Inclusione
Promessa di ministra: «”Handicappato” addio»
Roberto Speziale, presidente di Anffas, commenta le parole di Alessandra Locatelli, titolare del dicastero per la disabilità, che ha dichiarato pubblicamente che nelle leggi non dovranno più essere utilizzati alcuni termini, in ottemperanza alla Legge delega 227/2021, che si rifà alla convenzione Onu
Stiamo attraversando un momento storico, si tratta di una rivoluzione nella presa in carico della persona con disabilità. Andiamo a cancellare nelle leggi ordinarie parole come “handicappato” e “portatore di handicap”, ed era ora dopo tanti anni». Alessandra Locatelli, ministra per la disabilità, oggi ai microfoni di Radio Alfa, ha sottolineato l’importanza della scelta fatta alcuni mesi fa con uno dei decreti attuativi della legge delega sulla disabilità: quella di rendere più rispettoso delle persone con disabilità il linguaggio con cui sono scritte le norme. Su VITA ne si era già parlato nei mesi scorsi, proprio commentando l’approvazione dei decreti attuativi della legge delega.
La ministra si trovava nella sede della Fondazione Anffas Salerno, Giovanni Caressa onlus, per un evento in vista dell’Open day Anffas, in programma per il 28 marzo: una giornata dedicata all’informazione e alla sensibilizzazione sui temi della disabilità intellettiva e dei disturbi del neurosviluppo, per promuovere l’inclusione sociale. E proprio al presidente nazionale di questa organizzazione, Roberto Speziale, abbiamo chiesto un commento sulle parole di Locatelli.
Presidente, cosa ne pensa delle dichiarazioni della ministra?
Quanto ha detto è contenuto nella Legge delega 227/2021, che ora sta avendo il suo esito in un decreto legislativo, fortemente voluto dal movimento delle persone con disabilità, quindi dalla federazione Fish (di cui Speziale è vicepresidente vicario, ndr) e da Anffas. Non si tratta di un fattore esclusivamente lessicale, ma dell’adozione in norma per l’Italia della terminologia voluta dalla convenzione Onu, che appunto prescrive di utilizzare il termine “persona con disabilità”. Non si mette più l’accento su ciò che è diverso, ma sulla persona. Tutte le terminologie che precedentemente venivano utilizzate, come diversamente abile o handicappato, oggi vengono inibite per legge, proprio per fare un salto culturale e per promuovere un modello centrato sulla persona, non su ciò che manca.
Quindi che parole dovremmo utilizzare?
Persona con disabilità, persona con sindrome di Down, persona nello spettro autistico, persona sorda, persona cieca, persona con disabilità fisica o motoria. Nella pubblica amministrazione non si potranno più utilizzare le altre terminologie, perché sarà vietato. Se si scrivesse utilizzando delle parole non più riconosciute idonee, si andrebbe a ledere uno dei principi fondamentali sui diritti umani voluti dalla convenzione Onu. Non tutti sanno, poi, da dove venga la parola “handicappato”.
Da dove?
Da un antico gioco d’azzardo inglese, “hand in cap”, che significa “mano nel berretto”. Da qui questo termine è passato nell’ambito sportivo, dove è passato a indicare uno svantaggio che si da a un concorrente che ha più probabilità di vincere. Quello che era un gioco, quindi, in italiano nel tempo è diventato una definizione di una condizione. Per noi, handicap indica quello che manca e ha un’accezione negativa: un termine, quindi, abbastanza discutibile. Anche “diversabile o diversamente abile” è incentrato sulla diversità. Noi di Anffas abbiamo pubblicato, in collaborazione con Intesa Sanpaolo (vedi l’intervista a Stefano Lucchini, ndr), Le parole giuste, un volume dove abbiamo indicato qual è il linguaggio corretto e il giusto approccio culturale da utilizzare quando si parla di disabilità.
Foto in apertura Disability Pride 2023 a Torino, foto agenzia LaPresse.
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