Non profit

quando gli aiuti umanitari si trasformano in armi improprie

L’uso degli aiuti umanitari non è mai stato neutro, ma sino a oggi non si era mai verificato che diventasse parte integrante di un dispositivo bellico.

di Raffaele Salinari

La guerra è un tremendo strumento di mutazione. Sotto le macerie di Kabul rischiano di rimanere anche i pochi frammenti di quel ?nuovo ordine mondiale? che il crollo del muro di Berlino aveva fatto sperare. Le azioni di guerra stanno infatti non solo portando la lotta contro il terrorismo sul suo stesso terreno e con gli stessi assurdi mezzi, ma impongono anche un nuovo sistema di coerenza di politiche internazionali in cui il diritto d?ingerenza umanitario è trasformato in arma da guerra. L?uso degli aiuti umanitari non è mai stato neutro, ma sino a oggi non si era mai verificato che diventasse parte integrante di un dispositivo bellico. Durante la guerra nel Kosovo, gli aiuti vennero dopo i bombardamenti, separati dall?azione bellica. Chi gestiva la guerra non parlava di aiuti, se ne occupava qualcun altro, le ong ad esempio. In questo caso chi dirige le azioni belliche annovera nel suo arsenale anche questa ?arma impropria?. Il bastone e la carota, per non lasciare nulla al di fuori del nuovo perimetro che l?alleanza contro il terrorismo vuole costruire. Si apre un dilemma tra chi dovrà gestire le tragedie lasciate dai missili sull?Afghanistan. Aiutare le popolazioni, certo, ma a quali condizioni? Dobbiamo essere chiari e non lasciarci condizionare da logiche che non ci appartengono. La nostra fedeltà non è né atlantica né verso altre macchine di morte, ma alla Dichiarazione universale dei diritti che impone l?eguaglianza di fronte al bisogno di aiuto. Noi stiamo dalla parte del diritto, anche di quel poco che riusciremo a trovare tra le macerie di Kabul.

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