Formazione

Procida, l’isola della partecipazione

La capitale della cultura 2022 ha inciso innanzitutto sul sentiment dei procidani, sulla coesione sociale, sulla riscoperta di una identità forte che adesso non teme confronti con le isole storicamente più "grandi". Procida "la piccola" ha infatti parlato al mondo intero di un welfare culturale e mediterraneo fatto di accoglienza e restanza. Dialogo col sindaco Dino Ambrosino.

di Gabriella Debora Giorgione

Quarta puntata del format Piccoli comuni, grandi Sindaci che mira alla emersione del "fattore X" dei “grandi sindaci” dei “piccoli comuni”: uomini e donne che si confrontano quotidianamente con mille difficoltà e poche risorse anche umane e che nonostante le difficoltà hanno scelto di costruire una prospettiva per i concittadini di oggi e di domani, investendo energie nella «grande impresa» del governo dei piccoli comuni, spendendosi senza risparmio per garantire servizi e futuro a chi sceglierà di rimanere o di tornare o di trasferirsi in quei luoghi.

Tecnicamente Procida non è un “piccolo comune”, perché ha attualmente circa 10.500 abitanti. Ma è Procida, è un’isola, è la Capitale italiana della Cultura 2022 e da “piccola” ha parlato al mondo intero, in questo difficile 2022. “La cultura non isola”, dice il claim: terra che diventa luogo di esplorazione, sperimentazione e conoscenza, modello delle culture e metafora dell’uomo contemporaneo. Procida ha “vinto” perché ha mostrato di essere un modello di “capitale esemplare di dinamiche relazionali, di pratiche di inclusione nonché di cura dei beni culturali e naturali”. Dino Ambrosino, il “sindaco della capitale”, giacca e cravatta, nel suo studio siede tra le bandiere d’Italia e d’Europa, un ficus gigante. Alle spalle, che ci guarda dal muro, il Presidente Sergio Mattarella. Tutto molto istituzionale, mentre negli occhi abbiamo il caos creativo delle immagini di Procida di questo anno appena trascorso.

Sindaco, un anno intenso è dire poco…
Un anno straordinario…(gli occhi si accendono, ma restano composti)

Lei è al secondo mandato: nel 2015, quando è stato eletto per la prima volta, immaginava tutto questo?
Io vengo da lontano, nel senso che arrivo dalla militanza politica. Per 14 anni sono stato consigliere comunale di minoranza. Prima di candidarmi a sindaco facemmo le primarie, nonostante la mia candidatura fosse abbastanza nell'aria.

Scegliendo la strada della partecipazione…
Sì, fu un bel momento di partecipazione politica e civica. Io ero molto giovane, però tentammo la strada del coinvolgimento proprio per allargare il bacino di partecipazione dei nostri elettori. All'epoca chiaramente lo strumento delle primarie non aveva ancora mostrato tutte le criticità che poi sono venute fuori in un secondo momento.

Nasce “La Procida che vorrei”, anche se la sua provenienza è il Partito democratico…
Esatto, nasce la nostra lista civica e tenga presente che i due colleghi che avevano fatto le primarie con me poi si candidarono nella civica con me. Gli altri avevano una provenienza dal Movimento Cinque stelle, siamo stati antesignani nel rapporto tra Pd e Cinque stelle. Diciamo che su questo concetto della partecipazione abbiamo fondato molto nel nostro impegno e della nostra battaglia politica.

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Partecipazione è anche il movens di Procida capitale, giusto?
Sul concetto di “partecipazione” abbiamo fondato molto del nostro impegno politico ed è il concetto che ci ha spinto a candidarci a capitale italiana della cultura, perché chiaramente noi non avevamo alcuna velleità di vincere veramente quel concorso quella gara. Ci candidavamo proprio con lo spirito di trovare un argomento forte, quale la cultura, per motivare e per spingere alla partecipazione i cittadini sia per le iniziative culturali ma anche per motivarli a prendersi più cura del proprio territorio, per conoscerlo di più. Quindi alla fine sì, questo è il valore che ha contraddistinto tutto il nostro percorso politico. partecipazione per noi significa partecipare ai processi, “impadronirsi” di determinate cose, tematiche, materie e quindi poi dire la propria però con consapevolezza.

Un altro esempio di democrazia partecipata che non sia Procida capitale?
Quando abbiamo lanciato la nostra ipotesi di lavoro sul progetto “Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati-SPRAR”, come si chiamava all’epoca. Era il momento della campagna elettorale degli anni 2017-2018 in cui la Lega andava forte su questi argomenti dell’emergenza migranti e noi eravamo la prima piccola isola che provava ad avviare un percorso tra lo scetticismo di tanti cittadini molto sensibili al problema sicurezza. Noi lasciamo ancora le chiavi di casa appese al portone, quindi la paura era tantissima. Abbiamo iniziato, così, un percorso di partecipazione in cui abbiamo girato parrocchia per parrocchia, casa per casa quasi, spiegando che era un progetto rivolto all’accoglienza di famiglie, quindi con adulti e bambini, e soprattutto che con le proporzioni che avevamo stabilito, ovvero tre migranti ogni mille abitanti, non c’era nessun problema perché era un'ospitalità diffusa, senza nessun “casermone” con persone ghettizzate lasciate a sé stesse. Di tutto questo all’epoca si fece carico la Vicesindaco, Titta Lubrano.

Prima di essere “capitale”, Procida cosa era?
Era una Procida “dei quaranta giorni”, in cui il fenomeno del turismo era prevalentemente concentrato nel mese di agosto o al massimo negli ultimi giorni di luglio. Adesso l’isola è frequentata quasi tutti i mesi dell’anno, fin dal 2021.

E il tessuto sociale?
La comunità, bene o male, è sempre la stessa. Sono consapevole che c’è tanto lavoro da parte nostra sulla rete sociale, ma non penso che un amministratore possa mai determinare un cambiamento sostanziale, un cambiamento profondo dell'identità anche sociale del paese. Oggi proponiamo qualche servizio in più rispetto all'epoca, ma non penso che ci sia una grossa differenza sociale rispetto al 2015. C'è chiaramente un territorio diverso, perché noi alla fine tutte le risorse che abbiamo a disposizione cerchiamo di finalizzarle per migliorare il decoro urbano, però da un punto di vista sociale non credo che ci siano profonde diversità.

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Lei, sindaco di un Comune, lavora al Comune di Napoli: migrante giornaliero per lavoro (ridiamo…)
Sì, lavoro al Comune di Napoli, non ho preso l'aspettativa. Questo mio percorso lavorativo è cominciato un anno fa dopo un concorso. Io sono laureato in comunicazione, ma svolgo attività amministrativa della quale mi sono appassionato durante la mia attività politica e amministrativa. Ci tengo a dire che non ho avuto nessuna raccomandazione, eh! L’unica cosa che ho chiesto è stata di essere collocato in un ufficio vicino al molo Beverello. Ogni mattina molto comodamente prendo l’aliscafo e in 40 minuti arrivo al molo, dieci minuti a piedi e sono al lavoro.

Lei ha istituito anche un assessorato alla comunicazione: questa attenzione all’esterno, alle relazioni, alla comunicazione, secondo lei ha avuto un peso nella selezione di Procida 2022?
La comunicazione è fondamentale. Al di là delle cose che fai, è importante costruire la visione condivisa del percorso che si sta facendo. Quindi alla fine soprattutto questi mezzi di comunicazione diretta, i social, hanno dato anche l'opportunità agli amministratori di comunicare direttamente con le proprie comunità e di rudurre “il distacco” tra chi governa e i cittadini. Qualche amministratore che ho incontrato in questi ultimi due anni ha sottolineato che la cosa più importante di questo percorso di Procida capitale sia stata proprio “la sfida comunicativa” che noi ci siamo assunti candidandoci, sottolineando che era una pazzia ma anche una straordinaria iniziativa. Era forte l’ambizione, la voglia di partecipare in un momento in cui “capitale della cultura” era comunque un’opportunità prevalentemente per i capoluoghi di provincia. Noi invece come piccola isola abbiamo partecipato e poi è venuto tutto il resto. Ci siamo candidati con l’ambizione di essere “capitale”.

Ma qual è stato il “momento x”, ci racconta proprio l’attimo in cui per la prima volta avete pronunciato la frase “candidiamoci a Procida capitale della cultura 2022”?
La prima ispiratrice è stata l'onorevole Luisa Bossa, sindaca di Ercolano poi consigliera regionale e poi deputata, a lei va la primogenitura di Procida capitale. La sua città aveva partecipato più volte e, quasi scherzando, mi disse, ricordo nell’autunno del 2019, “Guarda tu devi candidare Procida a capitale della cultura”, ma la cosa sembrava talmente assurda quando io ne parlavo all'interno della maggioranza…

Ma quindi lei ne aveva cominciato già a parlare molto tempo prima del 2020…
Sì, discutevamo con la maggioranza sullo scollamento che c'era stato anche con la nostra base dal punto di vista della partecipazione perché avevamo cominciato all'inizio del 2015 con grande entusiasmo e collaborazione di tutti. Poi però abbiamo notato questo progressivo distacco e ragionavamo su quale potesse essere un modo per suscitare di nuovo l'entusiasmo e riagganciare la partecipazione. Poi l’assessora Rossella Lauro un giorno è venuta con il bando in mano dicendomi “Beh, adesso ci dobbiamo candidare” ed è stata lei a presentare materialmente la candidatura a dicembre 2019. Nel mese di gennaio abbiamo capito che avevamo bisogno di un professionista che ci aiutasse e così arrivò Agostino Riitano, amico di Rossella.

E quando avete avuto la notizia…
E quando abbiamo avuto la notizia siamo esplosi! Eravamo in diretta perché eravamo tutti collegati per l’emergenza coronavirus. Eravamo nell’aula del consiglio comunale almeno una ventina di noi, infatti quando Dario Franceschini diede la notizia in diretta poi ci chiese se fossimo in piazza…Chiaramente abbiamo gioito in maniera genuina come una piccola comunità fa nel momento in cui raggiunge un risultato strepitoso, perché alla fine questo è oggettivamente un risultato strepitoso.

Qual è stato il suo primo pensiero, a parte la gioia, sindaco?
Io ho pianto, difficilmente lo faccio. Però avevo la consapevolezza che era una cosa straordinaria per Procida, per noi orgogliosi di questa terra, ma frustrati perché questa terra è sempre stata poco considerata dal resto del mondo. Alla fine era un motivo di grande riscatto, di grande orgoglio, il coronamento della soddisfazione di ogni amministratore. Per noi “piccoli” così è: noi abbiamo un forte senso di appartenenza l'isola proprio in virtù di questa tradizione marinaresca per cui siamo sempre lontani dall'isola e coltiviamo questa nostalgia della famiglia e del posto da cui veniamo. Ma poi alla fine noi avevamo sempre subìto un po' la maggiore notorietà di Ischia e Capri. Siamo sempre stati nel cono d'ombra delle due maggiori, se andavamo fuori nessuno ci conosceva, dovevamo sempre spiegare che “Procida è vicino ad Ischia, vicino Capri”. Spesso giravano immagini a Procida spacciandole poi per i Campi Flegrei o per la Costiera Amalfitana, i miei concittadini contestavano l'amministrazione perché incapace di difendere l'immagine dell'isola che possa avere quelle Procida, oppure in caso di maltempo si diceva “interrotti i collegamenti marittimi con Ischia e Capri” e Procida non esisteva. Quando tu, piccolo comune e piccola isola, poi diventi “capitale italiana della cultura”, piangi perché ti rendi conto dell'importanza di questa cosa per una piccola comunità come la nostra.

Dopo l’abbraccio euforico, le è venuta un po’ di paura?
Sì, ho avuto paura perché ci aspettava un onere più grande di noi rispetto ad una piccola struttura amministrativa di un Comune in pre dissesto e quindi con limitazione su assunzioni e spese. Però con la grande collaborazione della Regione, della Città metropolitana, con la nostra buona volontà abbiamo creato uno staff capace di raggiungere risultati importanti. Pensi che noi abbiamo già materialmente pagato fornitori per oltre il 50%, a 7 mesi dall’inizio di capitale della cultura. Dei quattro milioni che abbiamo avuto attribuiti, ne abbiamo già spesi oltre la metà.

Ma come ci siete riusciti con una piccola struttura amministrativa? Hanno lavorato tutti, a Procida?
Noi abbiamo dovuto seguire tutto il dossier previsto di eventi che in base a quel percorso di partecipazione proponeva degli appuntamenti curati da realtà locali e poi degli appuntamenti di realtà internazionali. Quindi tutti gli affidamenti di contenuti culturali sono stati rivolti verso queste realtà che aveva aderito a questo dossier fin dall’inizio, quindi in percentuale il 25% erano realtà del posto, il 75% erano realtà nazionali e internazionali. Per quanto riguarda gli affidamenti di servizi: quando si è trattato di piccole cose che potevano essere gestite sul posto, ad esempio il fioraio oppure la ditta di trasporto delle attrezzature, delle sedie, delle transenne, o piccole manutenzioni li abbiamo affidate ai locali; il service e l'amplificazione per tutto l'anno, la tipografia ci siamo rivolti a ditte napoletane, si tratta di organizzazioni che non ci sono nel piccolo comune.

Riesce a darci un primo feedback sul monitoraggio del risultato di questo anno in termini di crescita economica di Procida?
Abbiamo incaricato l'Università di Napoli di fare una ricerca e un monitoraggio di questo percorso di anno da capitale della cultura. Non abbiamo un registro con tutte le imprese, posso dire per sommi capi che in questo 2022 sono nate circa una cinquantina di strutture ricettive nuove. Quello che è oggettivo è il numero degli sbarchi di persone non residenti: nel 2019 ne registravamo intorno ai 250mila al giorno, quest’anno ne abbiamo registrati fino 650mila al giorno, quindi un aumento di 400mila sbarchi al giorno che chiaramente crea un’economia forte benché giornaliera. Però l’isola è stata sold out per tutto questo anno.

Dino Ambrosino chi è, da dove viene?
Sono un procidano che come tutti gli isolani è particolarmente curioso e attento alle dinamiche della sua isola. Sono un pendolare, ho fatto il liceo scientifico a Lacco Ameno (Ischia, ndr), poi l'Università a Salerno. Poi il pendolare perché lavoravo a Ischia e poi adesso faccio il pendolare perché lavoro a Napoli. La stragrande maggioranza di noi isolani non trova sostentamento dell'isola e solo sull'isola: c'è una marea di pendolari per lavoro e poi la stragrande maggioranza di noi sono marittimi quindi non siamo abituati a lavorare sull'isola perché qui il lavoro non c'è. Mia sorella è andata via da Procida così come tanti della mia generazione che sono andati a cercare opportunità lavorative fuori.

E lei perché è rimasto?
Non me ne sono andato un po’ perché “sono cozza”, resto attaccato allo scoglio (ridiamo…), un altro po' perché mi sono laureato e comunque abbastanza presto sono arrivati i miei figli, poi avevo questo percorso politico che mi appassionava e a 36 anni sono diventato sindaco. E inoltre anche per le cose di casa chiaramente, ho perso papà che avevo 17 anni. L'isola è luogo ideale per crescere i figli, qui i nostri figli possono restare in strada fino a tarda sera, possono godere il proprio territorio in modo abbastanza libero fanno i loro errori e sotto la videosorveglianza discreta di 22mila occhi che il giorno dopo riportano tutto quello che accade.

Cosa non è riuscito, in Procida capitale?
Forse non tutti gli appuntamenti sono stati frequentati quanto avrei voluto. Ma alla fine è difficile “rimproverarlo” alla comunità perché anche io non sono riuscito ad andare tutti gli appuntamenti. E comunque oggettivamente stiamo parlando di iniziative che non è che necessariamente devono coinvolgere e stimolare e vedere la partecipazione di tutti. Noi scontiamo il fatto che l'isola non è facilmente raggiungibile un appuntamento serale. Però voglio dire in percentuale è accaduto quello che probabilmente è accaduto anche altrove. La cultura non sempre riesce a coinvolgere proprio tutti.

Cosa resta di Procida capitale? Il primo gennaio 2023 da dove ricominciamo e verso cosa andiamo a Procida?
Ricominciamo da un’enorme nodosità dell'isola chiaramente continuerà. Rimane il fatto che ci sono stati degli stimoli che per tanti hanno significato ancora di più aprirsi a conoscere nuove cose e che siccome sono stati organizzate a casa nostra sono state conosciute dagli isolani. Rimane il fatto che abbiamo fatto passare il messaggio che quest'isola è un'isola che ha un potenziale grande, quindi un messaggio innanzitutto rivolto alla nostra comunità che deve avere maggiore consapevolezza della sua storia, della sua identità e del suo potenziale. Questo è molto importante perché più si conosce il proprio paese più lo si rispettata, più ciascuno dà il suo contributo per valorizzarlo. Qui a Procida il comportamento di ciascuno è dirimente: comportarsi in un modo piuttosto che in un altro produce dei risultati in termini di “bene comune”.

Tre cose dalle quali partire per la prossima capitale della cultura italiana.
L’organizzazione, la prima cosa. Noi l'abbiamo con la responsabilità del Comune e dei nostri dipendenti, ma con l'aiuto di assistenti amministrativi che ci ha fornito la Regione Campania. Mettere in strada i processi significa poi governare tutto il percorso in una maniera ordinata. Secondo, valorizzare quello che hai: noi abbiamo lavorato molto sul palazzo d'Avalos, un complesso è ex carcere del ‘500 che da troppi anni era abbandonato e che grazie a Procida capitale ha avuto un'occasione unica. Terzo, la partecipazione, la capacità di coinvolgere tutti.

Cosa chiederà al prossimo sindaco di Procida?
Grande rigore. Il nostro percorso è frutto di grandi sacrifici: a Procida abbiamo risanato una marea di debiti, circa 24milioni di euro.

Cosa c'è nel futuro di Dino Ambrosino?
Non c'è una velleità politica (ride). C'è il lavoro come c’è stato nel passato.

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Piccoli comuni, grandi Sindaci vi augura buon 2023 e vi aspetta il 7 gennaio. Saremo a Baselice, piccolo comune nell'alto Sannio.

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