Politica

Psichiatria. Le proposte Oms per uscirne. No ai manicomi

Per Saraceno, dell'organizzazione mondiale della sanità, si devono aiutare i paesi poveri a occuparsi di salute mentale. Puntando su famiglie e associazioni.

di Emanuela Citterio

Adirigere il progetto che disegnerà la mappa delle risorse per la salute mentale in tutto il pianeta c’è un italiano, il professor Benedetto Saraceno, responsabile del Dipartimento di salute mentale dell’Organizzazione mondiale della sanità. Vita lo ha intervistato.
Vita: Ma è proprio vero, professore, che la povertà influisce sulla malattia mentale?
Benedetto Saraceno: Non c’è una correlazione necessaria fra povertà e malattia mentale, ci sono però alcune malattie legate a problemi di nutrizione, alla mancanza di determinate risorse nell’acqua, a infezioni perinatali, tutti fattori che si riscontrano in prevalenza nei Paesi poveri. In Africa, per esempio, è più forte il rischio che un bambino subisca un trauma grave per le condizioni del parto e che quindi in futuro possa essere epilettico. Il ritardo mentale e l’epilessia sono più frequenti nei Paesi poveri.
Vita: E i Paesi ricchi? Ci sono patologie tipiche?
Saraceno: Certo. La depressione, per esempio, è molto più diffusa nei Paesi industrializzati. La percentuale di schizofrenici è più o meno la stessa in tutto il mondo, mentre il suicidio è più frequente nei Paesi poveri dell’est Europa.
Vita:Cosa si sta facendo nei Paesi poveri per la salute mentale?
Saraceno: L’Oms assiste i Paesi in via di sviluppo nel disegnare politiche di salute mentale e dei servizi più rispondenti ai bisogni, meno orientate alle grandi istituzioni psichiatriche (i manicomi) e sempre più orientati al sostegno delle comunità e delle famiglie dei pazienti. Anche grazie alle ong.
Vita: Qual è il loro ruolo?
Saraceno: Le ong locali in molti Paesi sostituiscono le carenze del sistema sanitario nazionale. Nel sud dell’India ad occuparsi dei malati di mente sono più le ong private che il sistema sanitario pubblico, che non ha i mezzi o forse la volontà di farlo. Le ong a volte non sono più un aiuto, ma finiscono con il rimpiazzare un sistema sanitario che non c’è o non funziona.
Vita: Cos’è il progetto Atlas?
Saraceno: È un gigantesco atlante della salute mentale che cerca di mappare le risorse disponibili in tutti i Paesi del mondo. È un progetto in costruzione, che nasce da una constatazione molto semplice: la comunità psichiatrica internazionale ha speso anni a raccogliere informazioni sempre più dettagliate su natura, misura, quantità, tipologia delle malattie mentali, però in questi anni non è stata raccolta nessuna informazione sulle risorse che i Paesi hanno a disposizione per occuparsi di questo disagio. Oggi sappiamo quali e quante malattie psichiatriche esistono nel mondo, ma ignoriamo quanti professionisti della salute mentale esistono in molti Paesi. Il progetto Atlas vuole riempire questa lacuna, ricostruendo Paese per Paese quali siano le risorse formali (medici, letti, psichiatri, assistenti sociali, psicologi, fondi per la salute mentale) e informali (ong, associazioni, iniziative) per affrontare il problema della malattia mentale.
Vita: Quali sono le linee di intervento dell’Oms per la salute mentale nei Paesi del Sud del mondo?
Saraceno: L’asse portante di ogni intervento è quello di occuparsi a fondo dei diritti umani dei malati mentali. Un altro obiettivo è formare alla gestione dei problemi di salute mentale i servizi della sanità di base. In terzo luogo, si sta cercando di cambiare il modello di assistenza, passando da quello ospedaliero a quello comunitario. Infine, c’è lo sforzo di rendere accessibili i farmaci, perché nemmeno quelli più semplici e a più basso costo sono alla portata della popolazione. Si tratta di criteri molto semplici, dietro cui ci sono però enormi progetti che l’Oms sostiene spesso con la collaborazione della Banca mondiale.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.