Famiglia

Profughi in Afghanistan. Il campo mattatoio

Ogni giorno, vicino ad Herat, muoiono un centinaio di disperati. E il network degli aiuti umanitari è già crollato sotto l'afflusso dei nuovi arrivi. Il Guardian denuncia la strage

di Paolo Manzo

Il campo si trova a Maslakh che, tradotto in italiano, sta per mattatoio. E il nome rende bene l?idea. Situato a 50 chilometri ad ovest di Herat, il campo è rifugio (o lager, dipende dai punti di vista) per oltre 350mila profughi afghani, cento dei quali muoiono, ogni giorno, per fame e freddo. Ecco la storia raccontata dal quotidiano inglese The Guardian. Izzah Burza ha 38 anni e una vita vissuta in Afghanistan tra comunismo alla Najibullah, mujaheddin, talebani, bombe ?intelligenti?, siccità e terremoti. Del re Zahir Shah quasi non si ricorda, né dell?elezione di Miss Afghanistan, datata 1972. Sembra passata una vita, in realtà da allora sono state spezzate milioni di vite nel suo Paese e Izzah, da dietro il suo burqa, credeva di averle viste tutte. E di avercela fatta. Ma non aveva fatto i conti con Maslakh. Con ciò che restava della sua famiglia era arrivata al Mattatoio un mese fa, in fuga dalla guerra e dalla siccità (da tre anni in Afghanistan non piove più). È stata attirata dal tam tam dei poveri, unico mezzo di comunicazione in un Paese in cui radio e tv sono un lusso per pochi. Il tam tam le aveva prospettato la presenza di cibo al campo del Mattatoio. Perciò è partita. «Con la mia famiglia mi sono fatta a piedi oltre 200 chilometri per arrivare sin qui», spiega Izzah, quasi volendosi scusare per essere stata tanto stupida a essersi fidata dell?aiuto occidentale. «Quando sono arrivata avevo quattro bambini, ora me ne sono rimasti due? Non ci hanno dato niente da mangiare per più di una settimana… I miei figli sono morti di fame». Ma quella di Izzah è una storia comune a Maslakh, un campo messo su quattro anni fa per occuparsi della siccità e che il recente conflitto ha fatto esplodere. Chi ci arriva non può ottenere nessun aiuto, finché non si fa registrare dagli uomini del Pam, il Programma alimentare mondiale, ottenendo lo status di profugo interno. Ma la registrazione è una chimera. Al momento, a Maslakh il Pam ha personale ridotto all?osso, neanche sufficiente per occuparsi delle migliaia di profughi già là, figurarsi per registrare i nuovi. Che sono obbligati a scavare buche nella terra gelata per ripararsi dal vento che, di notte, porta la temperatura a meno 20. I più fortunati hanno qualche telone di plastica per proteggersi, gli altri semplicemente muoiono. A neanche 25 metri dai rifugi-buche, infatti, c?è uno dei molti cimiteri. Il formato minuscolo delle tombe testimonia che i sepolti sono quasi tutti bimbi. E con l?arrivo della neve invernale, il numero dei cimiteri è destinato a crescere.


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