Volontariato

Promemoria politico per il nuovo anno: è tempo di disarmo!

di Pasquale Pugliese

Mentre i cittadini sotto Natale sono scesi nelle strade d’Italia, e a capodanno in piazza San Pietro, per invocare “basta guerre”, in Siria e ovunque; mentre le spese militari crescono all’inverosimile e la proposta di legge per la difesa civile non armata e nonviolenta giace in Parlamento, il tema del disarmo è il grande rimosso dall’agenda della politica italiana

Nell’ultimo scorcio dell’anno, in diverse città d’Italia, alle tradizionali luminarie natalizie si sono aggiunte le luci delle fiaccole portate dai cittadini nelle tante manifestazioni spontanee per la Siria. Da Udine a Napoli, da Trento a Mantova, da Torino a Reggio Emilia, molte persone – nonostante le festività, il freddo, le informazioni spesso pilotate su una guerra dove, come in tutte le guerre, la prima vittima è la verità, il remare contro di qualche fetta di mondo “pacifista” cosiddetto antimperialista (stranamente alleato con i fascismi europei a sostegno del regime di Assad) – nonostante tutto questo, hanno voluto manifestare il loro sostegno ai civili siriani. Ossia alle maggiori vittime di questa come di tutte le guerre, ai civili stretti nella morsa tra i bombardamenti russo-iraniani a fianco del governo siriano – contro cui si era mossa pacificamente la “primavera siriana” stroncata nel sangue – e i tagliagole islamisti foraggiati dai regni del Golfo, alleati degli USA.

Mentre la popolazione siriana è diventata carne da macello funzionale ai riposizionamenti geo-strategici delle grandi potenze, anche nel resto d’Europa molti cittadini hanno preso l’iniziativa dal basso organizzando, per esempio, la #CivilMarchForAleppo, una lunga marcia a piedi, e a tappe, partita da Berlino il 26 dicembre con destinazione Aleppo. Centinaia di persone da Paesi diversi si sono messe in marcia, con le bandiere bianche, con l’obiettivo di percorrere 3.600 chilometri attraverso otto Paesi, dalla Repubblica Ceca alla Turchia per arrivare infine in Siria. Obiettivi della marcia sono la fine dei bombardamenti sui civili, la creazione di un corridoio umanitario, portare solidarietà alla popolazione siriana e destare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale su quanto sta accadendo in quel martoriato Paese. Un’iniziativa che ricorda le carovane della pace a Sarajevo tra il 1991 e il 1993 il cui obiettivo era quello di rompere, dal basso, l’assedio alla capitale bosniaca.

Oggi, in un mondo che deflagra a tutte le latitudini, è giunto il tempo di fare tesoro di queste esperienze generose – ma strutturalmente insufficienti e fragili, rispetto ai bisogni – per mettere all’ordine del giorno nell’agenda della politica italiana ed europea la costituzione di veri e propri Corpi civili di pace, capaci di intervenire nei conflitti internazionali anche in via preventiva, prima della loro degenerazione violenta, ma non solo. Era la visione di Alex Langer, che fin dal 1995 chiedeva al Parlamento europeo la creazione di un “corpo civile di pace europeo” perfettamente addestrato, equipaggiato e finanziato. E’ una delle principali finalità della campagna Un’altra difesa è possibile, la cui proposta di legge ha tra gli obiettivi la “prevenzione dei conflitti armati, la riconciliazione, la mediazione, la promozione dei diritti umani (…), in particolare nelle aree a rischio di conflitto, in conflitto o post-conflitto”, anche attraverso i “Corpi civili di pace”. La cui sperimentazione, in qualche modo, è già normata fin dal 2013 (emendamento Marcon alla Legge 27 dicembre 2013, n.147), ma limitatamente ai giovani volontari in servizio civile e giusto oggi – con grande ritardo e difficoltà – è stato pubblicato il primo bando per 106 posti. E’ un piccolo passo lungo un percorso che può diventare efficace solo con ben altro investimento politico, organizzativo ed economico.

Invece, di fronte all’evidente necessità di attivare vere “strategie nonviolente” per affrontare e gestire i conflitti, in un mondo saturo di guerre, terrorismi e sangue – come esplicitamente richiesto anche dapapa Francesco nel suo Appello per la Giornata della pace del 1 gennao – qualche giorno fa il Corriere della Sera ha ricordato che le spese militari italiane non smettono di crescere. Riprendendo i dati dell’Osservatorio italiano sulle spese militari, il Corriere ribadisce che negli ultimi dieci anni di crisi economica – e di pesantissimi tagli per tutti i diritti sociali dei cittadini – le spese militari dei governi che si sono succeduti sono cresciute del 21%! E, come se non bastasse, nel 2017 continueranno a salire, arrivando all’incredibile cifra di “almeno 23,4miliardi di euro: circa 64 milioni al giorno e 2,7 milioni di euro all’ora, pari a 45mila euro al minuto”!

Eppure, mentre i cittadini sotto Natale sono scesi nelle strade d’Italia, e a capodanno in piazza San Pietro, per invocare “basta guerre”, in Siria e ovunque; mentre le spese militari crescono all’inverosimile e la proposta di legge per la difesa civile non armata e nonviolenta giace in Parlamento, il tema del disarmo è il grande rimosso dall’agenda della politica italiana.
Eppure, non solo non c’è possibilità di costruire e finanziare reali percorsi di pace e d’intervento nonviolento nei conflitti senza attivare processi di disarmo – a partire dal nostro Paese – ma non c’è nessuna possibilità di vero cambiamento sociale in Italia se la politica non affronta, come questione centrale, la redistribuzione civile e sociale delle risorse bruciate sull’altare della preparazione della guerra. Che finiscono nei lauti profitti dell’industria bellica italiana ed internazionale.
Eppure, questo tema è del tutto residuale anche per le diverse sinistre che si stanno riorganizzando per le prossime elezioni politiche. Ma ora è davvero tempo di cambiare i programmi. O almeno, questo è il nostro promemoria politico per il nuovo anno.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.