Vi prego vivamente di leggere questa mail in un blog: http://blackcat.bloggy.biz/archive/3280.html , sarà un pugno allo stomaco, una ferita alla vostra convinzione di vivere in un mondo nel quale almeno qualche piccolo principio di convivenza civile è consolidato. Vi prego anche di lasciare a Barbara, la mamma del bimbo con sindrome di autismo un vostro pensiero, una riflessione, un abbraccio. Sono già più di 500 i commenti al post di Barbara, che mi è stato segnalato dagli amici della Ledha.
In poche parole un bimbo bellissimo, come tanti altri, ma che non parla e che ha reazioni diverse dagli altri, desiderava essere fotografato, in un centro commerciale della ridente metropoli di Milano, accanto alle auto a grandezza naturale, copie di quelle del film “Cars”. Insomma quello che diciamo da sempre: i bimbi, anche con disabilità, desiderano le medesime cose degli altri, vogliono divertirsi, gioire, condividere, magari anche una cosa semplice e banale come una foto da incorniciare a un centro commerciale. Perché no?
E invece succede l’irreparabile, il fotografo anziano si spazientisce perché il bimbo non si mette in posa nei due secondi due che sono dedicati a lui, gli urla, lo allontana, e nessuno reagisce. Una hostess del centro commerciale si avvicina e quando capisce, dalla mamma, che il bimbo è autistico, se ne esce con questa splendida frase: “MA SE NON E’ NORMALE NON LO DEVE PORTARE IN MEZZO ALLA GENTE”.
Siccome non credo che il fotografo e la hostess siano due mostri, ne traggo una prima conclusione: la loro cultura, la cultura nella quale sono immersi, le idee che ritengono giuste e motivate, non prevedono che la disabilità sia “normale” e vada non solo accettata, ma accolta, compresa, considerata con umano rispetto e attenzione, anche nelle piccole cose. Fare felice quel bimbo senza scontentare gli altri era facilissimo, bastava avere un po’ di pazienza e anche un pizzico di intelligenza.
Stiamo tornando indietro? Non lo so, però vorrei che la gente reagisse di più. Sul web, nei blog, questo accade, e giustamente Barbara, la mamma, sottolinea che discriminazioni di questo genere ne ha già vissute molte, solo che in questo caso ha deciso di scrivere, di raccontare, di fare i nomi (quello del centro commerciale). Come andrà a finire? Forse dipende anche da noi, non solo da lei.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.