Mondo

Prove tecniche di pace

Medioriente: buona volontà e tanti ostacoli nei colloqui voluti da Obama

di Franco Bomprezzi

La pace che tutti vogliono ma che al momento decisivo sembra allontanarsi all’infinito: Obama vuole uscire con una intesa forte dai colloqui fra Israele e Palestinesi, ma le insidie e lo scetticismo di entrambe le popolazioni sono macigni che pesano sulla trattativa. Ecco come i giornali di oggi, che aprono quasi tutti con le parole di Napolitano a Venezia sul processo breve, affrontano questo tema, decisivo per gli equilibri mondiali.

Il Medioriente trova spazio in un piccolo trafiletto sulla prima del CORRIERE DELLA SERA “La grande occasione di Israele e Palestinesi”, con un’analisi di Antonio Ferrari: «I due protagonisti sono deboli: il premier israeliano Benjamin Netanyahu guida un governo prigioniero di un’estrema destra contraria a qualsiasi concessione, tuttavia riconosce che “Abu Mazen è il mio partner di pace”; l’assai più scettico presidente palestinese rappresenta però metà del suo popolo, in quanto l’altra metà obbedisce ai fondamentalisti di Hamas, che rifiutano questi “inutili colloqui”. E poi perché se il processo non si riavvia, il rischio di altri conflitti diventerebbe inevitabile, quindi intollerabile. Lo sanno bene tutti (…) Un onorevole compromesso gioverebbe a tutti: a Netanyahu, come leader di un paese che ha bisogno della pace anche per difendere l’ebraicità dello stato davanti alla sfida demografica; ad Abu Mazen, per recuperare il prestigio perduto e convincere Hamas con qualche concreto risultato. A Obama, dopo il ritiro dall’Iraq e le difficoltà in Afghanistan; al mondo arabo, che teme nuove guerre; e anche a noi europei, che finora in Medio Oriente abbiamo contato davvero poco.

Fotonotizia in apertura e servizi a pagina 8 e 9 per LA REPUBBLICA. E’ questo lo spazio che il quotidiano diretto da Ezio Mauro dedica al vertice di Washington, dove il leader israeliano, Benyamin Netanyahu, e il suo corrispettivo palestinese, Abu Mazen, si sono incontrati sotto l’egida della Casa Bianca (e Ue) per ritrovare un percorso di pace in Medioriente. Le due missioni impossibili, le chiama Thoms L. Friedman nel suo commento e aggiunge: «Il compianto leader israeliano Yitzhak Rabin diceva di voler lavorare per la pace con i palestinesi senza tener conto del terrorismo, e combattere i terroristi ignorando il processo di pace. Un duplice impegno che tutti i moderati iracheni, arabi, palestinesi e israeliani dovranno adottare. Mao diceva che una rivoluzìone non è un invito a cena; ma non vi sono cambiamenti rivoluzionari da portare in Medio Oriente. Io spero che a mettersi all’opera saranno le forze della moderazione. Anche perché i malintenzionati non daranno tregua. Sanno qual è la posta in gioco e andranno fino in fondo». Fanno da cornice al lungo servizio sui negoziati di pace l’intervista-shock a Barack, il ministro della difesa israeliano, che preannuncia una parziale cessione di Gerusalemme est all’Autorità nazionale palestinese e un’intervista a Pierbattista Pizzaballa, custode di Terrasanta per il Vaticano, dal titolo “Un nuovo status per i luoghi santi sarebbe la soluzione migliore”, stupito proprio dalle dichiarazioni di Barak: «mi sembrano affermazioni che arrivano un po’ fuori contesto, siamo stati abituati in questi ultimi anni ad affermazioni piuttosto ferme da parte del governo israeliano e sinceramente erano tutte davvero poco inclini al compromesso» e propone «Gerusalemme è una città non semplice, e poi nel mondo religioso è sempre difficile chiarire le cose una volta per tutte, ma avere una struttura  dedicata solo alla gestione delle zone sante svilirebbe comunque le tensioni che inevitabilmente si vengono a creare».

«Potreste dar torto a israeliani e palestinesi?» E’ questa la domanda di Ugo Tramballi, nel sul pezzo di apertura sulla ripresa dei negoziati di pace in Medioriente lanciato in prima su IL SOLE 24 ORE. E continua: «la maggioranza degli israeliani non crede che l’avversario abbia sinceramente intenzione di vivere in pace e teme che uno stato palestinese sia una minaccia. Nessun palestinese crede che Israele si ritirerà dalla Cisgiordania e acconsentirà mai all’indipendenza palestinese». Un articolo che illustra e ripercorre sinteticamente le tappe dei tanti negoziati falliti, le illusioni create, i piani stilati, le guerre e le speranze di pace. «Alla domanda: “volete la pace?” – continua Tramballi – israeliani e palestinesi hanno sempre detto si con percentuali plebiscitarie. Ma quando i negoziatori definiscono quella pace, le cose cambiano: Gerusalemme, profughi, colonie, sicurezza  erodono ai minimi termini la voglia di normalità».
Segue un intervento di Piero Fassino, esponente PD e Rapporteur sul Medio Oriente per il Consiglio d’Europa: “Un compromesso oggi è possibile”: «Di una cosa occorre essere consapevoli: anni di conflitti ci dicono che il tempo non lavora per la pace. E, dunque, è adesso che ciascuno deve agire e sentire la responsabilità di non perdere ancora una volta l’occasione forse l’ultima – della pace».

“Israele parla di pace ma pensa all’economia” è il titolo su IL GIORNALE dell’analisi scritta da Segre che nota: «C’è un fattore nuovo: la trasformazione di Israele da fattore militare occidentale problematico in fattore economico-energetico asiatico di crescente peso. Una evoluzione tanto più sorprendente se si tiene conto dell’immagine di Stato in permanente pericolo di eliminazione, delegittimato dal mondo islamico e di sinistra, considerato minato dall’interno da insolubili problemi di identità, dipendente dagli aiuti americi e dalla beneficenza ebraica, seduto sui carri armati e sulla sofferenze dei palestinesi imprigionati a Gaza, oppressi in Cisgiordania e all’interno di Israele stesso». Segre conclude: «La molla del cambiamento politico strategico di Israele è nella sua trasformazione entro il 2015 in esportatore di gas. Questo trasforma la sua posizione nei confronti dei Paesi occidentali che hanno corteggiato sinora i Paesi arabi».

«Israele – Palestina, da Obama vertice al buio» è questo il piccolo richiamo in prima pagina de IL MANIFESTO che rimanda a pagina 9 dove l’articolo di apertura è intitolato: «Israeliani e palestinesi in gita a Washington», nel sommario: «Al centro dei colloqui Gerusalemme, il diritto al ritorno dei profughi, le risorse naturali, la sicurezza di Tel Aviv, i confini dello stato di Palestina. E il riconoscimento da parte dell’Anp del carattere ebraico dello stato di Israele. Ma intanto il governo di Netanyahu annuncia la fine della moratoria sugli insediamenti a partire da fine settembre». Nell’articolo si sottolinea il fatto che si tratta di colloqui fortemente voluti da Obama che «(…) Più di tutto vuole ottenere un nuovo mandato ed è convinto che il prestigio derivante da un accordo tra Israele e palestinesi gli consentirà di tenere in tasca per altri quattro anni le chiavi della Casa Bianca. Ma le probabilità che ciò si realizzi grazie al negoziato mediorientale sono molto basse (…)». L’articolo di spalla presenta i colloqui visti da Gaza «La pace economica? Io voglio un Paese». Nel testo di Vittorio Arrigoni le voci di alcuni abitanti della Striscia, tutti molto critici, tra cui «Mahfuz, pescatore di Gaza city: “Dare il tempo a Israele di ripulire Gerusalemme dagli arabi, questo il senso dei negoziati (…)”», unica voce diversa «Munir, taxista, va contromano: “Sono felice per questi negoziati, è possibile che ci consentano di tornare a viaggiare e magari lavorare in Israele. Ho molta fiducia in Abu Mazen (…)». Tra tante voci comuni anche quella di Haider Eid, docente universitario e baluardo del Bds, la campagna di boicottaggio a Israele che dice: «Questi negoziati sono uno schiaffo in faccia alle 1400 vittime dell’ultima guerra israeliana e ai martiri della Freedom Flottilla (…) Il cosiddetto “processo di pace” non ha in realtà tanto a che vedere con la pace, quanto con il processo in sé».
  
“Pace per il Medioriente. Israele e Anp alla prova” è il titolo del richiamo in prima di AVVENIRE sui colloqui a Washington.  A pagina 5 gli approfondimenti sul primo faccia a faccia tra il capo del governo ebraico e il presidente dell’Anp si aprono con la corrispondenza da New York di Elena Molinari che sottolinea: «Sono già emersi i nodi che i negoziatori di entrambe le parti non sono riusciti a sciogliere: terrorismo di Hamas e rappresanglie israeliane, costruzione di nuovi insediamenti ebraici, lo status di Gerusalemme, i confini dello Stato palestinese». Il ministro israeliano della Difesa Barak  si era detto disposto a consegnare Gerusalemme Est ai palestinesi, ma il premier ha smentito dicendo che «rimarrà la capitale indivisa di Israele». Seguono due interviste: al politico palestinese Mustafa Barghouthi e all’israeliano Shlomo Brom. Secondo Barghouthi la situazione è a rischio come a Camp David e ci sono troppi ostacoli, oltre al fatto che «La leadership di Abu Mazen non riflette le necessità della gente. La soluzione dei due Stati è già morta. A questo punto, meglio un unico Stato, democratico, con il voto per tutti e per tutti uguali diritti e uguali doveri». Per l’analista israeliano Brom i due leader finiranno per siglare un accordo silenzioso e  facile da seppellire alla prima occasione perché «il premier ebraico non può concedere nulla o avrà problemi in casa, mentre al leader dell’Autorità palestinese, che è in posizione di grande debolezza, conviene un fallimento per poi addossare la responsabilità agli israeliani». Sul tema della vita in Palestina oggi è anche il dialogo tra il direttore Marco Tarquinio e suor Roberta Vinerba a pagina 29. La testimonianza-reportage della suora appena tornata da un pellegrinaggio in Terra Santa è l’occasione per ricordare che «i muri si abbattono” e che “l’unica alternativa ragionevole e giusta può venire dal dialogo».

«Obama: “Gli estremisti non fermeranno la pace in Medio Oriente”» è il titolo in prima pagina su LA STAMPA, che all’argomento dedica le pagine 4 e 5. L’inviato a Washington Maurizio Molinari descrive le prospettive dell’incontro alla Casa Bianca tra israeliani e palestinesi: «il negoziato preparato dal mediatore Usa George Mitchell punta a raggiungere l’intesa sullo status finale entro 12 mesi». Un box si sofferma sul mediatore Mitchell, «già artefice dell’accordo di pace in Irlanda del Nord». Ha detto di essere pronto a «incassare 700 no da entrambe le parti per ottenere l’unico sì che conta, quello dell’intesa finale». Ma le cose non saranno semplici: «Le aspettative da entrambe le parti sembrano basse. I portavoce di Abu Mazen ribadiscono che «senza un rinnovo della moratoria sugli insediamenti in Cisgiordania non continueremo i colloqui», mentre nel campo israeliano si ripropongono le divisioni interne», scrive Molinari. Da Gerusalemme invece arriva il reportage di Paola Caridi: «Tra i coloni di Beit Haggai, dopo il massacro di Hamas: “Uno stato palestinese? Sarebbe la fine di quello ebraico”». Gli abitanti dell’insediamento si aspettavano episodi di violenza come quello di ieri: «E’ sempre così prima delle trattative», dicono.

E inoltre sui giornali di oggi:

GHEDDAFI
LA STAMPA – Intervista al Ministro degli esteri Franco Frattini. Nel titolo: «Gheddafi ci apre le porte in tutta l’Africa». Il ministro afferma: «Non mi faccio impressionare dalla frase sull’Europa islamica, era folklore». E precisa: «io so dalla figlia di un mio amico fraterno, che per un caso era lì, che Gheddafi ha parlato di un islam che deve essere europeo, non di un’Europa da Islamizzare». Sulle polemiche sorte nel suo schieramento dice «Anche nel centrodestra c’è gente che non capisce la politica internazionale. Come è possibile esserci battuti tutti, anche Maurizio Lupi e Mario Mauro, per le radici cristiane dell’Europa e poi arrivare a farsi spaventare da una battuta, certamente folcloristica e provocatoria? Io non mi impressiono di niente». Frattini ammette di aver sbagliato a non informare Napolitano della visita del leader libico: «E’ stato un errore mio, da ora in avanti la Farnesina informerà sempre il Capo dello Stato, col quale ho parlato martedì sera, scusandomi».

VALLANZASCA
CORRIERE DELLA SERA – Intervista a Kim Rossi Stuart, che interpreta il bel René nel film di Michele Placido: «Prima di scagliarsi contro una persona folle e selvaggia nel suo modo di affrontare la vita, tutti quanti dovrebbero fare un’autocritica, un’autoanalisi molto profonda. Una società basata sull’egoismo, sul profitto, sulla manipolazione degli esseri umani; come può pensare, una società del genere, di non produrre i Vallanzasca? Un attore deve cercare non di giudicare il personaggio, ma di scoprirlo, esplorarlo, farne emergere più aspetti possibile. Per me il mestiere dell’attore significa creare consapevolezza in me stesso e nello spettatore. L’idea di fare un film “pro” o “contro” qualcuno è lontana dai miei presupposti. Questo non è un film pro Vallanzasca. Racconta la vita surreale di un uomo che ha accumulato strumenti per analizzare profondamente se stesso. La frase-chiave arriva verso la fine, quando Vallanzasca dice: “Io non sono cattivo. Ho un lato oscuro molto pronunciato”.  Aggiungo un parere personale: non ha senso accanirsi su un uomo che ha pagato con quarant’anni di galera, come credo nessun altro in questo Paese. Un uomo che non si è mai tirato indietro, che ha affrontato la giusta pena».

MARCHETTO
IL MANIFESTO – Ampio spazio viene dato da IL MANIFESTO alle dimissioni di monsignor Marchetto: è il primo dei richiami in prima pagina con tanto di foto e l’articolo sul caso occupa quasi completamente la pagina 4. «Un “ministro” troppo scomodo» è il titolo dedicato al prelato che era stato nominato nel 2001 da Wojtyla a capo del consiglio per i migranti, nel catenaccio si sottolinea che «aveva criticato le espulsioni dei rom». Nell’articolo inoltre si spiega che le dimissioni rientrano in una procedura normale «Di sicuro, però, non si è perso tempo nell’accettarle».

SCUOLA
IL SOLE 24 ORE – Merita l’apertura in prima, taglio medio-basso, ma pur sempre in prima: “Non è un paese per presidi: 1600 scuole senza guida”. Claudio Tucci fa un tuffo nei paradossi del sistema scolastico italiano. Uno fra i tanti: «Nelle graduatorie di chi sogna una cattedra da insegnante è boom di iscritti: oltre 230mila persone, anche plurititolate. Tanti precari, ma pochi presidi». Tanto che quest’anno le sedi vacanti saranno 1600.

IL MANIFESTO – L’apertura e due pagine interne sono dedicata all’imminente apertura delle scuole e alle proteste dei precari che stanno dilagando. «Affamati», questo il titolo che sfonda la fotografia di un piatto d carta con il cartello «S-vendesi scuola pubblica fuori tutti! Rivolgersi a: min. Gelmini, Tremonti & Brunetta» Si racconta della protesta dei precari «in 41mila rischiano di non ritrovare il posto di lavoro. Dopo i digiuni dei docenti siciliani e di Benevento, insegnanti in sciopero della fame anche a Milano e in Friuli. Solidarizza con i manifestanti l’intera opposizione, dal Partito democratico all’Idv, da Sel a Rifondazione. E il governo tace», sintetizza IL MANIFESTO. Di spalla a pagina 3 una colonna è dedicata alla situazione francese, «La mannaia di Sarkò sugli insegnanti», la scuola in Francia inizia oggi e già si annunciano i primi scioperi. In sintesi alcune novità della scuola francese tra le quali anche la presenza di un poliziotto in 53 istituti «dove sono stati segnalati il maggior numero di atti di violenza, per sperimentare la presenza di un poliziotto, in uniforme e armato, a scuola. La polizia avrà in questi istituti, il cui nome è ancora segreto, un vero e proprio ufficio, dove potrà procedere a degli interrogatori».

ABORTO
AVVENIRE – A pagina 11 un’inchiesta è dedicata al caso della ragazza incinta di Roma che ha chiesto aiuto a un consultorio ed è stata invitata ad abortire. “Lo Stato dimentica le maternità difficili” denunciano i Caf Acli illustrando un panorama desolante, con eccezioni solo in alcuni Comuni del nord. Secondo il Movimento per la vita “più fondi servirebbero come segnale di attenzione. Sui consultori da riformare in prima pagina anche l’editoriale “In fondo all’estate della discordia venga un sì alla vita” firmato da Marina Corradi.

ANIMALI
ITALIA OGGI – “Niente cani,sono impuri”. Nella sezione “Le notizie mai lette in Italia” il giornale dei professionisti dedica un pezzo all’ultimo editto di Teheran contro gli animali. Secondo l’articolo, saranno bandite tutte le pubblicità  riguardanti animali da compagnia. I cani, secondo l’interpretazione fatta dall’ayatollah Nasser Makarem Shirazi, sono considerati essere impuri. E per dare ulteriore validità all’editto, le autorità religiose in Iran si sono aggrappati alla scusa che «molte persone nell’occidente amano i loro cani più delle loro mogli e dei loro figli».


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