Famiglia

Quando i profughi africani sbarcano in Africa

I profughi che arrivano in Europa sono una piccola minoranza rispetto ai milioni di disperati espulsi dai loro Paesi. Molti ora puntano sul Sudafrica.

di Emanuela Citterio

E’ l?America dell?Africa. L?imbuto verso cui confluiscono i rivoli piu` audaci delle masse che vagano nel continente piu` povero del mondo. L?immigrazione non riguarda solo i Paesi del nord del mondo. Il Sudafrica – un prodotto interno lordo dodici volte superiore alla media degli altri Paesi subsahariani, un?economia attorno a cui gravitano ormai quasi tutti gli Stati dell?Africa australe – è diventato negli ultimi dieci anni la terra promessa per chi scappa da guerre e povertà. Per arrivarci si fa di tutto. La maggior parte degli ingressi avviene dalla frontiera mozambicana, anche se per farcela bisogna passare su un campo minato oppure, unica alternativa, attraversare a nuoto un fiume pieno di coccodrilli. Se in Sudafrica c?è una New York, quella è Cape Town. «Arrivano 500 rifugiati al mese», dice l?italiano Arcangelo Maira, «qui pensano di risolvere tutti i problemi, invece si trovano in un Paese pieno di contraddizioni, senza documenti e senza nessuna tutela». Che sarebbe diventato l?angelo dei migranti, padre Maira ce l?aveva scritto nel nome e nella storia, anche se tutto è cominciato quando ha scelto di entrare negli scalabriniani, un ordine religioso che ha come missione la tutela e l?accompagnamento delle persone che migrano. Di origini siciliane, Arcangelo il clandestino lo ha fatto anche lui. In Svizzera, da bambino, insieme a tutta la sua numerosa famiglia, al seguito di un padre costretto a lasciare la sua terra per un lavoro stagionale oltralpe. Dal 2001 è responsabile del servizio di prima accoglienza per i rifugiati degli scalabriniani nel quartiere di Woostock. «A Cape Town i rifugiati sono almeno 35 mila» afferma. «I primi sono arrivati subito dopo la fine dell?apartheid, nel 94. Poi i flussi sono proseguiti, a seguito dei conflitti e delle crisi che hanno scosso Paesi e intere aree del continente». I primi profughi a riparare in Sudafrica, nel 1994, sono stati gli angolani in fuga dalla guerra civile. Poi dal Ruanda e dal Burundi sono arrivati gli esuli terrorizzati dal genocidio, poi la gente vessata dalla guerra per il controllo delle risorse nella Repubblica democratica del Congo. La crisi politica nello Zimbabwe di Mugabe e la guerra civile in Liberia hanno provocato le ultime due grosse ondate. In Sudafrica si ha il polso della quantità di uomini donne e bambini che vagano senza più casa per il continente: nel 2001 solo gli sfollati angolani erano 3 milioni e 800mila, 2 milioni i congolesi, 600mila i burundesi, 4 milioni e mezzo i sudanesi. «Il Sudafrica non fa nulla per migliorare l?integrazione», dice padre Arcangelo, «fino all?anno scorso i rifugiati ottenevano un permesso di sei mesi durante i quali non potevano né studiare né lavorare. In pratica un?istigazione a delinquere». La situazione è cambiata a partire dallo scorso gennaio, quando la norma è stata giudicata anticostituzionale in seguito a una campagna condotta da molte associazioni della società civile, dalle chiese e dalle università. Ma integrarsi, per chi raggiunge il Sudafrica, resta molto difficile. La terra promessa si rivela ben presto un Paese pieno di contraddizioni, che deve fare i conti con una disoccupazione che tocca il 40% e una tensione sociale altissima. Soprattutto nelle township, le baraccopoli che si incontrano appena fuori dal centro delle grandi città. A Cape Town il 20% della popolazione vive lì. «Le contraddizioni nascono anche dalla scarsa integrazione», spiega padre Maira. «Nelle township i bambini muoiono per le malattie per la scarsità di medici e assistenza sanitaria. E tra gli immigrati ci sono medici costretti a fare i parcheggiatori perché non hanno il permesso di esercitare». «Per i sudafricani gli immigrati non sono che mkweri mkweri, ?spazzatura? in lingua xhosa», continua Arcangelo. «Eppure, molti rifugiati sono professionisti, una potenziale ricchezza per il Paese». Ogni mercoledì il padre scalabriniano accoglie i nuovi arrivati con una razione di cibo: un sacchetto di riso, sardine e farina di mais. «è un modo per trasmettere loro un po? di calore umano, per farli sentire in un ambiente diverso da quello freddo e burocratico degli uffici che rilasciano i documenti. Molti hanno già dentro una grande sofferenza per le privazioni e le violenze subite. Soprattutto le donne, che spesso devono pagare con il proprio corpo l?attraversamento della frontiera». Il servizio per i rifugiati scalabriniano offre anche consulenza legale gratuita, assistenza sanitaria di base, corsi di lingua inglese. Il tutto gestito da 30 volontari che si alternano per dare una mano a padre Maira. In molti casi si tratta di persone che hanno vissuto l?esperienza dura dell?immigrazione. Come Fernanda, portoghese, fuggita dal Mozambico durante la guerra di indipendenza, che vive da anni in Sudafrica e ora passa gran parte del suo tempo al centro per aiutare altri rifugiati. «Cape Town», conclude padre Maira, «con i suoi grattacieli e le sue grandi strade trafficate, non è l?Africa che avevo sempre immaginato» dice. « Volevo conoscere l?Africa e tutta l?Africa è venuta da me». Info: Frontiere2 alla riscossa Si chiamava ?Frontiere borders fronteras?: un cd multimediale realizzato per raccontare le frontiere del pianeta, a partire da un progetto condiviso dai missionari scalabriniani, da ?Vita? e dalla regione Lombardia. Lo scorso anno il cd e una mostra fotografica hanno fatto conoscere la realtà dei migranti in diversi Paesi del sud del mondo e l?opera dei missionari scalabriniani. E ora sette ragazzi partono per un periodo di volontariato di alcuni mesi in Colombia e Sudafrica. Per Giulia, Silvia e Daniela l?esperienza è già iniziata lo scorso luglio a Bogotà, in Colombia. Mauro e Verusca, fidanzati, daranno loro il cambio a ottobre per un periodo di sei mesi. Li raggingerà anche Romina, per un tirocinio in accordo con l?Università di Padova. Per il Sudafrica partirà Teresa, a settembre, per lavorare sei mesi nel progetto per i rifugiati di Cape Town. Info: ScalaNet


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