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Profughi, l’ora dell’umanità
Missione italiana in Tunisia, un aiuto almeno per diecimila
Adesso almeno li chiamano “profughi”, non sono più “clandestini”: l’emergenza umanitaria determinata dall’esplosiva situazione politica del Nord Mediterraneo (non solo Libia, ma anche Tunisia, Marocco, Egitto) è il tema del giorno, dopo l’annuncio del ministro Maroni di una “missione umanitaria” italiana.
- In rassegna stampa anche:
- YARA E DANIEL
- DISABILI
- 5 PER MILLE
- BONDI
- FAMIGLIA
- MIGRANTI
- AMBIENTE
“Missione italiana per i profughi”, non ha dubbi il CORRIERE DELLA SERA, il tema del giorno è questo a cui dedica l’apertura in prima. E i servizi da pagina 14 a pagina 17. Una missione umanitaria italiana in Tunisia, dunque, per dare assistenza ai profughi ai confini in fuga dalla Libia. La stima è che la missione darà assistenza a 10mila profughi. Il tutto deciso nel corso del vertice sulla situazione in Libia e nel Nord Africa di martedì sera a Palazzo Chigi. Oltre alla cronaca degli eventi e il reportage di Giuseppe Sarcina “Quel mare di coperte degli egiziani in fuga” a pagina 14 trovano spazio un approfondimento sulle missioni di pace intraprese dall’Italia negli ultimi 100 anni, un affondo sulla decisione Onu di sospendere Tripoli dal proprio consiglio dei diritti umani e una colonna che fa il punto della situazione sui beni e gli interessi libici in Italia: «Il governo è pronto al blocco dei beni della famiglia Gheddafi in Italia, ma attende di concertare con l’Unione europea le azioni da intraprendere nei confronti dei libici, che vantano partecipazioni importanti».
Fabrizio Caccia a pagina 15 ci racconta delle manovre a Capital Hill. Come gli americani si stanno muovendo per isolare definitivamente il dittatore libico. Mentre Lorenzo Cremonesi, da Brega nella Libia centrale, spiega i pericoli che potrebbero avere oleodotti e gasdotti. Il titolo è più che esplicativo: “Catene ai cancelli e barricate. Si fermano i pozzi di petrolio”. Sullo sfondo c’è spazio per un piccolo scandalo. E’ quello che coinvolge la famiglia Gheddafi e la prestigiosa London School of Economics, rea secondo alcune voci di avere facilitato gli studi del secondogenito in cambio di finanziamenti, di avere insomma un rapporto con i Gheddafi che vada al di là del lecito e della deontologia accademica.
Al solito LA REPUBBLICA apre sulla politica interna (“Il Pdl: fermiamo i pm di Ruby”) e dedica la spalla all’emergenza umanitaria libica. I servizi sono in quattro pagine interne. “Il governo invia una missione umanitaria entro 48 ore impegnati aerei e navi militari” è il titolo del primo pezzo in cui si riferisce della decisione dell’esecutivo di aprire un corridoio umanitario al confine fra Tunisia e Libia per aiutare i profughi libici e impedire ulteriori esodi verso l’Italia. La missione sarà gestita dal ministero degli Esteri; si stima di poter assistere 10mila persone (sui 100 mila profughi presenti alla frontiera). Intanto si va verso il congelamento degli asset finanziari italiani riconducibili al rais libico. Prevista per oggi una riunione tecnica per mettere a punto l’intervento. L’intento italiano, non dissimulato del resto, è quello di coinvolgere anche l’Europa in questa iniziativa. Da Rai Ajdir, l’inviato Giampaolo Cadalanu descrive “l’inferno al confine tunisino”. Ovvero i 150mila immigrati in fuga dalla guerra. «La piena è arrivata. I profughi in fuga dalla Libia sono un’onda incontenibile, che rischia di travolgere le esili strutture di accoglienza della Tunisia». «Per ogni persona che siamo in grado di smistare e rimandare a casa ne arrivano altri cinque» spiega un funzionario della Sanità tunisina. «Se non è ancora una catastrofe, è solo per la commovente capacità dei tunisini, che hanno messo in moto una macchina di accoglienza eccezionale», commenta il reporter. Intanto Roma offre basi per la no-fly zone (per la realizzazione della quale spingono in particolare Gb e Usa). Anche la Russia ha scaricato il rais mentre per la Francia «un intervento della Nato potrebbe essere controproducente». Da Tripoli però, dove continua la repressione di Gheddafi, giungono grida di aiuto: «La Libia è un paese in guerra, in cui le operatori militari decise senza sosta dal colonnello continuano senza sosta», spiega Vincenzo Nigro, che riferisce anche dell’appello lanciato dai giovani di Zawiya (la città a 45 km da Tripoli conquistata da 10 giorni dai ribelli) che hanno incontrato i giornalisti: «i miliziani di Gheddafi stanno provando a rientrare nel centro della città, si stanno preparando a un nuovo attacco notturno. Chiediamo a voi giornalisti di aiutarci a implorare l’Italia, aiutateci a fermare i loro carri armati. Fatelo prima che anche qui ci sia una strage».
A pagina 13 de IL GIORNALE un articolo di Fausto Biloslavo racconta «l’unità di crisi nell’inferno di Tripoli: Così tre uomini e una donna hanno portato a casa 1400 italiani». Scrive Biloslavo: «Hanno sfidato le manganellate dei poliziotti per portare i nostri connazionali in salvo: “Abbiamo le braccia blu per le botte”». La situazione viene aggiornata sul sito del quotidiano, dove al tema dell’emergenza umanitaria è dedicato lo spazio di apertura con il titolo «Profughi, arriva l’ondata». Orlando Sacchelli fa il quadro della situazione: «Mentre la comunità internazionale discute sulle mosse per accelerare l’uscita di scena di Gheddafi, scongiurando nuove possibili stragi di civili (anche se al momento Russia e Francia non vogliono sentir parlare di “No fly zone”), una moltitudine di disperati dalla Libia preme ai confini con la Tunisia cercando la “salvezza”. In una sola giornata, lunedì, 14mila persone hanno varcato la frontiera a Ras Al Jedir. Le Nazioni Unite parlano di “situazione al punto di non ritorno”». Molto spazio viene dato alla posizione del ministro Maroni: «Il ministro dell’Interno parla sui recenti sviluppi della situazione nel Mediterraneo, davanti alle commissioni Affari costituzionali e Affari esteri riunite alla Camera: “In Libia ci sono 1,5 milioni di clandestini, entrati dai confini a sud. Non appena la situazione lo consentirà questi riprenderanno la direzione nord verso l’Europa: sarebbe lo scenario peggiore possibile, che prevede movimenti di forse 200.000 persone in fuga”».
Su IL MANIFESTO l’emergenza umanitaria nel Nord Africa non trova spazio in una prima pagina dominata dai problemi sul conflitto di interessi di Berlusconi e la presa di posizione dell’Antitrust (“Firma farsa” il titolo). Sulla Libia il richiamo: «Tripoli, “calma” sul precipizio Il Pentagono riposiziona la forza navale in Mediterraneo» rinvia alle pagine 4 e 5 dove in un box “Ultim’ora/Crisi libica e profughi” si racconta la missione umanitaria italiana in Tunisia. «La stima è che la missione darà assistenza a 10mila profughi. È quanto sarebbe stato deciso nel corso del vertice di ieri sera a Palazzo Chigi. Al momento sembrano essere stati ascoltati i consigli dell’Unhcr che ha sottolineato il ruolo del sostegno umanitario della Tunisia ai lavoratori in fuga dalla Libia». Sul disastro umanitario anche un articolo a pagina 4 «Profughi, il confine con la Tunisia scoppia L’esercito contrattacca». Scrive Fausto Della Porta: «Le navi da guerra statunitensi ieri si sono avvicinate alla Libia in vista di quelle che il portavoce della Casa Bianca ha definito contingenze di natura principalmente umanitaria. Ma è stato lo stesso Jay Carney ad aggiungere che “non scartiamo dal tavolo alcuna opzione” e avvertire che gli uomini più vicini a Gheddafi devono “pensarci due volte prima di continuare a sostenerlo”. Mentre gli americani lanciavano le loro minacce, le Nazioni Unite lanciavano l’allarme profughi: nel tentativo di scappare dalla guerra civile decine di migliaia di persone si sono ammassate al confine con la Tunisia, dove la situazione ha raggiunto un punto critico. (…)». Le due pagine dedicate al tema si aprono con il titolo «Tripoli prima della tempesta». In un’intervista a pagina 5 invece la parola è a un giurista: Anton Giulio Lana, direttore dell’Osservatorio sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il titolo dell’articolo sintetizza: «Il diritto di asilo? In Italia ormai è scomparso», afferma Lana proprio su quest’ultimo punto: «(…)si impedisce a persone come somali, eritrei ma non solo, di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato al quale avrebbero diritto. Questo accade perché li si intercetta in alto mare respingendoli in maniera indiscriminata. Il dramma è che molti eritrei che oggi si trovano in una situazione di pericolo a Tripoli sono stati respinti in mare proprio dal nostro paese».
IL SOLE24ORE fa un focus sulla rete globale del Colonnello che ha investimenti per oltre 100miliardi di dollari in più di 60 società estere, immobili e fondi. «Non esiste una mappatura completa delle partecipazioni libiche né degli interessi economici, né dei depositi all’estero. Ma il Sole24ore consultando molteplici fonti ne ha costruita una. Parziale ma sufficiente per capire quanto la guerra civile in Libia e i congelamenti di fondi possano frenare o rendere più difficile l’operatività di società in tutto il mondo. Tutti guardano all’effetto petrolio ma le conseguenze economico-finanziarie della crisi libica potrebbero avere una portata più ampia. La banca di Tripoli è azionista di almeno 60 società: Unicredit, Juventus, Retelit, Finmeccanica, società inglesi, olandesi, irlandesi, africane. Negli Usa secondo wikileaks ha 32miliardi di dollari cash depositatati in banche americane. Ci sono poi le operazioni immobiliari che interessano soprattutto Londra». Il Sole24ore mette in luce gli effetti del conflitto riportando le parole del sottosegretario Clinton «rischio di una lunga guerra civile se Gheddafi non si arrende» e del ministro degli Interni Roberto Maroni che annuncia che «le missioni umanitarie partiranno entro 48 ore. Una missione umanitaria in Tunisia per sostenere i profughi libici che si stanno concentrando al confine e prevenire l’esodo».
Un richiamo polemico all’ONU e al Tribunale dell’Aia in prima pagina di ITALIA OGGI, definiti “enti ridicoli e, con quel che costano, anche inutili” per la decisione tardiva di bloccare i beni di Gheddafi dopo che la stessa ONU, nel 2003, “impose il rappresentante libico alla presidenza della Commissione ONU per la difesa dei diritti umani”. Nulla sul dramma crescente dei profughi dal paese del rais. Il quotidiano solleva invece un allarme, riprendendo la relazione consegnata al Parlamento dai servizi di intelligence italiani: le rivolte nordafricane potrebbero dare spunto a Hezbollah per rappresaglie contro la missione italiana Unifil 2 in Libano.
“Fuga dall’inferno libico” è il titolo di apertura di oggi su AVVENIRE. All’interno sono quattro le pagine del Primo Piano sulla situazione politica in Libia. Una è dedicata al reportage (e alle drammatiche foto) dell’inviato Claudio Monici che parla di migliaia di profughi ammassati al confine con la Tunisia. Intitolato “Pane e bottiglie d’acqua lanciati sulla marea umana”, comincia così: «Lunghe “baguette” di pane fragrante, che ancora profumano di forno, e bottiglie d’acqua, di plastica, volteggiano nell’aria. Nella terra di nessuno, nel mezzo del confine libico-tunisino, bottiglie e pane volano di qua e di là per sfamare uomini prostrati dalla privazione di cibo e acqua. Dalla fatica del cammino che li ha spinti ad ammassarsi, premendosi come acciughe, a migliaia e migliaia, contro un cancello di ferro». A Ras Jedir le forze dell’ordine tentano di contenere e di sfamare gli sfollati che sono oltre 70mila, in gran parte egiziani. I tunisini offrono aiuti ma poi tutto si trasforma in una sorta di Gran Bazaar. Secondo l’Acnur arrivano 15mila profughi al giorno. Un taglio basso parla invece del dramma di 2mila eritrei accampati nella cattedrale di Tripoli in condizioni estreme e dell’appello del vicario apostolico perché una nave li prelevi. Dell’impegno italiano per l’emergenza profughi si parla a pagina 9. Il governo ora scarica Gheddafi dicendo che “cadrà entro qualche settimana, per noi non è più un interlocutore”. Intanto si profila un impegno massiccio del nostro Paese: una missione di tipo umanitario partirà “entro 48 ore”. La decisione è stata presa ieri sera al vertice di Palazzo Chigi e annunciata dal ministro Maroni a “Ballarò”. E la Caritas ambrosiana (che parla di “Rischio di catastrofe umanitaria”) ha lanciato un appello alle diocesi affinché si preparino ad affrontare l’emergenza sbarchi dal Maghreb.
“Libia, l’inferno ai confini”. LA STAMPA apre con una foto dei profughi ammassati al confine tra Libia e Tunisia. All’interno intervista l’ex ministro degli Esteri dell’Unione europea Javier Solana: “L’Ue riparta dal Mediterraneo”, il quale dice che l’Europa deve accompagnare il cambiamento che sta avvenendo in Nord Africa, e sulla probabilità di un esodo libico di massa dice: «Non ci sarà se le scelte saranno equilibrate. La Libia è un Paese sottopopolato con molt risorse. Dobbiamo aiutarla a creare le condizioni perché la gente non abbia ragioni per partire. È possibile. È la nostra scommessa». Da segnalare il pezzo di retroscena di Francesco Grignetti, che spiega come è nata la rivolta in Libia: “Per i soldi, non per l’Islam”, sintetizza il titolo. I rapporti arrivati sul tavolo dei governi spigano che da tempo c’è una lotta per la divisione dei proventi del petrolio fra le «cabilie», i clan libici. Sui clan ha imperato per quarant’anni Gheddafi, la sua famiglia e la sua triù, ma i rapporti fra le cabilie della Cirenaica e il dittatore si erano deteriorati gravemente negli ultimi tempi. Gheddafi è intervenuto con la repressione, una terribile nel ’96 che ha fatto 1200 morti e una nel 2006 quando fu incendiato anche il consolato d’Italia. Il riferimento popolare in Cirenaica è diventato l’avvocato Fethi Tarbel, noto attivista dei diritti umani, che portava avanti da tempo una causa di risarcimento a nome di mille famiglie. Il 15 febbraio è stato arrestato con una scussa. C’è stato un sit-it finito male con scontri di piazza. E il 17 esponenti dei clan di Bengasi si sono presentati armati, attraendo alcuni reparti dell’esercito più fedeli alle “cabilie” che a Gheddafi. La situazione ora è in precario equilibrio: a Bengasi c’è un abbozzo di governo alternativo rappresentato dalle maggiori tribù del Paese, ma il clan di Gheddafi è ancora abbastanza unito nel sostenerlo. Ma la forza militare “vera” della Libia, rappresentata delle quattro unità di élite che Gheddafi ha coltivato in questi anni è ancora con lui, e se volesse il dittatore potrebbe provocare un vero bagno di sangue. Da qui la prudenza dell’Italia, scrive LA STAMPA, convinto che la strada delle sanzioni o di un intervento militare esterno sarebbe il regalo migliore per Gheddafi, autorizzandolo a “reagire” contro gli “oppressori occidentali”.
E inoltre sui giornali di oggi:
YARA E DANIEL
CORRIERE DELLA SERA – Due pagine per il caso della giovane Yara, il cui corpo è stato ritrovato dopo tre mesi di ricerche. Sotto accusa i volontari della protezione civile che non avrebbero trovato nulla, proprio a poca distanza dal loro campo base. Non ci stanno però gli ex eroi, fino a ieri testimoni di una comunità che raccoglie intorno al dolore della famiglia Gambirasio, e oggi alla gogna mediatica di chi cerca per forza un colpevole di tanto ritardo. «Non mi sembra giusto. Magari abbiamo sbagliato ma non ci meritiamo questo» dice Luigi Previtali, vice della protezione civile nel bel pezzo di Marco Imarisio a pagina 23.
Da Bergamo a Torino, la scena è simile. Là una giovane ragazza, Yara, qui il ventenne Daniel Busetti. Il suo corpo è stato ritrovato dopo qualche giorno. Una foto straziante del padre al momento del ritrovamento campeggia nella pagina. Il resto è la storia di un ragazzo fuggito dal luogo di un incidente dove forse crede di aver ucciso qualcuno. Un’odissea che lo porta al pronto soccorso, alla comunità spirituale Damanhur, e infine a morire di assideramento sul ciglio di un torrente. Un vita scivolata via, solo per distrazione. Come racconta Paolo di Stefano nel suo commovente resoconto degli eventi a pagina 25.
DISABILI
AVVENIRE – A pagina 3 l’inchiesta dedicata alla scure sul welfare parla di servizi a rischio dopo i tagli da parte del governo. Nè nella legge di stabilità del luglio scorso, né nel recente decreto milleproroghe l’esecutivo ha voluto rifinanziare gli aiuti economici destinati a progetti per disabili, anziani e malati gravi. Scrive AVVENIRE: «L’assistenza continuativa alle persone con i più gravi problemi di salute rappresenta un costo enorme che pesa perlopiù sulle spalle dei familiari. Sul Fondo per la non autosufficienza introdotto nel 2007 gli enti locali facevano affidamento per mantenere i servizi istituiti. Ma non è stato ripristinato e ora i bilanci pubblici “piangono” e le famiglie tremano». In una intervista l’assessore Ligure alle Politiche Sociali Lorena Rambaudi sostiene che «i tagli ci saranno e anche forti. Ogni Regione cerca di salvare il salvabile… Abbiamo provato più volte a discutere con il governo, ma invano». Dalla Calabria l’assessore parla di “Situazione drammatica” e dal Lazio l’allarme è “Reggiamo solo per il 2011”.
5 PER MILLE
LA REPUBBLICA – Ettore Livini firma “La babele del 5 per mille soldi a bocciofile e guardie padane”, un pezzo in cui si riferisce delle donazioni 2009. Oltre 15,4 milioni di persone (+ 5,6% in rispetto all’anno precedente) hanno indicato una preferenza scegliendo fra gli oltre 46mila enti. La parte del leone l’ha fatta l’Airc (60 milioni) seguita da Medici senza frontiere, San Raffaele ed Emergency. «Dietro di loro, a grande distanza, la tradizionale carica dei Carneadi della beneficienza (o presunta tale), una lista di associazioni che spazia dalle bocciofile agli speleologhi, dai giocatori di scacchi fino a quelli di water basket. Tutti “certificati” dall’agenzia e ammessi a beneficiare non solo delle donazioni dirette a loro nome ma pure – in quota parte – di quelle destinate alle voci “generiche”». Un pezzo insomma all’attacco e sottovalutante, questo di Livini, che enfatizza l’effetto giungla e pare voler alimentare l’impressione che «l’armata Brancaleone del 5 per mille» sia qualcosa di cui sospettare.
BONDI
IL GIORNALE – Lettera del ministro dei Beni culturali Sandro Bondi: «Lascio il governo, neanche il partito mi ha sostenuto». Il ministro annuncia che «presto si dimetterà». Scrive Bondi: «constato che dalla sinistra alla destra la soddisfazione per le mie dimissioni è unanime. Stiano sereni, presto li accontenterò». Il ministro lamenta di non aver ricevuto il supporto nenache «dalla stesssa maggioranza di governo e da quei colleghi che avrebbero potuto imprimere insieme a me una svolta nel modo di concepire il rapporto fra stato e cultura in Italia».
FAMIGLIA
AVVENIRE – “La sposa è del Marocco? Ti devi convertire all’Islam” è il titolo dell’articolo a pagina 14 che racconta il caso avvenuto nel Vicentino, dove il Consolato africano ha chiesto a un giovane di convertirsi per poter sposare una marocchina. Un dramma per tante coppie miste. Ma la richiesta non ha luogo se a sposare un’italiana è un uomo islamico. In dieci anni, secondo AVVENIRE, sono migliaia i casi analoghi. Forti le razioni politiche. Di “fatto grave” parla Storace (La destra), mentre Danese (Api) sollecita una “presa di coscienza” e Binetti (Udc) sostiene che ci vuole uno “Scatto di dignità. Non ci sarà nessuna abiura”.
MIGRANTI
IL MANIFESTO – «Primo marzo d’assalto. Al Cie» è il titolo delle due pagine (la 2 e la 3) dedicate alle manifestazioni di ieri. «Sciopero degli immigrati atto secondo. Manifestazioni in tutta Italia, con un occhio a lavoro e permessi di soggiorno e l’altro alle rivolte nel Maghreb. A Bologna attivisti all’”assalto” del Cie. E all’interno esplode la protesta» spiega il sommario. Si raccontano le manifestazioni di Bologna (cui è dedicata l’apertura) e quelle di Napoli «4mila in corteo per Nourredine “Egitto anche qui”» e di Torino «Gli negano il permesso, tunisino si dà fuoco». Su quanto successo a Roma un box informa: «Hanno chiesto a gran voce uno sciopero per far capire all’Italia quanto valgono nel mondo del lavoro. Hanno fatto un appello ai sindacati affinché li aiutino a dimostrarlo. A Roma i lavoratori immigrati hanno chiesto maggiori diritti e più garanzie: dal permesso di soggiorno alla cittadinanza per chi nasce in Italia, fino al diritto di voto».
AMBIENTE
ITALIA OGGI – Apertura in prima pagina e approfondimento su quella che ItaliaOggi indica come “Deregulation ambientale”, ovvero il pacchetto di norme arrivato in consiglio dei Ministri (“small act business dell’ambiente”) che semplifica gli oneri documentali in materia di acque reflue e di rumore. Il risparmio per le pmi dovrebbe aggirarsi intorno agli 800 milioni di euro l’anno. Nel dorso Edilizia e appalti, una carrellata di progetti ecocompatibili (il porto di Amburgo, la nuova sede di Roche a Basilea, il nuovo ateneo di Aosta, il futuro stadio del Siena calcio), che presentano un ampio ventaglio di idee e best practice sull’edilizia green del futuro.
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