Formazione

Prostituzione: ricerca Caritas ambrosiana

L'azione repressiva contro il fenomeno della 'tratta delle schiave', le immigrate condotte in Italia per prostituirsi, ha trasferito il problema dalla citta' alle strade extra-urbane, o nel chiuso

di Redazione

L’azione repressiva contro il fenomeno della ‘tratta delle schiave’, le immigrate condotte in Italia per prostituirsi, ha trasferito il problema dalla citta’ alle strade extra-urbane, o nel chiuso di appartamenti, ma il fatto che il fenomeno sia meno visibile e disturbante non significa che per le vittime – giovani donne di nazionalita’ straniera – le cose siano cambiate. Lo afferma una ricerca condotta per conto della Caritas ambrosiana da un’equipe di studiosi coordinata dal sociologo Maurizio Ambrosini e basata sull’analisi di documenti sul traffico di esseri umani attraverso le frontiere, materiali giudiziari e interviste a donne straniere uscite dalla prostituzione e a operatori dei progetti di reinserimento) che propone un quadro della situazione nel quale si delineano le attivita’ di organizzazioni malavitose internazionali. ”Mafie opportunistiche”, sono state definite da un criminologo, quelle cioe’ che si occupano in catena tra di loro di trarre profitto da ogni risvolto della tratta di esseri umani, dalla compravendita delle prostitute, al reperimento dei permessi di soggiorno, all’organizzazione dei viaggi, alle strutture sul territorio e infine al ‘riciclaggio’, cioe’ al continuo trasferimento della manodopera in diversi paesi. Tra i denunciati per sfruttamento della prostituzione, si notano tuttora alcune vistose concentrazioni in gruppi nazionali specifici: gli albanesi incidono per il 42% sul totale, seguiti da ex-jugoslavi (10%) e nigeriani (7%). Quanto al dibattito su libero consenso e tratta – per alcuni la stragrande maggioranza delle immigrate sanno perfettamente quale sara’ il lavoro che andranno a fare e anzi per molte si tratta solo di cercare un mercato piu’ ricco rispetto a quello dove hanno cominciato la loro ‘professione’ – la ricerca ricostruisce i meccanismi attraverso i quali si produce l’apparente cooperazione delle vittime. Un primo aspetto deriva dall’azione delle reti che contattano le ragazze e le attirano nel viaggio verso l’Italia, illustrando loro un futuro scintillante (impieghi come fotomodelle, ballerine, attrici, magari anche dicendo loro la verita’ ma facendo apparire lussuoso e confortevole il contesto). Per altre il ricatto e’ quello del debito contratto con gli organizzatori del giro, (spesso la reale entita’ viene rivelata solo alla fine, a volte dopo alcuni passaggi di compra-vendita delle ragazze da un’organizzazione all’altra). Un terzo aspetto consiste in varie forme di manipolazione del consenso, che possono andare dalla magia vudu’, alla mediazione di altre donne in posizione di controllo del lavoro delle ragazze (caso nigeriano), alle relazioni affettive con uno sfruttatore, fino alle minacce e alle violenze (piu’ frequenti nel caso albanese). Secondo i dati di una ricerca commissionata dalla Ue ed eseguita dall’Universita’ degli studi di Trento in tre paesi definiti ‘porte d’Europa’ (Finlandia, Spagna e appunto Italia), sono stimate nel nostro paese almeno 2500 donne l’anno trafficate dalle organizzazioni criminali. ”Il fatturato stimato dei trafficanti – dice Andrea Di Nicola, criminologo e ricercatore che ha presentato lo studio – si colloca in un range che arriva a 73milioni di euro l’anno, mentre quello degli sfruttatori (a volte comunque le due figure coincidono nel caso di piccole organizzazioni) e’ stato calcolato tra i 350milioni e il miliardo di euro. Va considerato che ogni ragazza, il cui valore ”di mercato”, a seconda della provenienza, avvenenza, eta’ ecc., varia dai 1000 ai 14000 euro, frutta un fatturato lordo, cioe’ un incasso dai 144mila ai 180mila euro l’anno”.


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