Non profit

Prove di nuovo esercito

«Nei Balcani abbiamo sperimentato un modello di difesa impegnato in compiti di peacekeeping e di cooperazione con le ong», dicono gli ufficiali. Ma sui costi vige la vecchia consegna del silenzio

di Walter Mariotti

L? Arcobaleno s?è rotto. La più «nobile pagina» del governo D?Alema, la «grande impresa umanitaria» per cui Rosa Russo Iervolino diceva di meritarsi «10 e lode» è andata in pezzi, con buona pace del suo venerando sponsor Eugenio Scalfari, che all?altezza della propria fama soltanto poche settimane fa fustigava lo «scandalo di aver montato un preteso scandalo».
Invece, lo scandalo è vero e vede protagonista una parte importante dello Stato italiano (altro che pochi ?mariuoli?). Uno Stato vittima dell?overtask ormai classico: misurarsi in imprese che farebbe meglio a lasciare a chi sa farle davvero. Con un?eccezione, fanno orgogliosamente sapere dall?Esercito italiano. «La nostra presenza all?interno di Missione Arcobaleno ha dimostrato che la contrapposizione tra ong ed Esercito appartiene alla storia», dice il Tenente Colonnello Massimo Panizzi, vicedirettore dell?Agenzia di Pubblica Informazione dello Stato Maggiore dell?Esercito e autore di uno studio sul rapporto tra militari e organizzazioni non governative. «L?esperienza del Kosovo ha rafforzato la consapevolezza che nel contesto delle operazioni di peacekeeping l?integrazione tra esercito e società civile garantisce gli strumenti più indicati per simili emergenze».
Dunque l?Esercito non diffida più delle organizzazioni non governative?
Al contrario. Come ho scritto le ong sono ormai uno strumento fondamentale per attuare progetti di cooperazione nei Paesi che vivono momenti di grave tensione. E di questo le Forze Armate sono più che consapevoli.
Una strana coppia. Come funziona?
Da noi le ong hanno compreso la necessità di adattare i progetti alle condizioni locali, spesso trascurate dalla cooperazione su larga scala. Le difficoltà operative, talora insormontabili, nella costruzione di infrastrutture, impianti industriali, trasferimenti di tecnologia trovano nelle strutture militari una partnership ideale.
Cosa fanno i militari nelle operazioni come Arcobaleno?
Nelle operazioni di peacekeeping i militari scortano i convogli, presidiano i centri, coordinano le strutture di assistenza sanitaria. Ma soprattutto, come nel caso Arcobaleno, realizzano l?interfaccia tra le ong e la popolazione locale, contribuendo a creare un clima di sicurezza, protezione e fiducia basato sulla presenza di un flusso di informazioni bilaterale. Senza parlare dei supporti informativi e comunicativi, la facilitazione all?accesso a zone chiuse ai non belligeranti, la ricerca continua di soluzioni d?emergenza.
Nessuna difficoltà di convivenza?
La differenza di mentalità e approccio ai problemi si è a volte tradotta in incomprensioni. Alle ong sembrava che la metolologia di intervento umanitario dei militari privilegiasse gli aspetti quantitativi e avesse un orizzonte temporale circoscritto.
E cosa rimproveravano i militari alle ong?
La tendenza a operare in modo incompatibile con il rispetto delle condizioni di sicurezza. La riluttanza a sottomettersi a forme di disciplina e una generale diffidenza verso l?organizzazione militare. Dopo le operazioni in Albania, Macedonia e Kosovo però, la maggior parte delle ong ha riconosciuto l?insostituibilità della metodologia organizzativa militare in presenza di simili condizioni.
Qual è stata la fase più critica dell?operazione Arcobaleno?
La situazione creatasi in Albania e in Macedonia dopo la guerra del Kosovo, l?emergenza profughi che si è sovrapposta alla ricostruzione e ai progetti di sviluppo: un?emergenza senza precedenti. Ong diverse per struttura, obiettivi ed estrazione culturale e sociale si sono trovate a operare insieme su un campo dove emergenza e sviluppo si sono fusi. Ciò ha creato alle Forze Armate notevoli problemi di coordinamento.
Come sono stati risolti?
Sfatando appunto il mito della contrapposizione ong-Forze Armate in una completa cooperazione civile-militare per tutta l?Operazione Arcobaleno. Una cooperazione nella cooperazione, insomma.
Cosa ha concluso l?Esercito dall?esperienza Arcobaleno?
Ho studiato la situazione generale. Il conflitto nei Balcani ha riproposto il problema del coordinamento delle agenzie umanitarie, già all?attenzione delle Nazioni Unite come conseguenza della consapevolezza dei governi sull?opera delle ong nelle crisi internazionali. è stato acquisito che la cooperazione dà voce concreta alla solidarietà della comunità internazionale, di cui rappresenta ormai uno strumento irrinunciabile.
Quale futuro augura l?Esercito alle ong?
Il nuovo disegno di legge che si propone di riformare il settore, attualmente all?esame della commissione Esteri della Camera, potrebbe costituire un vero punto di svolta nella politica di cooperazione italiana. Un risultato che le Forze Armate hanno sicuramente contribuito a raggiungere.
Un quadretto idilliaco, dunque. Ma l?umile cronista deve chiedere alle FF. AA. un favore. Risparmiate, please, al prossimo giornalista in cerca dei budget delle missioni militari – che tra l?altro dovrebbero essere di pubblico dominio – le 71 telefonate (contate) alle strutture di comunicazione disseminate tra l?Esercito e il Ministero della Difesa. O comunque, se la dura disciplina militare deve proprio essere inflitta sempre e comunque, premiatelo alfine sul campo appuntandogli sul petto a mo? di medaglia le cifre che a questo avete negato. Altrimenti tutti i dubbi sono legittimi, anche quelli peggiori e indicibili.

Alba

Promossa e guidata dall?Italia, l?operazione internazionale Alba si è svolta dal 13 aprile al 12 agosto 1997, ufficialmente per consentire la distribuzione di aiuti umanitari, in realtà per impedire la guerra civile e consentire di avviare a soluzione la crisi politica albanese. Composta da 7000 uomini di 11 Paesi, fra i quali 3000 italiani, la Forza Multinazionale di Protezione (FNP) comandata dal generale Luciano Forlani ha effettuato in quattro mesi di attività circa 1700 azioni operative. L?Esercito Italiano ha contribuito con un totale di 2800 uomini, dei quali 1800 di truppa volontaria a ferma breve affiancati da 400 giovani volontari in servizio di leva.

Albanian Force

Per opporsi alla repressione serba dei profughi kosovari, dall?aprile all? agosto 1999 l?operazione Allied Harbour ha impiegato una forza multinazionale denominata Albanian Force (Afor) composta da circa 8000 uomini schierati in Albania. L?Esercito italiano ha contribuito con 2300 uomini: la Brigata Alpina Taurinense (1800 uomini) cui si sono aggiunti 300 fanti del reggimento San Marco e 160 carabinieri. Il contributo delle Forze Armate è stato il più consistente tra quelli forniti dagli alleati, permettendo all?Italia di ricoprire un ruolo centrale nella struttura di comando di Afor, in particolare con l?assegnazione del ruolo di Deputy Comafor al Maggiore Generale Ganguzza.

Kosovo Force

In seguito al fallimento delle conferenze di Rambouillet e di Parigi, il 30 aprile 1999 il Kosovo Force (KFor) presentava la pianificazione relativa al ?Force Entering?, prevedendo lo schieramento in Kosovo di circa 3600 uomini organizzati in 5 Brigate Framework. Alle Forze Armate italiane veniva assegnata l?area di Pec, dove il contingente formato da circa 5000 uomini della Brigata Garibaldi arrivava il 13 giugno, poco dopo la mezzanotte. Dal momento del suo insediamento la Brigata ha effettuato attività di ordine pubblico, controllo del territorio, sequestro di armi e munizioni, soccorso alla popolazione civile, ripristino della viabilità e delle comunicazioni radio. Il 7 settembre 1999 è avvenuto il passaggio di consegne con la Brigata Corazzata Ariete.

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