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Putin al tramonto dell’Europa?

Un dialogo con il professor Vittorio Strada, che afferma: "l’Europa può avere ancora una parte importantissima nella soluzione della crisi fra Russia e Ucraina, anche perché il tutto si svolge sul suo territorio. L’Ucraina è Europa, la Russia è una parte speciale dell’Europa". L'isolamento non serve a nessuno

di Marco Dotti

"L'incontro potrà avere luogo solo e soltando se verranno concordate le posizioni su alcune questioni". Wladimir Putin è categorico e non lascia ombra al dubbio, Ciò che invece non si conosce – almeno non ufficialmente – è il contenuto di tali questioni che saranno al centro del vertice a quattro previsto per mercoledì prossimo a Minsk, capitale della Bielorussia e sede della Comunità degli Stati indipendenti .

I rappresentanti di Berlino, Mosca, Kiev e Parigi arriveranno, come sperano in tanti, alla firma di un accordo? Oppure prevarrà la posizione di chi vuole – sempre secondo un'espressione cara al presidente russo – un "mondo unipolare"? Il vicepresidente americano Joe Biden, nelle scorse ore,ha dichiarato che la via della guerra non è percorribile. Ciò nonostante – ha aggiunto – "gli Usa continueranno a fornire a Kiev assistenza alla sicurezza". "Assistenza alla sicurezza" è un modo come un altro per dire armi e intelligence.

Tra i confini dell’Europa, quello orientale è il più incerto, forse il più importante, sicuramente il meno conosciuto.  Ignorarlo, ignorando al tempo stesso le vicende storiche che su quel confine si sono stratificate e le tensioni geopolitiche che proprio in questi mesi lo stanno attraversando, rischia di portare l’Europa lungo una china che le sarà difficile risalire. Non solo per questioni economiche o militari, ma anche geografiche e geostoriche, culturali e di identità che attorno a quel confine si intrecciano.

Già direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Mosca e professore all’Università di Venezia, nel suo ultimo libro, edito da Marsilio con il titolo Europe. La Russia come frontiera (pagine 110, euro 14),  Vittorio Strada prende parola in maniera quanto mai illuminate su questa complessa vicenda. Lo abbiamo incontrato nell'ottobre scorso. Oggi più che mai ci sembra opportuno riproporre la sua lettura.

Professor Strada, l’Europa ha oramai perso la propria centralità. È un’affermazione ricorrente, non priva della sua evidenza. Pronunciandola, ascoltandola o leggendola non ci si chiede però rispetto a che cosa quella centralità è  stata persa o se invece, come osserva nel suo ultimo libro, non sia l’intero rapporto centro-periferia a essere stato travolto dal passaggio a un mondo multipolare, dove i centri sono molteplici, anche in seno alla stessa Europa. Dinanzi a questa crisi – mi passi l’espressione – “topografica”, improvvisamente affiora un limite, quello orientale, che avevamo dimenticato. Secondo lei a che cosa dobbiamo, oltre a dati di cronaca contingenti, questo riaffiorare della Russia come frontiera d’Europa?

Vittorio Strada: La ragione per cui questo confine merita un’attenzione particolare è evidente. Prima di tutto proprio lì, sul confine nord-orientale è esploso un grande conflitto europeo: il primo dal crollo dell’Unione Sovietica o meglio, il primo che lambisca in questi termini l’Europa dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Negli ultimi decenni ci sono state indubbiamente altre tensioni, ma uno scontro così diretto, militare e sanguinoso l’Europa non lo vedeva da decenni. Ecco allora che in quel punto preciso del confine europeo riaffiorano vecchie concrezioni e altre ne maturano, assieme a contraddizioni che vanno al di là di quello che è stato il conflitto della guerra fredda. La ragione per cui dobbiamo interessarci veramente, con rigore a questo confine sta proprio in questo misto di storia e novità che, nel mondo multipolare, non possiamo più interpretare servendoci di categorie obsolete.

C’è però chi insiste sul cliché del ritorno della guerra fredda, un’espressione  di George Orwell, che venne però usata per la prima volta nel senso che oramai conosciamo dall’influentissimo Walter Lippmann, che nel 1947 cominciò a scriverne sulle pagine del New York Herald Tribune…

Vittorio Strada: In effetti, “cold war” è un’espressione che, secondo una visione un po’ semplicistica della complessità che ci circonda potrebbe servire da chiave per comprendere l’odierna tensione multipolare. Ma è sbagliato applicarla a questa nuova realtà. La guerra fredda è stata un conflitto in primo luogo ideologico, declinato ovviamente in varie formule: totalitarismo contro Occidente democratico, anticapitalismo contro capitalismo, comunismo contro liberalismo. Con il crollo dell’Unione Sovietica, invece, la matrice ideologica della contrapposizione è finita. Dobbiamo cominciare a comprendere che siamo dinanzi a una situazione profondamente, forse tremendamente nuova. Recentemente, di ritorno dal suo viaggio in Corea del Sud, il Pontefice ha parlato di Terza guerra mondiale dandone anche una possibile definizione: un guerra spezzettata su vari fronti. Due, in effetti, sono i fronti dove ora si sta combattendo: quello mediterraneo-meridionale, dalla Libia alla Siria fino all’Iraq, e quello dell’Ucraina.

Non trova eccessivo parlare di Terza guerra mondiale?

Vittorio Strada: Forse lo è, ma coglie un nodo. E il nodo è tutto nella novità di questo conflitto rispetto al contesto in cui si sviluppa. Per quel che riguarda l’Ucraina, d’altronde, si tratta di una situazione realmente nuova. Non siamo di fronte a una Russia come declinazione della potenza comunista, ma come grande potenza decaduta, come superpotenza che ha perso il suo primato e  al suo interno ha grandi problemi. Un primo problema lo abbiamo visto alcuni anni fa in riferimento alla Cecenia. Un secondo problema per la Federazione Russa e per Putin è quello di riuscire a dominare l’area che un tempo faceva parte dell’Unione Sovietica. Ovviamente, qui si tratterebbe di dominarla non più nei termini di potenza tipici dell’Unione Sovietica, ma come area geopolitica da ricondurre sotto il proprio controllo. La prima area che la Russia vuole ricondurre sotto il proprio controllo è proprio l’Ucraina.

Perché proprio l’Ucraina?

Vittorio Strada: Perché l’Ucraina è essenziale per la politica di potenza che Vladimir Putin vuole sviluppare. È essenziale perché  nell’idea di unione Eurasiatica che muove Putin se accadesse che l’Ucraina, con la sua dimensione e la sua importanza di snodo geopolitico, non rientrasse in questa Unione farebbe crollare l’intero progetto politico o, comunque, lo condizionerebbe ponendolo in una condizione di debolezza. L’Ucraina, però, è uno Stato nazionale. Storicamente parlando, è l’ultimo Stato nazionale europeo. L’Ucraina è anche il più grande Stato europeo dopo la Russia, ma gli occidentali non hanno mai pensato potesse diventare uno snodo cruciale, quindi sono stati colti alla sprovvista per una serie di ragioni. 

Quali?

Vittorio Strada: Prima di tutto non hanno mai pensato all’Ucraina come Stato con una sua autonomia, con i suoi problemi e con un suo diritto di indipendenza. E poi perché non hanno mai pensato che la Russia avesse appetiti su quell’area. Sono stati colti alla sprovvista, cercando poi di correre ai ripari banalizzando tutto, mentre lì c’è una situazione davvero aggrovigliata. Ciò che però gli occidentali non hanno mai preso e neppure ora, dinanzi alla tragicità dei fatti, prendono in considerazione è il fatto che l’Ucraina ha iniziato il suo movimento di indipendenza addirittura due secoli fa. Non è una “nazione inventata” a tavolino poche settimane, mesi o anni fa oppure nata dopo il crollo dell’Unione Sovietica. L’Ucraina, come nazione indipendente, ha iniziato a avanzare le sue richieste non dall’Unione Sovietica ma dall’Impero Russia. Non dimentichiamoci mai che la Russia è stata un impero, del quale a suo tempo facevano parte anche gli Stati baltici e la Polonia. Dentro l’Impero, all’inizio dell’Ottocento, l’Ucraina ha iniziato a sviluppare il suo movimento. Al pari dei processi di formazione degli Stati nazionali europei  – pensiamo alla Germania o all’Italia – un analogo processo si è sviluppato in Ucraina e le prime forme di indipendenza sono state ottenute nel 1917, dopo la Rivoluzione bolscevica.  Questa indipendenza è durata due o tre anni, perché poi è stata ripresa dal potere di Mosca ed è entrata a far parte di un altro impero, l’Unione Sovietica. Resta però il fatto che la volontà di indipendenza e il sentimento nazionale si sono manifestati anche durante il periodo sovietico. Durante tutti gli anni 20, in Ucraina c’è stata una forma di nazional-comunismo, per cui pur restando nell’impero sovietico godeva di una sua autonomia specifica. Poi durante la Seconda guerra mondiale in Ucraina si è sviluppato un movimento anticomunista e antirusso. Tutto questo processo secolare è stato puntualmente ignorato e adesso l’Occidente non capisce perché l’Ucraina rivendichi la propria indipendenza.

Oltre alla geopolitica, c’é una concrezione storica che riaffiora in uno scenario completamente nuovo e, di fatto, sconvolge i parametri usuali di valutazione. Resta però un fatto, spesso evidenziato in termini prescrittivi da Zbigniew Brzezinski: senza lo spazio ucraino, il sogno di geopotenza neoimperiale per la Russia resterà tale.

Vittorio Strada: I media italiani, ma direi quelli occidentali in genere, ignorano completamente che l’Ucraina è uno Stato nazionale complesso, che ha tutto il suo diritto all’autonomia e all’indipendenza. In primo luogo perché è uno Stato riconosciuto sul piano del diritto internazionale, ma in secondo luogo anche perché questa indipendenza e questa autonomia hanno uno spessore storico che non si può, né si deve ignorare. La dimensione storica non va ignorata. Ma poi c’è un piano attuale, con un fatto che Brezinski mette in luce ma che è evidente: senza l’Ucraina il sogno di una nuova potenza imperiale è fragile. Il primo a saperlo è Vladimir Putin, perché senza l’Ucraina la sua politica di dialogo e potenza diventa impossibile: questo spiega una certa smania attorno i confini ucraini. La questione della Crimea, d’altronde, ha allarmato non poco gli ucraini.

Una tregua è però stata più volte proposta da Putin...

Vittorio Strada: Il punto non è la tregua, ma la volontà di dominio. Il problema russo-ucraino è quello più spinoso che vi sia sul pianeta. Certamente, la violenza dei terroristi dell’Isis spaventa, è raccapricciante e va fermata, ma qui c’è in ballo una grande potenza militare con una volontà espansionistica. Quando si parla di Federazione Russa, Nato, Unione Europea… e si pensa a quel che sta accadendo, c’è da rabbrividire. Bisognerebbe arrivare a un compromesso che veda il riconoscimento esplicito della sovranità dell’Ucraina sul suo territorio nazionale. Arriverà la Russia a questo? Potrebbe esserci una federalizzazione delle regioni contestate, a cui concedere grande autonomia, ma resta il fatto che già la pretesa di uno Stato di intervenire nelle questioni interne di un altro Stato sovrano è senza precedenti.

In apertura del suo libro, lei ricorda che Il tramonto dell’Occidente di Spengler venne tradotto in Russia con un titolo che suonava Il tramonto dell’Europa.  Un titolo profetico, non trova?

Vittorio Strada: Credo che l’Europa debba avere ancora una parte importantissima in questa vicenda. Anche perché il tutto si svolge sul suo territorio. L’Ucraina è Europa, la Russia è una parte speciale dell’Europa. L’eurocentrismo è finito da almeno un secolo, ma l’Europa anche se ha perso la sua centralità non ha perso la sua importanza. Anzi, questa è un’opportunità ultima per dimostrare al mondo di avere, nel mondo di oggi, un’autorità, un’autocoscienza, una cultura per giocare la sua carta. L’Europa sarà in grado di mostrarsi coesa, equilibrata, comune, dialogante ma ferma e decisa? Bisogna rafforzare l’unità europea nel rispetto delle sue interne differenze e accogliere senza remore l’Ucraina, evitando insieme l’isolamento (e autoisolamento) della Russia che a suo modo è parte essenziale dell’Europa.

Chi è

Vittorio Strada è nato a Milano nel 1929. È uno dei maggiori esperti di cultura russa in Europa. Dal 1970 al 2003 ha insegnato Lingua e letteratura russa all'Università Ca' Foscari di Venezia; dal 1992 al 1996 ha diretto l'Istituto Italiano di Cultura a Mosca. È stato iscritto al Partito Comunista italiano, mantenendo il suo forte dissenso rispetto al totalitarismo sovietico. Ha avuto rapporti stretti con tutti i maggiori intelletuali russi del secondo 900: con Boris Pasternak Strada ebbe incontri personali e fu lui a trasmettere a Feltrinelli un messaggio segreto in cui lo scrittore invitava l'editore a pubblicare ad ogni costo Il dottor Zivago, nonostante l'opposizione dei dirigenti sovietici.  

 

@oilforbook

 

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