Cultura

Prostitute, l’80% delle clandestine non si cura

Lo rivela la prima inchiesta nazionale approfondita sul diritto alla salute delle circa 20 mila prostitute presenti in Italia

di Gabriella Meroni

L’80% delle prostitute immigrate clandestine presenti in Italia non ricorre ai servizi sanitari nazionali nel timore di essere denunciata dai medici, e ignora che la legge vieta la denuncia. Il 60% ha abortito almeno una volta in Italia, ma solo il 33% accetta di rispondere sull’aborto. I clienti che rifiutano il preservativo rappresentano non solo il rischio numero uno per le lucciole di contrarre malattie sul marciapiede, ma ”porteranno a lungo termine enormi costi socio-sanitari nazionali, perche’ rischiano di trasmettere infezioni e malattie anche alle compagne ignare dei loro rapporti non protetti”. La prima inchiesta nazionale approfondita sul diritto alla salute delle circa 20 mila prostitute presenti in Italia e’ stata presentata oggi al ministero della sanita’ dal Centro Studi del Gruppo Abele, alla presenza del ministro Umberto Veronesi che ha confessato di esser rimasto ”emozionato” dalla lettura del lungo rapporto ”di cosi’ alto valore umano, non solo sanitario e scientifico”. L’inchiesta, ottanta pagine di rapporto nato dalla volonta’ di capire quale sia l’accesso ai servizi sanitari nazionali delle prostitute presenti nel nostro Paese (piu’ del 50% nel nord, piu’ del 35% al centro, circa il 12% nel sud), e’ stata svolta su un campione di 116 donne intervistate nelle tre citta’ campione di Torino, Roma, Palermo. Il 72% del campione veniva dalla Nigeria, il 18% dall’Albania e altrettante dai Paesi dell’est. Il 46% di loro aveva un’eta’ compresa fra i 22 e i 25 anni, il 22% tra i 26 e i 30, il 21% tra i 18 e i 21 anni. Rischi per la salute, disagio diffuso, barriere ai servizi, problemi con i clienti erano i principali temi dell’inchiesta, che e’ stata caratterizzata ”da una grande interattivita’ e che si e’ rivelata un forte strumento di informazione sul diritto alla salute” hanno spiegato il direttore del Centro studi Claudio Calvaruso e il responsabile della ricerca Daniele Scarscelli. Dalle interviste emerge infatti come la malattia sia percepita come ”rottura dell’equilibrio psico-fisico e non solo come disagio del corpo”. Anche perche’ per le vittime del racket della prostituzione, costantemente a rischio di violenze, sradicate dalla loro cultura, con problemi di adattamento, lingua, solitudine, clandestinita’, la salute e’ ”il capitale sociale”, ”condizione essenziale della fedelta’ al proprio progetto migratorio”. Per questo, ricorrono ai servizi sanitari solo ”in casi di assoluta necessita”’, e l’80% di loro ignora che la legge vieta ai medici di denunciare chi e’ privo di permesso di soggiorno. Ma gli stessi operatori sanitari, e’ stato evidenziato dall’indagine, in gran parte ignorano di dover obbligatoriamente prestare cure mediche anche agli immigrati clandestini”. Il 35% delle prostitute, poi, dichiara di aver avuto un aborto nell’ultimo anno; ma solo un terzo delle intervistate accetta di affrontare l’argomento, alcune hanno abortito fino a sei volte. L’inchiesta del Gruppo Abele individua il primo rischio di contrarre infezioni nei clienti: e’ ”l’altra faccia del mondo della prostituzione”, quella su cui ”ancora non si sa quasi nulla”.


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