Volontariato

professione superstite a erto dopo il vajont

Ecco come il paese è sopravvissuto alla tragedia. Erto è stato colpito dalla frana del Vajont, nel 1963

di Sara De Carli

A Erto ci potrebbero fare L?isola dei famosi. Mille metri d?altezza, 300 anime, niente edicola, macellaio, fruttivendolo. ?Erto? vuol dire ripido, e la vita qui è così. «Stare in piedi sul ripido non è roba da burattini. Voglio vederle qui, con un filo al posto delle mutande», tuona Mauro Corona. Questa invettiva è solo una frangia della polemica di Corona. Perché Erto è il paese travolto e distrutto dalla frana del Vajont, nel 1963. Duemila persone scomparse nel nulla in tre minuti, come non fossero mai esistite. E Corona – scrittore, scultore e alpinista – ha appena pubblicato un pamphlet violentissimo contro chi su quella tragedia sta ingrassando. In popolarità più che in euro. Cominciando dall?attore Marco Paolini e dal regista Renzo Martinelli per arrivare ai suoi compaesani, che si sono venduti «in cambio di un water e di un bidet». Vita: Perché critica Paolini? Ha riacceso i riflettori su una tragedia dimenticata? Corona: È vero, e gliene sono grato. Io critico tutto quello che sulla sua scia si è messo in moto. Sono apparsi più libri sul Vajont negli ultimi due anni che nei quarant?anni precedenti. Ci sono in giro troppi errori voluti sul dopo Vajont. Chi se ne è occupato non ha detto tutta la verità. Ho cercato di colmare le lacune. Vita: Cos?era Erto fino a quel 9 ottobre 1963? E che cosa è ora? Corona: Era un paese con un?architettura di 1.200 anni. Eravamo in 3mila, ora siamo in 300. Erto vecchia sta crollando. Il ministero dei Beni culturali dice che io non posso piantare un chiodo nei muri della mia casa, però la lascia crollare. In compenso ci hanno fatto il paese nuovo, un blocco di cemento, con la chiesa che pare una banca. L?unico segno di vita a Erto vecchia è l?osteria: dopo Paolini e Martinelli la domenica arrivano i turisti. Vita: Non ne sembra felice? Corona: Certo che lo sono. Però li dobbiamo accogliere con dignità, non con i piagnistei. Qui è nata una nuova professione: il superstite. C?è gente che non ha perso un cerino e la domenica va sulla diga a dire che ha perso tutto: vende dolore in cambio di pietà. Non va bene, perché il dolore non va svenduto. A Longarone sono nate due associazioni: quella dei superstiti e quella dei sopravvissuti. I superstiti hanno vissuto l?evento, i sopravvissuti sono stati tirati fuori dal fango col piccone e quindi si arrogano diritti superiori. Io questo non lo tollero. Vita: Che tipo di turismo vede allora? Corona: La gente dovrebbe percorrere questi luoghi accompagnata da un ertano, per sentire l?atmosfera, l?angoscia, intravedere gli oggetti nelle case diroccate e chiedersi chi li avrà usati?. Oggi la gente arriva, guarda un pezzettino di terra slabbrata e pensa che la frana sia quella. Non lo sa che sulla frana ci sta camminando, ci è passato in macchina, che c?erano 12 km di acqua, che la frana sono 300milioni di metri cubi di terra. Uno rischia di andar via dicendo «pensavo peggio, in fondo è una carriola di terra». Bisogna istruire i turisti: non perché siano cretini, ma perché non conoscono il posto. E poi li porterei a vedere il nuovo paese: è educazione all?orribile. Se tra i giovani che arrivano qua ce n?è uno che domani sarà architetto, stia sicura che stupidaggini come quelle di Erto non ne farà. Vita: Qual è la sua idea per salvare Erto? Corona: Una università di geologia e scienze forestali. Lo Stato sistema le case e le affitta agli studenti: nel giro di 60 anni ha recuperato l?investimento. Altrimenti è inutile dire «Salviamo Erto»: non sono le case che fanno i paesi, è la gente. La mia è una richiesta d?aiuto. Vita: Lei critica gli ertani del film di Martinelli: come sono quelli veri? Corona: Nel film non c?è una parolaccia, un «va in mona». L?ertano ha un carattere d?attacco, dato dal ripido. È gente tosta, come il camoscio, come il carpino nero, duro, tenace, orgoglioso, permalosissima ma molto generosa.


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