Mondo

quale differenza tra onlus ed ente morale

Una recente ordinanza ripropone un annoso distinguo

di Redazione

«I Comuni in sede di bando di gara o di convenzione e di valutazione delle offerte economiche devono prevedere principi di prelazione a favore delle strutture che siano gestite da associazioni riconosciute in conformità alla vigente normativa regionale, onlus o enti morali aventi come finalità la protezione degli animali». Così si legge in un’ordinanza ministeriale sulla tutela e il benessere degli animali di affezione. Il problema che il nostro esperto affronta però non è relativo agli animali, ma alla terminologia usata.Prendo spunto da un’ordinanza del 16 luglio scorso del ministero del Lavoro, Salute e Politiche sociali (pubblicata nella GU del 7 settembre) per parlare della terminologia attinente il non profit. Nell’ordinanza relativa alle misure per garantire la tutela e il benessere degli animali di affezione, citando le tipologie di enti ai quali i Comuni possono affidare la gestione dei canili, si fa riferimento ad «associazioni riconosciute in conformità alla vigente normativa regionale, onlus o enti morali aventi come finalità la protezione degli animali».
Diceva Nanni Moretti in un film: «Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!».

Terminologia pleonastica
Mettiamoci nei panni dell’assessore che deve applicare l’ordinanza e che intende farsi aiutare dagli enti animalisti che operano sul territorio.Legge «associazioni riconosciute in conformità alla vigente normativa regionale». Rileva un pleonastico «vigente» e passa oltre, chiedendosi perché mai un assessore dovrebbe chiamare un ente che è «riconosciuto» secondo una legge che non è vigente! È inutile; quando parliamo di leggi – e delle loro applicazioni nel mondo reale – parliamo sempre e soltanto delle leggi vigenti. Non vi sembri un appunto da primo della classe: è che certe formule – abusate – sono inutili. E ciò che è inutile col tempo può essere dannoso. Perché la parola messa lì magari copiata da internet e che sembra “legalese”, rileva una stanchezza mentale, un non voler ragionare sul senso delle parole. Quante volte alla fine degli statuti si dice che la nostra «associazione è retta dalle norme vigenti di settore». Meglio sarebbe rimandare alle leggi specifiche di settore sottolineando che la vita dell’ente seguirà l’evoluzione delle leggi. Detto, per inciso, che chi è responsabile delle associazioni non sa neppure quali sono le leggi di settore, e che per “legge di settore” non deve intendersi solo quelle di legislazione speciale afferente il volontariato o le onlus ma anche – e a volte soprattutto – le leggi che regolano il settore di attività; nel caso specifico, quelle sulla protezione dell’ambiente, sulla tutela degli animali, et similia.

Norme nazionali e regionali
L’espressione «associazioni riconosciute in conformità alla vigente normativa regionale» apre un problema di interpretazione al nostro assessore. Le associazioni riconosciute sono regolate da norme nazionali (Codice civile e Dpr 361/00), e sono quegli enti che, avendo un patrimonio, sono responsabili autonomamente (senza quindi il coinvolgimento dei patrimoni di chi agisce in nome e per conto dell’ente) delle obbligazioni assunte dall’associazione stessa. Ma se poco oltre l’ordinanza parla di enti morali (che sono gli enti riconosciuti, quindi associazioni e fondazioni), allora qui si parla d’altro. L’ordinanza forse intendeva dire che possono essere coinvolti anche quegli enti che sono iscritti nei registri (volontariato, promozione sociale ecc.) regolati da leggi regionali che “derivano” da leggi nazionali. Non potevano scriverlo così? Almeno sulle onlus, l’ordinanza centra l’obiettivo. Le onlus non sono tra gli enti regolati da normative regionali, e quindi è corretto citarle distintamente.
Caro legislatore, quando parli di non profit, non straparlare, di’ la cosa giusta; i nostri assessori ti ringrazieranno.

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