Disabilità
Progetto personalizzato, qual è il ruolo del Terzo settore nella sperimentazione?
Il 1° gennaio è partita in nove province la sperimentazione per l’applicazione del decreto 62. È una sfida significativa non solo per realizzare nuove opportunità di vita per le persone con disabilità, ma anche per rinnovare il nostro sistema di welfare. Una sfida al cambiamento che chiama in causa tutti gli attori coinvolti, compreso il Terzo settore. Il successo della sperimentazione si misurerà anche da questo, non solo dal numero di progetti di vita avviati
Il decreto 62/2024 assegna agli enti di Terzo settore un ruolo importante nella costruzione dei progetti per la vita delle persone con disabilità. Un ruolo che appare coerente con le indicazioni già contenute nell’art 4.3 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che indirizza gli Stati sottoscrittori ad operare in sinergia e in collaborazione con le organizzazioni di rappresentanza delle persone con disabilità. Tale sinergia culturalmente si fonda sul presupposto che il cambiamento di prospettiva sotteso dalla Convenzione Onu richiede il coinvolgimento più largo possibile di tutte le forze in campo e di tutti i soggetti attivi della comunità.
Questa indicazione appare oltremodo appropriata rispetto all’attuale fase di avvio attuativo del decreto 62/2024, perché nei fatti, nell’ultimo decennio, sono già davvero molti i percorsi di progettazione personalizzata attivati territorialmente dal composito mondo delle organizzazioni di Terzo settore: si pensi per esempio ai progetti personalizzati realizzati nell’ambito della legge 112/2016, ai bandi Pro.VI e ai percorsi di autonomia di cui all’investimento 1.2 – Missione 5 del Pnrr.
Il Terzo settore nella valutazione multidimensionale e nella stesura del progetto di vita
Non è quindi un caso che la legge 227/2021 confermi e rafforzi tale orientamento al coinvolgimento degli enti di Terzo settore nella costruzione di progetti personalizzati, su specifica richiesta da parte delle persone titolari del progetto. In particolare il decreto 62 prevede espressamente la possibilità che, sempre su richiesta del titolare del progetto, i rappresentanti degli enti di Terzo settore possano essere coinvolti nella costruzione del progetto già partecipando attivamente alla fase di valutazione multidimensionale da parte delle EVM territoriali. Questa partecipazione da un lato può costituire un sostegno importante a tutela degli interessi e delle aspettative personali, quando richiesta dalla stessa persona ma dall’altro può rappresentare anche un sostegno propositivo di stimolo e di accompagnamento da portare alla persona e al suo nucleo familiare o al suo contesto di vita per stimolarla a co-progettare nuovi percorsi di vita. È quanto avviene già oggi in molte realtà di servizio gestite anche e soprattutto da enti di Terzo settore, impegnati a promuovere percorsi di emancipazione personale.
Tali previsioni, del resto, appaiono fondate e coerenti rispetto alla stessa soggettività degli enti di Terzo settore che, pur nelle diverse forme giuridiche che li caratterizzano, li riconduce alla fattispecie di enti privati senza scopo di lucro che oltre a perseguire finalità di solidarietà sociale orientate alla promozione e tutela degli interessi generali della comunità, concorrono all’affermazione del principio costituzionale di sussidiarietà. In estrema sintesi gli enti di Terzo settore la cui finalità è quella di tutelare gli interessi generali della comunità, impegnandosi nella promozione della cittadinanza attiva e dell’inclusione delle persone nella comunità, costituiscono soggetto di primaria importanza per concorrere all’applicazione del decreto 62, che a sua volta può ben rappresentare uno strumento aggiuntivo integrativo e innovativo dell’azione sussidiaria per qualificare ulteriormente il sistema di welfare prevista dall’art. 118 della Costituzione.
Criteri per il coinvolgimento degli enti di Terzo settore
Il decreto 62 individua anche alcuni elementi imprescindibili affinché gli enti di Terzo settore possano essere costruttivamente e responsabilmente coinvolti dal titolare del progetto personalizzato per la sua elaborazione annoverando tra essi:
criteri legati alla tipologia di soggetto giuridico
- perseguimento di finalità sociali e senza scopo di lucro con particolare riferimento ad attività di tutela e rappresentanza della collettività;
- esercizio di attività ricomprese tra le attività di interesse generale previste dal Codice del Terzo settore;
- Iscrizione al RUNTS.
criteri legati all’esperienza alla conoscenza della persona ed alla competenza specifica
- esperienza e competenza nei processi decisionali supportati;
- conoscenza diretta e approfondita della persona già seguita e sostenuta da un ente di Terzo settore che ha in carico la persona nei servizi da essa frequentati;
- esperienza specifica dell’ente nei percorsi di accompagnamento alla realizzazione di progetti personalizzati.
Il Terzo settore come parte attiva
Ricorrendo tali presupposti, il decreto 62 riconosce agli enti di Terzo settore ed ai loro rappresentanti di poter prendere parte attiva, se interpellati dalla persona con disabilità, a tutto il processo di costruzione del progetto personalizzato supportando la persona nelle varie fasi di co-progettazione:
- partecipando alle UVM territoriali già durante la valutazione multidimensionale;
- supportando la persona nella strutturazione di una propria proposta progettuale;
- supportando la persona nella richiesta di accomodamenti ragionevoli;
- supportando la persona nella costruzione del Budget di Progetto all’interno del quale possono anche confluire risorse economiche e/o organizzative o progettuali di natura privata.
A partire da questo ruolo attivo, la legge 227 e il decreto 62 definiscono un processo caratterizzato da un elevato livello collaborativo tra operatori degli enti pubblici e operatori degli enti di Terzo settore, collocando la costruzione del progetto di vita all’interno di quei processi collaborativi che possono realizzare compiutamente un percorso di amministrazione condivisa. Tali processi collaborativi dal punto di vista giuridico sono già previsti dalla legge 241/90 (come i patti di sussidiarietà), sono stati rinnovati dall’art. 55 e ss del Codice del Terzo settore, che disciplina gli istituti collaborativi tra enti pubblici ed enti di Terzo settore quali la co-programmazione e la co-progettazione; hanno trovato ampio sostegno dalla sentenza 131 della Corte Costituzionale del 2021, che ha proprio evidenziato il favore istituzionale per le procedure di amministrazione condivisa nella gestione di beni pubblici a tutela degli interessi generali della collettività da cui sono scaturite anche Le Linee Guida sulla co-progettazione.
Il frame dell’amministrazione condivisa
L’amministrazione condivisa appare in tal senso il contesto normativo e procedurale più appropriato e idoneo all’interno del quale collocare l’applicazione del decreto 62 i cui principi di riferimento ed i relativi contenuti appaiono decisamente poco gestibili all’interno delle tradizionali procedure competitive di affidamento dei servizi e degli interventi sociali.
La ragione per cui appare più utile e sensato favorire processi collaborativi a scapito di processi competitivi nei rapporti tra enti pubblici e di Terzo settore nella costruzione dei progetti di vita è quindi rintracciabile nella finalità e nella natura dello stesso istituto del progetto personalizzato, che presenta elementi di difficile standardizzazione costruttiva ed “erogativa”. Le procedure competitive sono infatti particolarmente utili e qualificanti per perseguire affidamenti di beni e servizi standardizzabili; ampiamente regolamentati da norme specifiche; in cui è fondamentale valutare il rapporto di efficacia e di efficienza di sistemi d’offerta complessi come i servizi istituzionali; mettendo in competizione i contendenti attraverso comparazioni qualitative di qualità e prezzo rispetto ad un servizio standardizzato.
Le procedure collaborative al contrario appaiono particolarmente adatte alla costruzione dei progetti personalizzati che, per loro natura sono caratterizzati da un elevatissimo livello di personalizzazione contingente; devono essere attivati attraverso il concorso di più istituzioni e di più soggetti che si attivano insieme per concorrere al fine di dare compiuta realizzazione ad un percorso di vita; richiedono la condivisione e la compartecipazione di apporti diversi di risorse da parte di tutti i soggetti in gioco, in un’ottica di corresponsabilità.
Chi ha esperienza diretta di interventi e di servizi che già oggi lavorano per costruire progetti personalizzati, ha precisi riscontri rispetto al fatto che senza un processo e un procedimento teso a valorizzare al massimo livello possibile gli apporti di tutti i soggetti coinvolti, il progetto non si realizza. In generale, la necessità di procedere insieme corresponsabilmente è proprio la condizione necessaria e funzionale a realizzare processi di innovazione in cui l’obiettivo è vincere insieme con-vincendosi più che vincere a scapito di un potenziale o effettivo con-corrente, perché si opera tutti in funzione di un fine che senza corresponsabilità collaborativa non si realizza.
La sfida per il Terzo settore
Nella ratio dei processi collaborativi emerge quindi con evidenza l’importanza da parte degli enti di Terzo settore di saper assumere con sempre maggior autorevolezza un ruolo di partner attivo, co-progettuale nei confronti della PA. Un ruolo che va oltre la dimensione e la funzione di “ente erogatore”.
Da “enti erogatori” di prestazioni standardizzabili a partners della PA all’interno di processi di amministrazione condivisa. Da una regolazione contro-interessata ad una regolazione co-interessata di tipo collaborativo. Da una regolazione che disciplina un rapporto di scambio (prestazioni in cambio di corrispettivi) ad una regolazione che disciplina il massimo investimento congiunto per la realizzazione di un fine. Da una dinamica regolativa che tutela la competizione in cui ciascun attore persegue il proprio fine che origina da un interesse separato ad una regolazione che disciplina il concorso comune alla realizzazione di un fine condiviso. Da questo punto di vista è molto interessante sottolineare come l’etimologia di con-correnza si presti a due significati divergenti che lasciano spazio ad una riflessione particolarmente significativa rispetto al ruolo e quindi alle conseguenti azioni in gioco nell’applicazione del decreto 62 nella regolazione dei rapporti tra PA ed enti del Terzo settore.
Nell’ambito dell’applicazione del decreto 62 sembra delinearsi compiutamente uno scenario in cui Il Terzo settore va sussidiariamente incontro alla PA, assumendo insieme ad essa la sfida dell’innovazione sociale, attraverso un’analisi congiunta dei bisogni e dei fenomeni da affrontare, con-correndo a costruire un’idea e un percorso di cambiamento da costruire e perseguire insieme tra PA ed enti di Terzo settore, realizzando nuove risposte da assumere come obiettivo per la comunità.
Cosa cambia?
Da questo punto di vista l’applicazione del decreto 62 rappresenta una sfida particolarmente significativa non solo nella prospettiva di realizzare nuove opportunità di vita per le persone coinvolte ma anche per rinnovare e riqualificare il nostro sistema di welfare che chiama in causa tutti gli attori coinvolti.
L’applicazione del decreto 62 rappresenta una sfida particolarmente significativa non solo nella prospettiva di realizzare nuove opportunità di vita per le persone coinvolte ma anche per rinnovare e riqualificare il nostro sistema di welfare che chiama in causa tutti gli attori coinvolti
Una sfida per le persone con disabilità che sono chiamate a fare un passo avanti nel manifestare il loro punto di vista e le loro scelte attraverso uno strumento rinnovato e meglio articolato che può rappresentare una nuova mappa e una nuova bussola per orientare la propria vita. Ma anche una sfida per le istituzioni a cui è affidato il compito di governare le politiche sociali e sanitarie e per i diversi attori del mondo delle associazioni che operano sussidiariamente a sostegno delle persone e delle comunità territoriali. E poi una sfida per costruire un nuovo modello di relazione tra enti pubblici e Terzo settore ed infine una sfida per testare una rinnovata capacità di lavoro sociale inteso come la “tessitura” necessaria per costruire percorsi personalizzati come “abiti su misura” necessari per riqualificare e generare nuovi percorsi di vita e di cittadinanza.
Una sfida in cui il risultato non sarà misurato soltanto in base a quanti progetti di vita riusciremo a realizzare, all’affermazione dei modelli e dei servizi di progettazione personalizzata che si imporranno, ma che imporrà a tutti gli attori in gioco di valutarsi sulla base dei cambiamenti di vita che riuscirà a far emergere e a realizzare, e alle nuove prospettive di vita che potrà aprire.
Marco Bollani è consigliere regionale di Federsolidarietà Lombardia e direttore della cooperativa sociale Come noi, ente a marchio Anffas. Foto di Stefano Carofei, Agenzia Sintesi
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