Politica
Proposta Ue sul rimpatrio dei migranti, la Commissione vuole finanziare il traffico di esseri umani?
La proposta di riforma, se passerà, consentirà agli Stati membri di trasferire i richiedenti asilo respinti al di fuori dei confini comunitari, consentendo ai Governi dei ventisette di stringere accordi con Paesi esterni al blocco che potrebbero essere disposti a ospitare i migranti in cambio di incentivi finanziari. «Una proposta di riforma veramente oscena che non ha nessuna possibilità di essere, a mio avviso, neppure esaminata. Dovrebbe essere sepolta dalla vergogna», chiosa l’avvocato Gianfranco Schiavone dell’associazione studi giuridici sull’immigrazione
di Anna Spena

L’undici marzo la Commissione Europea ha presentato una nuova proposta di regolamento “Proposal for a Regulation establishing a common system for returns” con nuove misure per favorire i rimpatri dei migranti irregolari. “L’istituzione di un sistema Ue efficace e comune per i rimpatri è un pilastro centrale del Patto sulla migrazione e l’asilo”, si legge all’inizio del documento. “Affinché qualsiasi sistema di gestione della migrazione funzioni, deve avere una politica credibile ed efficace sui rimpatri”. Prima di essere attuato il Piano dovrà essere discusso e approvato dal Parlamento e dal Consiglio europeo. Eppure le premesse per l’ennesimo disastro in tema di immigrazione e asilo sfornato dall’Ue ci sono tutte. Ne abbiamo parlato con Gianfranco Schiavone dell’associazione studi giuridici sull’immigrazione – Asgi. A livello dell’Ue, la politica sui rimpatri è regolata dalla direttiva 2008/115/CE (“la direttiva sui rimpatri”). «Siamo davanti», dice Schiavone, «a una proposta di riforma legislativa della direttiva vigente. Parliamo di una procedura legislativa ordinaria che non vedrà la luce – se vedrà la luce – prima del 2026». Però «questa proposta vuole modificare la natura giuridica dello strumento passando da direttiva a regolamento. Ricordiamo che la prima lascia più discrezionalità ai singoli Paesi che hanno due anni di tempo per adeguarsi, il secondo, invece, è un atto giuridico vincolante che deve essere applicato nella sua interezza – e subito – da tutti i Paesi membri».
L’Europa si dimentica i diritti
«Rispetto alla proposta di riforma», ammette Schiavone, «gli elementi di preoccupazione sono enormi perché – come diverse altre proposte europee sul tema migrazione – si poggia su una logica di drastica riduzione dei diritti delle persone e prevede normative molto severe inseguendo l’idea che inasprire le misure possa avere un risultato positivo in termini di aumento del numero dei rimpatri. In realtà non c’è oggi – e non ci sarà neanche in futuro – nessuna correlazione logica tra le due cose». Stando ai dati condivisi dalla Commissione, in media i Paesi dell’Unione emettono, ogni anno, 300mila ordini di rimpatrio, ma solo nel 21% dei casi l’ordine si concretizza con il ritorno della persona migrante nel suo Paese di origine, in uno dei Paesi che ha attraversato per arrivare in Europa oppure in un altro Paese ancora, ma in quest’ultimo caso, ad oggi, è necessario il consenso della persona che ha ricevuto l’ordine di rimpatrio. «Il nuovo Piano», spiega Schiavone, «vorrebbe portare da cinque a dieci anni il tempo di divieto del re-ingresso per coloro che sono stati espulsi del territorio europeo. Questo primo punto spaventa le persone e le allontana dalla possibilità di un rimpatrio volontario. Se c’è il rischio che non potranno più tornare per un periodo così lungo saranno in molti a fare resistenza rispetto alla prospettiva di un ritorno».
Demandare gli obblighi sui diritti a Paesi terzi
Il punto più controverso di tutta la proposta «è la possibilità di inviare le persone espulse non verso il Paese d’origine ma in un Paese terzo con cui la persona espulsa non ha nessun tipo di legame», dice Schiavone. Il trasferimento fisico avverrebbe solo dopo che il richiedente avrà esaurito tutte le vie legali per ottenere la protezione internazionale e avrà ricevuto un ordine di rimpatrio definitivo. Ma cosa succede poi? «Il testo lascia una estrema discrezionalità e vaghezza su quello che poi potrebbe accadere». Sono infatti diverse le domande che restano senza risposta: «Che farà il Paese terzo con quella persona? Lo tratterrà in stato di detenzione? Se sì, per quanto tempo? A quali condizioni? La persona rimpatriata dopo un certo lasso di tempo rimarrà in quel nuovo Paese come irregolare? Il Paese deciderà di regolarizzare la sua posizione? Sarebbe quasi un paradosso quest’ultima ipotesi, eppure la proposta di riforma non la esclude. Ma, tra tutte queste incognite, la vera domanda da porci è: perché mai un Paese terzo dovrebbe decidere di prendere cittadini stranieri sul suo territorio? È evidente che l’unico motivo per cui lo farebbe è per un incentivo economico. Ovvero per ogni persona che viene trasferita nell’altro Paese l’Ue effettuerà un pagamento. Questa proposta contempla la vendita di esseri umani. Quindi oltre all’aspetto incredibile, chiaramente illegale e moralmente spregevole della proposta, probabilmente il Paese terzo in questione avrà un ordinamento democratico molto debole». Da questa opzione sono esclusi i minori e le donne: «la “vendita” riguarda solo gli uomini, e questo fa già capire il livello di violenza che ci troviamo davanti», continua Schiavone. E ipotizzando le possibili conseguenze «sempre il Paese in questione potrebbe liberarsi della persona. Ma in che modo? I migranti verrebbero fatti disperdere, un po’ alla spicciolata, e tornerebbero nel circuito del traffico di essere umani di cui, l’Unione europea, diventerebbe la principale finanziatrice. È una proposta veramente oscena che non ha nessuna possibilità di essere, a mio avviso, neppure esaminata. Dovrebbe essere sepolta dalla vergogna».
Minori e famiglie
Di fatto questa proposta di riforma legislativa introduce un sistema unico per il rimpatrio delle persone prive di permesso di soggiorno nell’Ue, ma tra loro ci sono anche i minori non accompagnati e le famiglie arrivate in cerca di protezione. «La proposta solleva serie preoccupazioni in materia di diritti umani, con alti rischi di detenzione, maltrattamenti e garanzie scarse o nulle. Inoltre, la possibilità di rimpatriare i minori in Paesi terzi con i quali hanno pochi o nessun legame non è del tutto esclusa. È fondamentale che l’Unione Europea non demandi i suoi obblighi in materia di diritti umani ai Paesi terzi», ha commentato Giorgia D’Errico, direttrice public affairs di Save the Children. Nella proposta, infatti, la definizione dei Paesi in cui le famiglie e i minori non accompagnati potrebbero essere rimpatriati viene ampliata e, sebbene si escluda la possibilità di trasferirli nei cosiddetti “hub di rimpatrio”, il rischio che vengano trasferiti forzatamente in luoghi in cui la loro protezione e il loro superiore interesse non possono essere garantiti è piuttosto elevato. Inoltre «Benché la proposta di regolamento sui rimpatri introduca importanti garanzie procedurali per i minori, come la valutazione multidisciplinare dell’età e un rafforzamento della tutela per quelli non accompagnati, la stessa consente il trattenimento sistematico fino a due anni di minori e famiglie, rendendo inoltre più difficili i ricorsi e consentendo un maggiore utilizzo dei rimpatri forzati, anche per i più vulnerabili. È di primaria importanza che le politiche migratorie dell’Ue non mettano mai a repentaglio i diritti fondamentali. La pretesa efficienza delle procedure non può giustificare violazioni dei diritti dei minori».
E su questo Schiavone sottolinea: «La questione dei minori è assolutamente preoccupante perché viene espressamente prevista la possibilità del rimpatrio, anche coattivo ed anche dei minori stranieri non accompagnati cosa che è proibita nella legislazione italiana».
No il “modello” Italia – Albania non c’entra niente
Ursula von der Leyen e alcuni Governi dei ventisette avevano guardato con interesse al modello, tuttora fallimentare, Italia – Albania. «Il modello italo-albanese ha dato l’ok alla costruzione di centri per il rimpatrio in Paesi terzi, ma i migranti sono trattenuti – in attesa dell’esito della domanda d’asilo – sotto la giurisdizione italiana. La proposta della Commissione è completamente diversa perché il Paese terzo viene considerato Paese di ritorno. Questo Piano della Commissione è una proposta ancora più estremista di quella portata avanti dal Governo Meloni».
AP Photo/Pascal Bastien/Associated Press/LaPresse
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