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Profumo, una storia italiana
La vicenda del banchiere tra economia e politica. E tu cosa ne pensi? Vota il sondaggio
Entra a vario titolo la politica nella complessa e convulsa vicenda della sostituzione di Alessandro Profumo al vertice di Unicredit. Mentre Dieter Rampl promette una transizione breve, Bossi mette in guardia dall’invadenza degli azionisti tedeschi e nel Pd si agita lo spettro di una possibile discesa in campo di Profumo alla guida del partito. Insomma una storia che va al cuore della transizione politico-economica del nostro Paese. Ecco come i giornali oggi seguono e commentano i fatti.
- In rassegna stampa anche:
- PENA DI MORTE
- NUCLEARE
- REVELLI
- SCUOLA
- MATERNITA’
- ABRUZZO
- OBIETTIVI DEL MILLENNIO
- LAVORO NERO
Titolo di taglio centrale sulla prima del CORRIERE DELLA SERA, ma ancora tre pagine piene dedicata alla vicenda di Unicredit. Innanzitutto le notizie. “Lettera di Bankitalia a Unicredit: «A Rampl pieni poteri solo a tempo»”, in pratica un invito alla dirigenza del colosso bancario a fare presto nella scelta del successore di Alessandro Profumo. Il titolo ieri è arrivato a cedere in Borsa il 4%, mentre “è stata la giornata dei riconoscimenti dei banchieri al collega Profumo – scrive Stefania Tamburello – Un lungo applauso per l’ex amministratore delegato ha aperto la riunione del comitato esecutivo dell’Abi”. Un tributo che a modo suo arriva anche da Dieter Rampl, che ha assunto pieni poteri in Unicredit, nell’apertura di una lunga intervista di Paola Pica: “Alessandro Profumo ha reso grande questa banca. Se siamo un istituto internazionale, paneuropeo, lo dobbiamo al suo grande lavoro. Non è stato facile arrivare alla separazione. Ma era necessario un campionato di leadership. Le strategie non cambiano. E nel giro di qualche settimana avremo un sostituto adeguato a quella grande banca che è Unicredito”. Nell’intervista la conferma che la questione libica è stata determinante nell’accelerare la decisione, e Rampl cerca di prendere le distanze dalla politica, sia dalle preoccupazioni leghiste che dal rammarico di Tremonti. Ed è infatti il risvolto politico la nota dominante dell’affare Profumo nella giornata di ieri. Colpiscono infatti due ricadute: l’atteggiamento della Lega e l’ipotesi di Profumo “papa straniero” e dunque potenziale leader del Pd. Mario Sensini si occupa della Lega a pagina 11: “L’altolà di Bossi: le fondazioni ci difendano dagli azionisti tedeschi”. Ma soprattutto il CORRIERE affida al vicedirettore Dario Di Vico l’analisi più acuta, che parte dalla prima: “La sinistra e il complesso del banchiere”. Leggiamone un passo: “Quando si chiede un papa straniero – scrive Di Vico – si evoca in realtà un’idea sbagliata dell’Italia. La si raffigura come una landa desolata, dove non esistono più né passioni né ambizioni. Ora è vero che in politica non siamo particolarmente bravi, andiamo male in entrambe le versioni, ma dietro i Palazzi c’è fortunatamente una riserva di energie alla quale si può attingere. Sono i corpi intermedi, l’Italia di mezzo che non tradisce e ci ha permesso di resistere allo tsunami della crisi”, e conclude: “Perché non possiamo far dimagrire la politica, lasciarle solo l’ultimo e importantissimo miglio, e dare invece più peso alla società organizzata? Un esempio su tutti: con un welfare statale che dovrà fare i conti in futuro con risorse calanti chi pensate, se non la società, possa intervenire per aiutare a garantire ai nostri figli uno standard accettabile di tutele? Sono di questo tipo i nodi che il Paese si trova davanti e la sinistra italiana, per la lungimiranza dei suoi padri, è parte integrante della vicenda nazionale, non un corpo estraneo. Lasci, dunque, che i banchieri e le élite cosmopolite facciano il loro lavoro. Non ceda alla tentazione di usarne il nome”.
LA REPUBBLICA sceglie una apertura politica (“Dossier anti-Fini, rottura col Pdl”) ma dedica il taglio centrale alla vicenda Profumo con due pezzi: “Unicredit, ora Bossi teme i tedeschi” e una intervista a Cesare Geronzi che dice: “La Spectre non sono io”. I servizi all’interno. Mentre la Borsa ha registrato il ribasso dei titoli della banca, il senatur indica il nuovo fronte: alle fondazioni manda a dire: «ci devono difendere dai tedeschi». «Avevo paura – ha spiegato – che la Germania potesse mettere le mani sulla banca, ma poi ho visto che non hanno i numeri». Comunque meglio «riorganizzare la difesa» (magari con l’aiuto di Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo). Si registra anche una presa di posizione di Romano Prodi: «Se torniamo al discorso di Verona e Padova, dove si vuole comandare e nominare i consiglieri, siamo alla solita, vecchia tragedia italiana: singolare che l’ingerenza arrivi proprio da Verona, da coloro che allora inveivano contro la prepotenza politica nelle istituzioni economiche». Tra le reazioni anche la preoccupazione dell’Abi, di Banca d’Italia e dei banchieri: Mussari e Passera sottolineano la perdita da parte dell’intero settore. Ponzellini, l’uomo di Bossi, invece afferma: «con l’uscita del dottor Profumo nel sistema bancario italiano non cambia proprio niente». E se lo dice lui…. Nel frattempo il presidente Rampl scrive ai dipendenti: «la decisione non è dettata da un singolo azionista o da influenze politiche, ma è stata raggiunta sulla base di punti di vista diversi sulla governance con Profumo»; «La successione di Profumo sarà gestita rapidamente, ma con grande cura. Stiamo cercando un candidato appropriato sia all’interno che all’esterno» assicura il presidente. Massimo Giannini oggi intervista Cesare Geronzi (tirato in causa ieri sul quotidiano proprio da Giannini). «Non ho niente contro Alessandro, e mi sono sempre adoperato per la stabilità del sistema finanziario». L’incontro con Berlusconi di cui ha scritto ieri Giannini è definito «fantascienza» dal presidente delle Generali. «Vuole sapere la verità su me e Profumo? La verità è che io, insieme a lui, ho fatto la più bella operazione del sistema bancario di questi anni, e cioè la fusione tra Unicredit e Capitalia. Un’operazione straordinaria non solo per me e per lui, ma per il Paese». Insomma Geronzi rifiuta ogni addebito. Chi ha fatto fuori Profumo allora? «Penso che tutto nasca dal processo di trasformazione delle casse di risparmio, e poi di creazione delle fondazioni…. Oggi le fondazioni stanno riproducendo antiche formule del passato, e stanno ripercorrendo una strada che mi ricorda quella delle vecchie camere di commercio. Stiamo tornando a quel livello e questo mi preoccupa molto da cittadino, prima di tutto». «In nome di questo malinteso senso del “radicamento con il territorio”, le fondazioni rischiano di disgregare il sistema». Dunque il colpevole della congiura sarebbero le fondazioni ispirate dalla Lega.
Un richiamo in copertina de IL GIORNALE e una pagina intera a firma di Nicola Porro che commenta «La colpa di Profumo: non faceva più utili. Altro che la ricostruzione di Repubblica sul numero uno di Unicredit fatto fuori dall’asse Berlusconi-Geronzi: il manager ha finito per pagare i risultati inferiori al passato e per aver chiesto agli azionisti 10 miliardi di euro». Nel dettaglio «la cacciata di Profumo è molto simile a quella che riguarderà Sergio Marchionne da parte di Fiat. Attenzione non stiamo dando una notizia, stiamo seguendo un percorso banalmente logico. Un manager non è il proprietario dell’azienda in cui lavora. E gli azionisti, prima o poi, per un motivo o per l’altro, si scocciano dei propri dirigenti, soprattutto se di vertice. Ovviamente anche se i manager fanno della loro mobilità un mantra. Profumo o Marchionne o diventano proprietari delle aziende in cui lavorano o inevitabilmente rischiano di lasciarci le penne. Il lavoro di Profumo è stato ben retribuito dagli azionisti, un centinaio di milioni di euro. Profumo ha guadagnato tanto perché non era indipendente dai voleri di chi lo pagava. Il resto sono balle ipocrite. Le cose cambiano quando Profumo invece di remunerare i propri soci chiede 10 miliardi di euro. In 15 anni non ha mai chiuso un trimestre in rosso, ma quando la benzina è finita i suoi lo hanno liquidato. Alla balla dell’indipendenza si accompagna quella dell’influenza determinante della politica. Una banca con 10mila sportelli, 160 mila dipendenti, 1000 miliardi di attivi in bilancio non vive mica sulla luna. I giornalisti della Repubblica ci raccontano che Profumo è stato fatto fuori da Cesare Geronzi e da Berlusconi, uno psicodramma collettivo. La realtà è che Profumo non portava più soldi a casa». Una breve ma in evidenza precisa che la Central Bank of Libya che detiene il 4,9% di Unicredit è autonoma rispetto alla Lybian investiment authority che detiene il 2,9% (La presenza di questi due azionisti e il loro peso in Unicredit hanno dato il via alle polemiche che hanno creato il caso Profumo ndr). Lo precisa una nota della Central Bank of Libya riportata nella relazione del tesoro in commissione finanze alla camera in risposta all’interrogazione del parlamentare del IdV Franco Barbato.
Il giornale dei professionisti ITALIA OGGI guarda alle sfide che attendono Rampl. Secondo il pezzo “La difficile partita di Rampl”, non sarà facile per il presidente di Unicredit trovare un nuovo amministratore delegato. Rampl deve tener conto delle pressioni politiche, quelle delle fondazioni, dei membri dei comitati ed anche delle pressioni finanziarie. «Le esigenze di un timoniere sicuro alla guida di Unicredit» scrive ITALIA OGGI «sono impellenti e il mercato è già in fibrillazione: prova ne sia l’ulteriore scivolone di ieri in borsa, dove il titolo ha perso il 4% a 1,82% dopo il -2,11% di martedì». Ci sono anche incombenze interne. Secondo il box di accompagnamento del pezzo, all’indomani dell’uscita di Profumo riprendono le trattative con le parti sindacali sui 4.700 esuberi annunciati nelle settimane scorse per l’attuazione del progetto di Banca Unica. «Concordemente» si legge nel pezzo “Esuberi, incontro“ «le varie sigle sindacali hanno chiesto maggiore chiarezza sulle dinamiche di governance della banca, prima di procedere alle trattative sul piano di tagli e di riorganizzazione del personale della banca». Per quanto riguarda la buonuscita di Profumo, il pezzo “Accordo al Profumo di law firm” pubblica un interessante profilo dei manager e degli avvocati che per tre giorni hanno lavorato all’accordo da sottoporre al consiglio di amministrazione della banca, qualora non fosse stata confermata la fiducia a Profumo. «E’ stato proprio nella sede di Bep, infatti, che si è consumato il divorzio, poco prima di mezzanotte, tra Alessandro Profumo e l’istituto di Piazza Cordusio. Al tavolo della trattativa sulla buonuscita, da una parte, a tutela del manager, Marcello Giustiniani, a capo del dipartimento di diritto del lavoro di Bonelli Erede Pappalardo (Bep). Dall’altra, a fianco del colosso bancario, Carlo d’Urso, Francesco Gatti e Francesco Simoneschi, i primi due partner e il terzo of counsel dello studio d’Urso Gatti e Bianchi».
Doppio editoriale/commento in prima e le quattro prime pagine de IL SOLE 24 ORE sono sostanzialmente dedicate al post-Profumo e alla ricostruzione di quanto accaduto a 24/48 ore dalle dimissioni di Alessandro Profumo da Ad UniCredit. All’unanimità, commentatori, politica e Bankitalia, concordano che si tratta di dimissioni formalmente “maldestre”, di una veloce estromissione del top management a fronte di nessuna new entry. Daniele Bellasio, nel suo “Le notizie clonate drogano Internet” pone l’attenzione al rischio di fughe di informazioni (come nel caso specifico, quella che voleva Profumo dimissionario prima del CdA) via Web che possono, non verificate, turbare i mercati. Segue una doppia intervista a Giancarlo Galan (Ministro delle Politiche Agricole – Pdl) ed Enrico Letta (Pd) sulla strategia di espansione leghista in capo alle fondazioni. E un’apertura sul fronte politico dove lo stesso Umberto Bossi appoggia il buon vecchio Giuseppe Guzzetti come mediatore all’interno del vasto arcipelago delle fondazioni. Infine, oltre alla ricostruzione del CdA che ha visto estromesso Profumo, un interessante e piacevole articolo di Paolo Bricco, dal titolo “I molti protagonisti dietro la svolta di Piazza Cordusio”, in cui l’autore descrive il ruolo degli attori quasi fossero all’interno di una tragedia greca. Un gioco di stile ben riuscito. Due ulteriori commenti infine sono a pagina 13: uno di Franco Debenedetti e l’altro di Alberto Mingardi. Entrambi puntano il dito sulle scelte di Profumo e i risultati economici raggiunti negli ultimi anni, non sempre positivi e che avrebbero indotto – secondo i commentatori – a sostanziare il cambio al vertice. Da segnalare, infine, a pagina 4 la colonna a sinistra “Due milioni per la nuova Barbiana”. È infatti la Fondazione Sasso di Maremma (Grosseto) l’istituzione a cui andranno 2 milioni – dei 40 di buonuscita – che Alessandro Profumo ha scelto di dare in beneficenza. Il podere di Sasso (40 ettari, molti coltivati a vigna e ulivi) è una costola indipendente da un punto di vista giuridico della Casa della Carità, fondata e diretta a Milano da Virginio Colmegna, sacerdote da sempre vicino all’ex ad di UniCredit.
Piccolo richiamo in prima pagina e articolo dal titolo «Una “rivoluzione” dalla vista corta» per parlare del caso Unicredit che IL MANIFESTO riassume nell’occhiello «Profumo va via, il futuro della banca è (molto) incerto». L’articolo (a pagina 7) esordisce così: «E ora? In piazza Cordusio si è consumato un regicidio alquanto demente: Alessandro Profumo è stato messo fuori (con 40 milioni di liquidazione per lenire il dolore), così come pretendevano gli azionisti (le fondazioni) in mano alla Lega; ma senza aver prima preparato un sostituto. (…) Inutile lanciarsi nel “totonomi”. Più interessante è vedere che situazione si troverà davanti il nuovo a.d. (….)». Di spalla una colonna dedicata alle reazioni «Bossi vuole una “Pontida” anti tedesca» è il titolo dell’articolo di Roberto Tesi che scrive: «(…) Alla faccia del mercato, Bossi pretende che Unicredit accresca la sua “padanietà”» e prosegue riportando le reazioni di Prodi che ha Radio 24 ha detto «Le fondazioni devono stare fuori dalle banche (…) È singolare che l’ingerenza arrivi proprio da Verona, da coloro che allora inveivano contro la prepotenza della politica nelle istituzioni economiche». L’articolo si conclude osservando: «Tra le dichiarazioni dei politici o quasi, spicca la banalità della Marcegaglia: “Bisogna fare presto per trovare il sostituto di Profumo”. Vediamo se il presidente del consiglio, che non dovrebbe in questo caso mettere bocca, si intrufolerà nell’affare. O se invece sarà scelta la strategia di far marcire la situazione come nel caso del presidente della Consob o del ministro dello sviluppo economico».
AVVENIRE: “Nessuna nostalgia, ma si archivi la guerra delle signorie” è il titolo dell’editoriale di Giorgio Fattori su incertezze e rischi del caso Unicredit. Esordisce dicendo che «in un Paese normale non si lascerebbe il primo gruppo bancario privo del proprio amministratore delegato per un periodo che potrebbe superare i tre mesi, con il rischio concreto che questa vacatio apra ulteriormente le porte al capitale straniero». Altre anomale dello psicodramma di Piazza Cordusio: i segnali ai mercati economici di un’Italia che perde la bussola e di una tesa partita politica. «Il risultato – sostiene Ferrari – è una guerra che ricorda da vicino le esasperate rivalità fra Signorie nell’Italia dei secoli di mezzo, e la concreta prospettiva che si finisca per spalancare le porte a un sovrano straniero…. Vi è in tutto ciò un sapre di antico e di già veduto: quasi da Prima Repubblica. C’è, però, anche una debolezza nuova della politica, che una crisi di tal fatta in un orizzonte d’incertezze non avrebbe dovuto permettere e permettersi». Al “dopo Profumo” è dedicata tutta la pagina 7. Tutto il Gotha della finanza (Mussari di Abi, Passera di Intesa, Ponzellini di Bpm e Fiordi di Cheval) tesse l’elogio del banchiere estromesso, mentre il titolo Unicredit affonda in Borsa a meno 4%. I libici si chiamano fuori dalla vicenda del ribaltone e si definiscono “un pretesto” e dietro la sfiducia si comincia a intravedere un ampio schieramento che va dai bavaresi di Hvb alle Fondazioni. Vincenzo Svignano riferisce che “la finanza bavarese rialza la testa, mentre da Milano un servizio di Pietro Saccò spiega come mai “la Lega cambia fronte” e nega il suo coinvolgimento. Un box a fondo pagina ricorda il gesto di Profumo di donare 2 milioni di euro per finanziare la Casa della Carità di Milano e riporta la dichiarazione di Don Colmegna: «Da anni sono suo amico sul piano umano e personale, non come leader del mondo finanziario e posso dire che è tutt’altro che arrogante. Al contrario è una persona disponibile, con cui si parla di tutto, e soprattutto dei giovani, dei precari, di coloro per cui c’è preoccupazione per il futuro». Il finanziamento servirà per una struttura in Toscana che si occupa di assistenza, ospitalità, sostegno sociale e attività culturali.
In prima pagina LA STAMPA ha un richiamo sul caso Profumo: «Rampl: “La politica fuori da Unicredit”» è il titolo. L’argomento viene approfondito alle pagine 10 e 11. Il «retroscena» di Francesco Manacorda si concentra sulla successione, sotto il titolo «E Rampl giura ai manager “Mai la politica in banca”». Dieter Rampl ha rassicurato «il corpaccione scosso della banca», anche sulla «questione caldissima della successione “rispetto alla quale non ci esporremo a nessuna pressione” e che sarà “decisa a breve, ma con grande attenzione”, visto che “stiamo cercando un candidato appropriato sia all’interno sia all’esterno”. Messaggi rassicuranti che sono l’altra faccia di una situazione tutt’altro che tranquilla». Si tenta un profilo del successore di Profumo: «Il nuovo amministratore delegato dovrà dunque essere una figura di grande esperienza in una multinazionale della finanza – e in Italia ce ne sono poche – ramificata con Unicredit; dovrà subito capire dove mettere le mani» e dovrà convincere le Fondazioni, i tedeschi, i soci privati e li azionisti libici. Si fanno alcuni nomi: «si va da Andrea Orcell di Merryll Lynch a Mario Greco, già a capo della Ras» passando per due dei vice di Profumo: Roberto Nicastro e Federico Ghizzoni. Per Rampl sono «solo supposizioni». Il versante politico è invece analizzato da Marco Alfieri: «E ora il Carroccio chiede il soccorso dell’ex Balena Bianca». Nota Alfieri: «Umberto Bossi che invoca Guzzetti per salvare Unicredit dalle mire bavaresi è davvero la nemesi per un leader che ha fatto della Dc un’anti categoria dello spirito».
E inoltre sui giornali di oggi:
PENA DI MORTE
IL MANIFESTO – Un richiamo nella fascia colorata a piè di pagina è dedicata all’esecuzione con iniezione letale per Teresa Lewis prevista per oggi negli Usa «Oggi il boia lavora ed è americano» è il titolo del richiamo. A pagina 3 l’articolo di Marco Cinque «Dopo aver giustamente protestato davanti alle ambasciate iraniane per la sorte di Sakineh, quante organizzazioni abolizioniste, personalità politiche e singoli nel mondo faranno lo stesso, per un semplice principio di giustizia ed equità, davanti a quelle degli Stati Uniti, l’unico paese occidentale che ancora uccide legalmente i suoi cittadini, ma pure tra i pochi al mondo che prevede la pena capitale per i malati mentali? (…)» E conclude: «A proposito: se è ovviamente strumentale la posizione di Ahmadinejad che parla di Teresa Lewis, come definire il silenzio e la mancata iniziativa su questo dei nostrani organismi umanitari contro la pena di morte?».
NUCLEAREIL SOLE 24 ORE – La mappa è pronta. Ma resta chiusa in cassaforte. Forse per mesi, visti gli incerti della politica italiana. La short list della cinquantina di luoghi potenzialmente idonei ad accogliere il futuro deposito dei residui nucleari è allegata nella documentazione che la Sogin ha completato nei giorni scorsi per consegnarla al governo. Le zone più coinvolte sono quelle a cavallo tra Basilicata e Puglia, tra Puglia e Molise, tra Lazio e Toscana. L’Alta Italia, fitta di case, fabbriche, ferrovie, è toccata in modo più marginale. Titolo del pezzo “Short list per le scorie nucleari” a pagina 25.
REVELLI
LA STAMPA – Anticipa l’intervento di Marco Revelli al Festival del Diritto di Piacenza. Il testo è un estratto dalla relazione che terrà domani su «La crisi dell’Eguaglianza». Per il docente di scienza politica all’Università del Piemonte Orientale «scompare una parola chiave della modernità», perché «uccisa dal progresso». Scrive Revelli: «Lo vediamo tutti i giorni. Lo vediamo per quanto riguarda i poveri del mondo, i quali, certo, continuano ad essere in movimento. Ma per loro il «movimento non è più quello politico e rivendicativo, è ora quello fisico: il migrare». Una crisi che «vediamo anche per gli impoveriti di casa nostra». Tutto questo produce un «odio sociale orizzontale da fondo di palude». Perché le crescenti diseguaglianze non portano a «un nuovo 14 luglio»? «Perché questa volta non c’è una Bastiglia da assaltare. Non c’è un centro (del potere) su cui marciare». Tra «le elite globali» e il popolo «delle “anime morte” locali la distanza si fa siderale». Per Revelli «La ricaduta politica è evidente. Élite irresponsabili verso i propri popoli. Popoli impotenti nei confronti delle proprie élite». La conclusione è che «ne risulta ferocemente vulnerato il “principio di rappresentanza”».
SCUOLA
AVVENIRE – A pagina 4 una documentata inchiesta sull’integrazione degli immigrati a scuola spiega che “rallenta la grande corsa”. Secondo i dati del ministero, gli stranieri sui banchi si attestano intorno ai 675mila, la seconda generazione oltre il tetto dei 270mila. Molte le deroghe alla quota fissata del 30% per ogni classe. Tre i casi analizzati da vicino: a Prato, a Milano e Vicenza, con esperienze di integrazione particolari.
MATERNITA’
IL SOLE 24 ORE – Sulla copertina di Finanza e Mercati, inserto del Sole, campeggia l’articolo sulla nuova legge di vigilanza finanziaria Ue, votata ieri al Parlamento di Strasburgo. Ma non solo: la foto-notizia è quella di Licia Ranzulli, deputata pdl che con sé, in occasione della votazione ha la propria figlia, Vittoria, stretta in fascia. Peccato che per il quotidiano diretto da Gianni Riotta, la piccola sia diventata – secondo la didascalia – un figlio (sigh).
ABRUZZO
LA REPUBBLICA – Nuova bufera tangenti in Regione: arresti e due senatori Pdl indagati. Al centro dell’inchiesta i favori per ottenere la costruzione di un inceneritore. Ancora una volta fondamentali le intercettazioni. Nel frattempo il sindaco Cialente lascia l’incarico di commissario: dopo la nomina di un altro vicecommissario alla ricostruzione per gestire i soldi del terremoto, il sindaco polemicamente abbandona.
OBIETTIVI DEL MILLENNIO
AVVENIRE – “Povertà: Obama lancia gli aiuti selettivi” è il titolo di pagina 5 sull’annuncio del presidente americano di una svolta strategica per lo sviluppo: il buon governo sarà il criterio principale in base al quale indirizzare le donazioni. E ci sarà maggior coordinamento con le Ong. I nuovi contributi Onu serviranno a salvare 16 milioni di persone. Ma le associazioni in difesa della vita sono scettiche. In una intervista, Terrence McKeegan, del Catholic Family & Human Rights, critica “gli interventi sul controllo delle nascite” pianificati dalle Nazioni Unite, dicendo che “semplicemente si riduce il numero delle gravidanze invece di migliorare le cure mediche e i servizi”.
LAVORO NERO
IL MANIFESTO – Bel reportage dall’Argentina in ultima pagina per il ciclo “Storie”. Nell’articolo di Filippo Fiorini «Catene di cotone» si racconta il lavoro schiavo in Argentina dove gli immigrati, soprattutto donne, dalla Bolivia lavorano nelle fabbriche clandestine di Buenos Aires «Merce griffata che finisce nei costosi mall delle metropoli e nel grande mercato nero del “taroccato”. Come “la Salada”». Si osserva che «(…) il sistema è uguale a quello descritto da Saviano per il napoletano: il procacciatore va dal proprietario della sartoria sommersa e gli propone uno stock di produzione al quale allega, oltre al pagamento della merce, la possibilità di tenersi il clichè e riprodurre il modello taroccato per il mercato nero (…)». Filo conduttore del racconto è Maria una ex schiava che ora lavora in una sartoria creata da Alameda e altre ong in una rete cooperativa dove si producono vestiti di marca “No chains” in cui «lavorano gli ex-schiavi con stipendi uguali tra loro e senza catene».
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