Cultura

Profili: Mister Kalashnikov

Tutti conoscono questo strumento fonte di violenza e morte. Ma dietro l'invenzione più letale del secolo scorso, c'è un uomo, a cui il New York Times ha dedicato un'intera pagina

di Joshua Massarenti

I Cobras, Ninja, Cocoye sono temutissime milizie giovanili africane che per seminare morte e terrore utilizzano una delle armi più efficaci per uccidere il prossimo. In Africa, il Kalashnikov viene soprannominato “la macchina che fa viaggiare nel Paese degli antenati”. Il “mandante” di questa sadica spedizione nell’al di là ha due nomi e cognome: Mikhail Timofeyevitch Kalashnikov. Sì, avete capito bene, il Sig. Kalashnikov, che alla faccia dei milioni di civili rimasti vittime di guerre sanguinose esplose ai quattro angoli del pianeta, ha soffiato lo scorso 10 novembre le sue 85 candeline. All’inventore dell’arma più tristemente nota al mondo, il prestigioso quotidiano americano New York Times ha deciso di dedicare un’intera pagina. Così, si viene a sapere che per la sua salutare invenzione, Mister Kalashnikov era diventato agli occhi del mondo sovietico l’archetipo dell’eroe leggendario, due volte “reo dell’Unione sovietica”, vincitore dei “prestigiosissimi” Premio Lenin e Premio Stalin, in barba ai paradossi della Storia. Ma per il generale Kalashnikov, accolto in pompa magna al palazzo presidenziale russo, la Storia si è fermata nel 1989, incapace di accettare un mondo (quello russo per l’appunto) che non è più suo. Prova ne è, l’uniforme che indossava il giorno del suo compleanno (un medaglione di Lenin scintillante) e la fierezza con la quale si rivolse agli ospiti d’onore con un solenne “Tovarich”. Sbirciando un occhio nel passato, si scopre che il “Compagno” Kalashnikov nasce nel 1919 da una famiglia molto povera. Sin dalla più tenera età, impara ad apprezzare un regime politico per il quale “darà la sua vita”: con parenti deportati in Siberia, dedice all’età di 19 anni d’incorporare l’illustrissima armata rossa. La Seconda Guerra Mondiale gli permette di illustrare le sue doti di inventore. Così, nasce il suo primo gioiello: una macchina per contare le granate lanciate dalla mitragliatrice di un tank “per capire il numero di granate rimaste a disposizione”. A ridosso, ci tocca la sfiga della sua peggiore illuminazione. Succede nel corso di un suo ricovero ospedaliero. Sconcertato dalla differenza che sussisteva tra gli attacchi sferrati dai tedeschi con armi automatiche e gli strumenti di difesa dei poveri soldati sovietici (fucili a una canna, ndr), Kalashnikov dedice di darsi da fare. Armato di carta e matita, disegna e ridisegna una serie infinita di modelli di arma automatica. Ma nessun vuole dare retta a un figlio di contadino, semi-analfabeto e privo di qualsiasi insegnamento tecnico. La svolta si chiama Anatoly Blagoronov, un sergente che con la tecnologia ha una certa confidenza. In una lettera scritta ai suoi superiori, Blagoronov segnala il giovane Kalashnikov “per la sua capacità eccezionale a risolvere i problemi tecnici più complicati”. Tanto è bastato per smuovere le acque e finalmente permetterli di sognare in grado. Dopo vari passaggi in vari istituti tecnici, Kalashnikov crea il suo primo prototipo nel 1946. L’anno successsivo, nasce ufficialmente l’arma che non più tardi di ieri, abbiamo visto nei Tg serali bambini soldato farne uso con una certa saggezza. Vincitore di concorsi organizzati per selezionare il fucile d’assalto da distribuire nell’esercito sovietico, l’arma di Mister Kalashnikov verrà diffusa in tutte le unità di produzione con l’appellativo AK-47. Un nome piuttosto semplice dove AK sta per “Avtomatni Kalashnikova”, ovvero “L’automatica di Kalashnikov”, e dove 47 si riferisce all’anno della sua selezione. Il successo è totale. Intendiamoci, dal punto di vista delle vendite. 100 milioni di esemplari venduti in mezzo secolo. Per parlare chiaro, oggi come oggi l’AK-47 è numericamente due volte superiore al suo omologo americano MI 16. Jean-Pierre Huston, che di questa arma conosce fatti e misfatti, dirà: “Oserei dire che il kalashnikov sta alla rivoluzione quello che la Coca-Cola sta al capitalismo: questa arma è l’emblema dei rivoluzionari e della rivoluzione, dei movimenti terzomondisti e dei popoli che lottano per l’indipendenza”. Da parte nostra, potremmo aggiungere che dal crollo del muro di Berlino il Kalashnikov è diventato sapientemente commercializzata e usata dalle più potenti reti maffiose del mondo, ma non solo. Terroristi, governi e milizie africani, mediorientali o asiatici sono sempre in cerca di un’arma robusta, affidabile, con una vita media che si aggira sui 15 anni e che può essere riprodotta in piccole ufficine (vedi il caso Pakistan). Ma su tutto, il kalashnikov ha un costo maledettamente irrisorio. Con 15 dollari, la si può acquistare nei bazar di Kabul, Peshawar o Kinshasa. Sui sentimenti che prova nei confronti dei disastri che la sua arma ha prodotto in termini umani, Kalashnikov è stato piuttosto lapidario: “Ho creato questa arma per difendere la mia arma. Non è colpa del suo inventore se le persone sono uccise con l’AK-47, ma per colpa della politica”. Di sicuro, per le sue idee, il regime sovietico lo ha coperto di onori e medaglie. Di soldi, neanche a parlarne. Se in un qualsiasi paese appartenente al mondo del libero mercato, il sig. Kalashnikov avrebbe fatto soldi a palate, oggi, in un buco chiamato Ijevsk (capitale della Repubblica Russa autonoma di Udmutri, nei pressi del lago Baikal), Kalashnikov non si accontenta di una modesta pensione che gli ha consentito di pubblicare di recente un libro di memorie. Per capitalizzare il suo nome, si è buttato negli affari con la produzione di una vodka battezzata SKalashnikov! Per la felicità del presidente russo Putin, pronto a “ripacificare” i russi con il proprio passato (destinando il 30% del Pil all’esercito) e proseguire il cammino russo sulla via del libero mercato.


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