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Promessa mancata, cooperazione ko.Il Dpef passato al setaccio

La prossima finanziaria. Berlusconi aveva annunciato una svolta in materia di aiuto allo sviluppo lanciando l’idea dell’1% del Pil.

di Benedetta Verrini

Un passaggio breve, 10 righe di indicazioni tecniche per far crollare tutte le aspettative del mondo della solidarietà. E per suscitare comprensibili preoccupazioni sul futuro della cooperazione allo sviluppo italiana: è il capitolo del Documento di programmazione economico-finanziaria dedicato agli ?aiuti pubblici allo sviluppo?. In esso viene stabilito che la percentuale riservata dal nostro Paese alla cooperazione internazionale giungerà, di qui al 2006, appena allo 0,33% del Prodotto interno lordo. Ben lontana dalla famosa ?soglia ideale? dello 0,7% stabilita a livello internazionale e da sempre richiesta dalle ong; per non parlare di quell?1% promesso pubblicamente, appena un mese fa, dal presidente Berlusconi nel corso del vertice Fao. «Ma c?è di più. Questa misera percentuale presenta due aggravanti inaccettabili», spiega Sergio Marelli, presidente dell?Associazione delle ong italiane. «Prima di tutto, il governo ha vincolato il suo impegno al Patto di stabilità e crescita. Ciò significa che si procederà a incrementare gli aiuti solo se l?economia italiana rientrerà in determinati standard di crescita economica. E, aspetto ancora più preoccupante, si precisa che a formare quella percentuale concorreranno anche le somme relative alla cancellazione del debito ai Paesi in via di sviluppo». Insomma, per arrivare allo 0,33% del Pil verranno considerati anche i milioni di euro rimessi ai Pvs in attuazione della legge 209/2000 (di cui si è già avvantaggiata l?Uganda e presto beneficeranno anche l?Ecuador e il Perù). «Un?operazione scorretta sul piano contabile e contraria alle indicazioni ormai acquisite all?interno della comunità internazionale: Banca mondiale e Fondo monetario internazionale hanno più volte raccomandato che le cancellazioni dei debiti ai Paesi poveri fossero addizionali, ulteriori, rispetto agli aiuti allo sviluppo, e non spiazzassero risorse», sottolinea l?economista Riccardo Moro, direttore della Fondazione Giustizia e Solidarietà. «Mettere insieme l?uno e l?altro significa ridurre gli aiuti», dice, «significa strappare a questi Paesi ogni speranza di crescita economica e sociale proprio in un momento in cui, appena alleggeriti dal peso schiacciante e ingiusto del debito, potrebbero innescare un processo virtuoso di rilancio della loro economia. Infatti non basta l?azzeramento del debito per ridare sviluppo a un Paese, ma è necessario continuare a garantire un apporto costante di aiuti per la creazione di infrastrutture, servizi, poli sanitari ed educativi. Solo così è possibile farli uscire dalla spirale della povertà. La scelta fatta dal Dpef, a quanto pare, va decisamente nella direzione opposta». «E non si può nemmeno dire che sia stata dettata dalla preoccupazione di una possibile mancanza di risorse», aggiunge Marelli, «infatti, pochi passaggi più sopra, il Documento dice che i fondi per la funzione di difesa devono tendere all?obiettivo dell?1,5% del Pil. È la prova della palese contraddizione in cui inciampa questo governo: da un lato, dopo i fatti dell?11 settembre, ha più volte dichiarato che la pace e il benessere mondiale potevano essere perseguiti solo attraverso lo strumento della cooperazione allo sviluppo; dall?altro sembra voler raggiungere quegli stessi obiettivi solo attraverso l?aumento delle spese di difesa». Di fatto, la riduzione degli aiuti si ripercuoterà negativamente anche sulle attività delle ong. «Attendiamo di vedere come questa indicazione verrà tradotta nella Finanziaria per il 2003, dove i fondi per la cooperazione internazionale saranno portati allo 0,19-0,20% del Pil», continua Marelli, « nel frattempo, ci auguriamo che l?opposizione, di cui fino ad ora non abbiamo avuto rimarchevoli prese di posizione, sappia far sua questa battaglia». In un passaggio di questo discusso capitolo, il Dpef accenna anche al meccanismo della neonata De-tax (cioè la possibilità di devolvere una parte del gettito Iva, indicativamente l?1%, ad attività eticamente rilevanti e agli aiuti ai Paesi poveri) per mobilitare risorse ulteriori che «andrebbero ad aggiungersi all?assistenza pubblica ufficiale e nel complesso rafforzerebbero il contributo del nostro Paese allo sviluppo». «Si tratta di uno strumento che potrebbe innescare un notevole gettito», conclude Marelli, «ma dimostra un?incoerenza di fondo, quella di non voler inaugurare modifiche strutturali, né di sostenere le ong attraverso la defiscalizzazione delle loro attività, ma di affidarsi, ancora una volta, alla buona volontà dei cittadini».


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