti dell’artista, così come video, testi e ritratti di famiglia, realizzati in 25 anni (1998-2011).
L’artista, dopo avere illustrato la storia della sua famiglia, la sua infanzia e la sua adolescenza difficile, la dipendenza dalla droga e la scoperta dell’autoritratto, esamina le sue relazioni, il suo posto nel mondo e il suo ruolo di insegnante, per mostrare che il suo metodo «è un’ottima medicina per il corpo e per la mente».

Someone to Love, che è stato proiettato al Mois de la Photo di Montreal del 2011, ha vinto il Celeste Prize del 2012.

«A differenza del selfie, che è un’immagine pubblica controllata, perché chi lo fa controlla l’immagine che vuole dare al mondo» conclude la Nuñez, «l’autoritratto è espressione del nostro inconscio, è lasciare che l’inconscio parli con il linguaggio dell’arte».

Le foto e il video Someone to Love sono di Cristina Nuñez.

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