Welfare

Procardis: l’infarto è colpa anche di molti geni

Questo il risultato di due studi pubblicati su Nature Genetics

di Redazione

Sono online su Nature Genetics i risultati di due grandi studi internazionali, entrambi focalizzati con successo sulle cause genetiche della malattia coronarica. I due studi hanno identificato complessivamente 17 nuove varianti genetiche associate ad un aumento del rischio di infarto, che non si sapevano coinvolte nello sviluppo della malattia coronarica. E’ stato, inoltre, confermato che allo sviluppo della malattia concorrono molti geni con un piccolo effetto, piuttosto che pochi geni con un grosso effetto. La genetica ha un ruolo circoscritto nello sviluppo della malattia coronarica, si stima che non più del 20% del rischio sia ad essa direttamente imputabile, ma è sicuramente l’interazione tra i geni e l’ambiente a giocare un forte ruolo.
Al primo di questi studi ha contribuito il consorzio PROCARDIS, finanziato dalla Comunità Europea, del quale fa parte il Dipartimento di Ricerca Cardiovascolare dell’Istituto Mario Negri, diretto da Maria Grazia Franzosi, insieme al Dipartimento di Medicina Cardiovascolare del Wellcome Trust Centre for Human Genetics e la Clinical Trials Service Unit dell’Università di Oxford, l’Unità di Ricerca per l’Aterosclerosi del Dipartimento di Medicina del Karolinska Institute di Stoccolma, il Leibniz – Institut für Arterioskleroseforschung dell’Università di Münster.
I due studi pubblicati da Nature Genetics hanno utilizzato un’enorme massa di dati analizzando il DNA di più di 210.000 persone di origine europea e asiatica, delle quali più di 85.000 affetti da malattia coronarica: paragonando il DNA delle persone con la malattia con quello delle persone senza la malattia coronarica, i ricercatori sono stati in grado di raddoppiare il numero di varianti genetiche che erano conosciute fino ad oggi come associate alla malattia coronarica.
«Una variante genetica», spiega  Maria Grazia Franzosi, Capo Dipartimento di Ricerca Cardiovascolare dell’Istituto Mario Negri, «è un pezzo di DNA che può variare da persona a persona. Alcune varianti genetiche modificano caratteristiche evidenti, come ad esempio il colore degli occhi, mentre altre hanno effetti meno visibili, come nel caso delle varianti che contribuiscono allo sviluppo della malattia coronarica. Ogni nuovo gene identificato rappresenta un piccolo avanzamento verso la conoscenza dei meccanismi biologici che producono la malattia coronarica, ma, dato che il numero di geni coinvolti cresce via via, si allontana la possibilità che un semplice test genetico possa identificare le persone più a rischio di avere un infarto. Anche per questo come ricercatori dei due studi stiamo ora programmando di lavorare insieme, nella speranza che possano emergere ulteriori novità combinando insieme i dati».

«Il controllo degli altri fattori di rischio già noti per l’infarto», conclude Maria Grazia Franzosi, «è sicuramente il modo più corretto per prevenirne i danni (il diabete, il colesterolo elevato, la pressione alta, il fumo, l’obesità, la mancanza di esercizio fisico, l’avere già avuto un attacco, l’avanzare dell’età, una storia familiare di malattia coronarica precoce). D’altra parte molti di questi fattori di rischio hanno a loro volta una componente genetica su cui la ricerca ha ancora molto da dire». Le malattie cardiache sono la prima causa di morte e, solo in Italia, le persone colpite da un infarto ogni anno sono circa 150.000.

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