Welfare

Quando gli agenti ci aiuteranno?

"Il carcere è società", l'esperienza di un ergastolano

di Redazione

Dedichiamo la rubrica al recente saggio di Vincenzo Andraous, Il carcere è società, (edizioni Vicolo del Pavone), basato sulla sua esperienza personale di ergastolano. Da qualche anno Andraous gira per l?Italia (permessi permettendo) per partecipare a convegni, conferenze, rappresentazioni teatrali. Molti, soprattutto fra i giovani che lo seguono, esprimono voglia di capire e sapere. Capire cos?è il carcere e sapere come è possibile passare dalla criminalità alla battaglia per i diritti civili dei detenuti. Andraous, infatti, è membro del Collettivo Verde del carcere di Voghera. Il capitolo che pubblichiamo si intitola:?Lo zoccolo duro?. «Il mio rapporto con le istituzioni non è più conflittuale da molto tempo. L?emancipazione dall?assoggettamento criminale mi ha aiutato a liberarmi dagli schemi fissi che il carcere incorpora e, nonostante tutto, dalla mia condizione di detenuto. Ma ci sono aspetti fondamentali da considerare per tentare di dare un senso alla funzione della pena. Spesso i detenuti compiono lievi infrazioni come un diverbio con un agente e si beccano un rapporto o, peggio, una denuncia. A causa dell?emotività e l?inesperienza di chi è più incline a sorvegliare che a rieducare, punire piuttosto che comprendere. In questi anni il corpo di polizia penitenziaria ha subito un?evoluzione positiva, però continuano a esserci resistenze nei confronti di un?azione educativa dei detenuti. Bisogna costruire una cultura consona allo spirito delle leggi, che consenta agli agenti di agire con professionalità e responsabilità. Perciò il detenuto assimila concezioni ancorate alla preoccupazione di impedire fughe, rivolte, risse. Chiudere le porte delle celle è senz?altro meno difficile che accompagnare un detenuto a scuola o aiutarlo in un percorso di risocializzazione. L?istituzione carceraria è un sistema piramidale che annulla qualsiasi possibilità di mediazione. In prigione tutto rimane statico e si continua a perseguire un obbiettivo assolutista per controllare e annullare i detenuti. D?altra parte la privazione della libertà e le restrizioni provocano nel detenuto, un?autoipnosi negativa che sfocierà in aggressività e violenza oppure in autocommiserazione. Privare un uomo recluso di ogni minima scelta responsabile, precludendogli ogni sfera di riservatezza ed escludendolo da ogni contatto affettivo e sessuale, significa spingerlo verso una regressione infantile. Possiamo affidarci a sofismi più eccelsi, ma senza l?apporto della polizia penitenziaria continueremo a costruire solo castelli di sabbia e non correremo incontro al tempo di quella umanità ritrovata che bussa alla porta» Vincenzo Andraous


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