Welfare

Proviamo a curare l’Uomo nero. Non nascondiamolo

Lettera di un detenuto di nome Aldo Fiore. disperato e privato di ogni cosa, é rimasto completamente solo

di Cristina Giudici

Mi chiamo Aldo Fiore, nel ?93 sono stato denunciato per istigazione a delinquere e perciò ho attaccato migliaia di manifesti per la città contro il sistema e contro i magistrati. Sono stato arrestato nel dicembre del ?96 in seguito a una tragedia familiare. Da allora ho scritto ad alcuni giornali senza aver mai ricevuto risposte.
Mia moglie e mia figlia mi hanno denunciato per violenza sessuale. Il pm Pietro Forno mi ha rifilato mezzo codice penale e ha indagato anche sul mio passato politico. La mia situazione è tragica perché ultimamente mi sono molto isolato e sto attraversando una disgrazia economica; la salute ridotta a pezzi. in carcere, poi, ho rischiato la morte per rischio di perforazione dell?intestino. Psicologicamente sono incompatibile con la carcerazione (questo lo sapevo da sempre per questo ho sempre cercato di evitare di fare cose che mi potessero far finire qui). Sono rimasto solo, ho perso 15 chilogrammi e le massicce dosi di sedativi non mi fanno più nulla. Non riesco più a controllare la profonda depressione: nello scoprire di avere una figlia così malvagia (é paranoica e schizofrenica ) e perché mi hanno privato anche di mio figlio. Ora rischio 20 anni di galera e l?avvocato che ho avuto col gratuito patrocinio non ha neanche letto tutte le carte. Non so se arriverò al processo perché sono privo di tutto, non sono credente e fuori non ho più nessuno. Sono sul punto di farla finita. Sono al VI raggio di San Vittore al quinto piano e temo di impazzire. Questa lettera la faccio passare all?esterno grazie a un?assistente volontaria.

Questa lettera è stata scritta qualche mese fa, ma è arrivata in redazione solo ora, per mano di un consigliere comunale milanese. Ho deciso di pubblicarla perché credo che in questi mesi, siamo stati tutti investiti dalle notizie, a volte un po? diaboliche, sui pedofili, ma nessuno si è mai preso la briga di andare a vedere come e dove è andata a finire questa ?orda? di pedofili che improvvisamente ha inondato le pagine delle cronache dei giornali, salvo poi sparire improvvisamente nel giro di poche settimane. Non voglio prendere le difese di Aldo Fiore, di cui non conosco che questo breve scritto, ma vorrei prendere spunto da questa lettera per dare ai nostri lettori qualche informazione sui detenuti, incarcerati per stupro, pedofilia o atti di libidine.
Tali condannati vengono messi in sezioni apposite che vengono chiamate ?protette? perché, secondo le leggi non scritte delle galere, chi tocca bambini e donne merita di essere punito, possibilmente con lo stesso trattamento che loro stessi hanno inflitto alle proprie vittime. Quindi vivono, mangiano, dormono e vanno all?aria senza mai avere nessun contatto con gli altri detenuti, e sono per forza di cosa assoggettati a una doppia segregazione; quella del carcere e quella dei reparti ?protetti?. All?interno di queste sezioni non c?è traccia del lavoro volontario o ?trattamentale? che solitamente aiuta i detenuti, se non proprio a ?salvarsi?, almeno a ingannare l?ozio che, ormai è risaputo, rappresenta il nemico più insidioso per chi sta in carcere. Per sicurezza, ma anche perché c?è una tendenza del tutto comprensibile da parte della società a voler dimenticarsi dei mostri, di quelli che, fuori, potrebbero tornare a commettere abusi e violenze su persone indifese. Ma esiste anche un carcere, al confine fra la Calabria e la Campania, a Valle della Lucania, dove vengono destinati solo detenuti che hanno compiuto tali reati e dove il personale penitenziario, agenti ed educatori, è convinto che la maggior parte di loro siano soprattutto malati e in quanto tali abbiano diritto a essere curati più che puniti. Cosa vuole dire ciò? Forse, gli operatori penitenziari, i quali non possono disfarsi dei problemi semplicemente dimenticandosene o buttando via le chiavi delle celle, sono obbligati a interrogarsi sull?utilità della carcerazione per persone che, oltre a problemi di grave disagio sociale, soffrono anche di disturbi psichici. A Valle della Lucania, per esempio, dove gli agenti di polizia penitenziaria non devono preoccuparsi di vigilare sull?incolumità dei detenuti, la direzione del carcere ha creato un?équipe di medici, neuropsichiatri e psicologi che cercano di intervenire sull?origine della malattia che ha fatto scattare l?aggressione sessuale. Stando alle loro testimonianze i reati di stupro o pedofilia raramente vengono commessi da persone che hanno già fatto una scelta criminale o delinquenziale. Certo, è molto difficile riflettere serenamente se si pensa al piccolo Silvestro delle Cave, violentato e trucidato, o ai terribili fatti di Torre Annunziata. Ma se esiste una devianza di tali proporzioni, credo che valga la pena di interrogarsi su cosa si deve fare. Le carceri non possono servire solo per dimenticare il problema e a scacciare la paura dell?uomo nero, chiunque esso sia.

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