Volontariato

Profugo,vuoi asilo? Ripassa tra un anno

Senza legge,con una burocrazia che li costringe ad attendere fino a 12 mesi per avere risposta.Sono 4 mila i disperati che hanno chiesto rifugio al nostro Paese.

di Paolo Giovannelli

In Italia il diritto d?asilo resta una chimera. Una legge in materia ancora non c?è e, purtroppo, l?odissea per migliaia di disperati continua, anche per colpa del Belpaese. Ora rischia di protrarsi ben oltre i limiti consueti l?attesa per 4 mila profughi, in gran parte cittadini del Kosovo e curdi provenienti dall?Iraq e dalla Turchia. Hanno presentato nel 1998 le loro richieste d?asilo in Italia, rimaste finora senza risposta.
L?Associazione nazionale ?Oltre le frontiere? (Anolf, che ha sul territorio italiano oltre 250 centri di assistenza ed è presente in 78 Comuni capoluogo con i suoi 32.693 soci e i 71.174 lavoratori immigrati iscritti al sindacato di cui è emanazione, la Cisl), ha lanciato il preoccupante allarme qualche giorno fa, a Trieste (città dove, due anni fa, sono state raccolte ben 700 richieste di asilo). L?Anolf sollecita, da tempo, l?approvazione della legge di riforma sul diritto d?asilo e ha chiesto al governo di dar vita, nell?attesa, a un piano straordinario per supportare gli enti locali più impegnati nell?assistenza dei richiedenti asilo. «Purtroppo», afferma il coordinatore nazionale del settore immigrazione dell?Anolf, il senegalese Sanghare Souleymane, 38 anni, «ci sono tantissimi cittadini di Stati stranieri che hanno inoltrato la loro richiesta di asilo all?Italia ma che si vedono recapitare la risposta solo dopo mesi e mesi dalla presentazione della stessa. Cinque, sei, dieci mesi sono i tempi ?normali? coi quali la burocrazia di questo Paese risponde loro. Ma , intanto», osserva Souleymane, « qual è la loro sorte?».
Già, bella domanda. Chi ha fatto richiesta di asilo ottiene infatti dallo Stato italiano uno speciale permesso di soggiorno, di brevissima durata, che non gli consente né di trovare una sistemazione né tantomeno un lavoro. Nemmeno se, nel frattempo, è uscita fuori la miracolosa possibilità di un lavoro in regola. «Sono anni», rimarca il coordinatore nazionale dell?Anolf, «che noi chiediamo alle istituzioni italiane di far lavorare il richiedente asilo che ha la fortuna di trovare un posto di lavoro regolare. Purtroppo siamo stati, finora, inascoltati. Tutti sappiamo, tuttavia, e sarebbe troppo ipocrita continuare a far finta di niente, che queste persone non possono certo sopportare i tempi burocraticamente elefantiaci che lo Stato si prende per rispondere alla loro richiesta di asilo. Che cosa mangiano, che cosa bevono, di che cosa campano nel frattempo? È chiaro», conclude Souleymane, «che se questa persona non ha, per legge, la minima possibilità di vivere dignitosamente, è certo che qualcosa deve inventarsi. Spesso anche contro la stessa legge. E lo sappiamo, il rischio di cadere nella rete delle bande criminali è altissimo». Pertanto il problema, vero, è che l?attesa di una decisione da parte dello Stato italiano riguardo alla domanda di asilo inoltrata presso la Questura del luogo dove il rifugiato ha varcato il confine italiano, implica la necessità di un alloggio e di mezzi di sostentamento. Per questo l?Anolf ribadisce che il punto cruciale non è «aprire o chiudere le frontiere», ma dare assistenza a chi ne ha diritto, accelerando l?esame delle pratiche e smistare i flussi all?origine, reprimendo sul nascere il mercato umano delle mafie d?oltreconfine. Le proposte dell?Anolf, condivise – affermano altri suoi rappresentanti – da altre organizzazioni, prevedono, per mettere almeno una volta concretamente mano all?intricata matassa del diritto d?asilo, l?istituzione di Centri di raccolta e smistamento dei profughi installati in Albania e in Montenegro, da porre sotto la gestione dell?Alto commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati e dove valutare le situazioni caso per caso.
Per informazioni: Associazione Nazionale Oltre le Frontiere, tel. 068417096.

Gli indios contro i giganti del petrolio

Le frecce avvelenate degli indios contro il gigante petrolifero statunitense Texaco. Capi delle tribù indiane dell?Ecuador sono infatti negli Stati uniti per ottenere 1 miliardo di dollari quale risarcimento, accusando la Texaco, le cui maestranze hanno lasciato l?Ecuador sette anni fa, di aver scaricato nelle loro foreste e nei loro fiumi acqua altamente tossica?sottoprodotto derivato dalle trivellazioni petrolifere, che avrebbe alterato l?equilibrio ambientale e distrutto il loro modo di vivere. La notizia è stata diffusa dall?agenzia di stampa Misna. Vestiti con i costumi tradizionali delle tribù, gli indiani ecuadoregni hanno discusso alla Corte federale di Manhattan sul diritto di citare in giudizio la nota compagnia petrolifera. La Texaco, dal suo canto, ha ammesso di aver scaricato acqua tossica sul territorio abitato dagli indigeni, aggiungendo però che si sarebbe trattato di un?operazione perfettamente legale e sostenendo (al contrario degli indios che vorrebbero discutere il caso negli Stati Uniti) che ogni eventuale diatriba dovrebbe avere luogo in Ecuador. Il giudice incaricato del caso ha dichiarato che deciderà presto sulla competenza del foro, mentre gli indios hanno già annunciato di ricorrere in appello qualora la sentenza fosse loro contraria.

In attesa d’asilo

anno:1994
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