Mi ronzava da tempo in testa l’idea di una gita scolastica che rovesciasse i cliché consolidati: orde di studenti che si aggirano indifferenti innanzi a opere d’arte di ineguagliabile bellezza, storditi dai decibel sparati a mille dagli auricolari degli iPod. Passeggiate sballottati da un museo a un parco con tempi morti e confusione. Notti brave trascorse a far fessi “i prof” in un continuo via vai tra camere e tentativi di fughe dall’albergo.
La preparazione
Noi, tre prof (ginnastica, arte, latino) abituati a questo cliché, abbiamo provato a cambiare le carte in tavola. Scegliendo un grande classico delle gite scolastiche, i castelli della Loira. Una gita, però, che abbiamo organizzato in bicicletta. Con due classi, 40 studenti di 16 e 17 anni, abbiamo visitato Blois, Amboise, Chenonceaux e Tours. Ci siamo spostati da una città all’altra in bici, un percorso di circa 200 chilometri tra vigneti e campi di girasole.
Quattro giorni in sella, una tappa da 48 km, un’altra di 40, poi due intorno alla trentina, con soste obbligate per visitare i celebri castelli e i loro tesori storici e artistici.
Quando ho presentato il progetto, il collega di latino mi ha definito scherzosamente «docens in paedale strenue insistens, numquam animam efflans».
Il tutto finirebbe (anzi, inizierebbe) qui, se non fosse che la gita scolastica, anziché la solita rassegnazione del professore che deve bersi l’amaro calice della gita, ha messo in moto energie inaspettate: i ragazzi sono rimasti spiazzati, positivamente spiazzati. Non solo. Non ha saputo resistere alla tentazione una professoressa di latino e greco da qualche anno in pensione, che si è unita a noi, come pure una studentessa che si era trasferita a Firenze, ma ha voluto comunque aggregarsi ai suoi ex compagni per pedalare insieme a loro.
All’assemblea di classe, quando abbiamo proposto l’idea, tra i genitori non sono mancati i timori: «Mia figlia non ce la farà mai a fare 48 km in bicicletta…»; «Darete la merenda lungo il tragitto? Sa, con tutti quei chilometri…»; «Come dovranno vestirsi i ragazzi?». L’andare in bicicletta, insomma, sembrava – sembra – ormai una cosa lontanissima dalla realtà, cui non siamo più abituati, soprattutto i ragazzi. Eppure, il bello della nostra gita è stato riuscire a darle lo stesso spirito della gita fuori porta, in allegria e relax. Solo che è durata più giorni. Le raccomandazioni prima di partire? Poche: freni in sicurezza, luci anteriori e posteriori funzionanti, casco, guanti in caso di freddo e una mantellina per la pioggia. Il resto l’hanno fatto le gambe e l’eterna allegria degli studenti.
Loro, gli studenti, hanno accettato la sfida. A Natale Silvia si è fatta regalare la bici dai suoi genitori, che si sono risparmiati il supplizio di aggirarsi per negozi supertecnologici alla ricerca dell’ultimo modello di iPod. Altri hanno utilizzato le bici dei genitori, e si sono allenati cominciando a venire a scuola in bici.
Tra vigneti e tramonti
Pronti? Via. Fin dalla prima tappa si è posto il problema della distribuzione degli insegnanti lungo la fila degli studenti ciclisti, snodata per circa un chilometro. Io spesso venivo chiamato in fondo al gruppo per rimettere a posto la catena della bici di questo o di quello studente. Insomma, più di una volta la fila è rimasta senza una guida. Ma, sorpresa, senza dover attendere l’indicazione del prof, è stata Lara a prendere la situazione in mano, con piglio da leader e sguardo attento alla cartina dei percorsi ciclabili da seguire lungo la Loira. Lei e qualche sua compagna hanno imparato presto a leggere i segni nascosti della mappa, e sono state loro che, già dopo il primo giorno, hanno guidato il gruppo. Ogni tanto una rapida consultazione con me per dissolvere qualche incertezza, poi me ne tornavo nelle retrovie a incoraggiare qualcuno o a tenere a bada i più arditi.
Indispensabile l’aiuto di Alessandro e Francesco, che dopo i primi interventi per rimettere a posto la catena che saltava, hanno imparato presto e bene la tecnica, fino a sostituirmi degnamente nel ruolo di meccanici volanti. E quando il gruppone dei quaranta ciclisti si è dovuto fermare in aperta campagna, perché la ruota di una loro compagna si era bucata, i due provetti meccanici sono stati ottimi assistenti: Francesco ha tirato fuori dalla borsa i guanti di gomma e me li ha passati, quasi fossimo un’équipe chirurgica pronta ad effettuare un intervento in sala operatoria, mentre un cielo plumbeo minacciava pioggia…
Quella vicinanza fatta di tempi comuni (alla sveglia, tutti puntualissimi per la colazione, cosa incredibile in gita!), di fatica, di aiuto reciproco davanti ad un’emergenza e di condivisione nella scelta del percorso, ha incrinato la barriera che sempre si crea tra professori e studenti, crollata poi definitivamente, la sera, davanti a una bottiglia di Chinox, il vino della Loira.
Niente iPod e cuffie alle orecchie, nessun bisogno di consultare Facebook, niente smanettamenti continui con gli sms. Qualche telefonata con effetto sedativo ai genitori ansiosi, preoccupati che tutti quei chilometri avessero trafitto i polmoni dei loro figli, e per il resto le due ruote hanno prevalso sulla tecnologia convulsa che scandisce la loro esistenza quotidiana. Al resto ci ha pensato l’acido lattico accumulatosi nei muscoli delle gambe, che non ha lasciato molto spazio alle notti in bianco o al protagonismo di adolescenti alla ricerca di emozioni forti.
La sera, dopo cena, Morfeo era lì dietro l’angolo pronto a trascinarli nel sonno più profondo. E anche Cupido, maliziosamente annidatosi tra i raggi delle ruote, ha colpito (ma guai a me se svelo il chi e il come).
Pensieri, al ritorno
E io, professore in gita, cos’ho imparato? Prima cosa, ho vissuto tanti momenti sorprendenti. Come quando, pedalando tra i vigneti della Loira, al termine di una bella e intensa giornata, Beatrice mi ha fatto notare la luce rosea di un sole al tramonto che si posava sui campi: «Solo la bicicletta ti consente di cogliere questi momenti», mi ha confidato, incantata.
Poi, ho avuto la conferma di quello che già sospettavo quando mi sono immaginato questa iniziativa: una gita in bicicletta è il modo migliore per spingere gli insegnanti a scendere dalla cattedra e a stare davvero tra i ragazzi, a condividere le loro emozioni e la loro vitalità.
Cari colleghi professori, datemi retta: trovate la fantasia per battere nuove strade, anzi, mettetevi a pedalare con i vostri studenti lungo nuove strade, su sentieri poco frequentati. I primi a stupirvi saranno proprio loro, che fuori dalle aule della scuola hanno molto da insegnarvi. Come è successo a me.
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