Sostenibilità
Protocollo di Kyoto: che ne pensano i candidati?
Il Patto per Kyoto chiede ai candidati alle elezioni 2006 un impegno per l'attuazione del protocollo.
di Redazione
Il Patto per Kyoto chiede ai candidati alle elezioni 2006 un impegno per l’attuazione del protocollo. A un anno dall’entrata in vigore del protocollo di Kyoto, avvenuta il 16 febbraio dello scorso anno, l’Italia è in netto ritardo sull?attuazione del Protocollo di Kyoto. In pratica poco o nulla si è fatto, mentre il nostro Paese ha superato del 12% i livelli di emissioni nazionali di gas serra rispetto al 1990. A fronte di un impegno di riduzione del 6,5% rispetto ai valori del 1990, la strada da percorrere appare lunga e complessa senza uno sforzo concreto da parte di tutte le forze in gioco e in particolare degli attori istituzionali. In tal senso le organizzazioni che hanno promosso e sottoscritto il patto per Kyoto (Greenpeace, Ises Italia, Issi, Kyoto Club, Legambiente, Wwf, Anev, Acli Anni Verdi, Aiab, Aiel, Anab, Aper, Assolterm, Cia, Coldiretti, Fiper, Itabia, Rete Lilliput, Sinistra Ecologista), una piattaforma di azioni concrete per l?attuazione del protocollo in Italia, hanno rivolto un appello alle liste che si presenteranno alle prossime elezioni politiche perché dichiarino esplicitamente il proprio impegno in tal senso. I mutamenti climatici sono in atto, lo dimostrano numerosi e autorevoli studi scientifici. “Servono soluzioni radicali, e servono subito. La nostra economia, più ancora che nel resto dell’Europa, continua a basarsi su logiche non sostenibili, fuori da ogni prospettiva di cambiamento del sistema energetico verso una minore dipendenza dalle fonti fossili”, sostengono i firmatari del Patto. Eppure “una politica orientata su quattro direttrici a forte potenziale di riduzione dei gas clima alteranti – il miglioramento dell’efficienza energetica negli usi civili ed industriali, lo sviluppo delle fonti rinnovabili, la qualificazione energetica dell?edilizia e la mobilità e trasporti sostenibili – avrebbe effetti positivi non solo sul terreno ambientale, in un momento in cui gli alti e crescenti prezzi del greggio creano uno svantaggio competitivo per l’Italia, ma consentirebbe anche la creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro, la riduzione della nostra dipendenza energetica dall’estero – con un conseguente stabilizzarsi dei prezzi dell’energia e del carico inflattivo che essa ha sull’economia, la riduzione dei ‘costi esterni’ a carico del servizio sanitario nazionale e dello Stato?.
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