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Privacy. Rodotà: “Legge Tlc contrasta norme Authority”

Il Garante denuncia l'anomalia italiana: "I gestori sono obbligati a conservare i dati di chiamate e sms per cinque anni. Risultato, 500 miliardi di dati conservati"

di Ettore Colombo

“Considerando solo le chiamate in uscita, ci si sta rapidamente avvicinando alla soglia dei 500 miliardi di informazioni raccolte”. A lanciare l’allarme sulle banche dati dei gestori di telefonia mobile e fissa è il garante della Privacy Stefano Rodotà che nella sua relazione annula snocciola le cifre e denuncia un’anomalia tutta italiana. Le cifre: 350 miliardi di dati, di cui ben 70 miliardi sono rappresentati dai soli Sms. L’anomalia: la legislazione italiana – unica al mondo – impone agli operatori la registrazione e la conservazione dei dati sul traffico per ben 5 anni. “Questa situazione – commenta Rodotà – è del tutto anomala. In nessun Paese il termine legale di conservazione supera l’anno, e quindi non esistono banche dati sul traffico telefonico”. In Italia è dunque possibile ricostruire “analiticamente l’intera rete delle relazioni, delle preferenze e degli spostamenti di ogni cittadino”, denuncia il Garante. E alcuni gestori “in base ad improprie interpretazioni della legge di magistrati”, sono indotti a conservare i dati addirittura per 10 anni. Rodotà non ignora l’utilità dei dati tlc ai fini delle indagini della magistratura ma, avverte, “bisogna effettuare sempre una valutazione di proporzionalità sociale”. E in merito agli sms ne vengono segnalati rischi di “invasività”. I soggetti pubblici dovrebbero ricorrere a questo strumento “soltanto in situazioni eccezionali o di emergenza”, mentre viene auspicato un intervento normativo contro i “messaggini” anonimi. Ma nel mirino di Rodotà non c’è solo quest’anomalia legislativa “tutta italiana”. Anche su Internet – osserva il Garante nella sua relazione – vi sono “notevoli e diffuse inadempienze rispetto alle norme sulla protezione sui dati personali”. L’Authority ha monitorato ben 653.449 (di cui 441.447 sono risultati attivi, cioè raggiungibili in Rete) e ha notato che il 13,7% dei siti attivi fa uso di cookies, ossia di file che registrano alcune informazioni relative agli utenti (informazioni, in verità, assolutamente innocue) e il 6,8% dei siti attivi utilizza i cosiddetti web bugs, che forniscono informazioni più dettagliate sui navigatori. Inoltre, osserva Rodotà, le informative dei siti “sono spesso incomplete, la richiesta è generalmente omnibus, l’indicazione dei responsabili è carente e vi è spesso discordanza tra le conseguenze dichiarate dal gestore e quanto accade effettivamente nel caso di mancata prestazione del consenso da parte dell’utente, i diritti di quest’ultimo poi spesso non sono elencati”. Ma invece “al tempo stesso viene svolta una intensa attività di profilazione di massa dell’utenza web in forme che sono state più volte criticate in sede europea”. I risultati completi dell’indagine verranno resi noti nel dettaglio nelle prossime settimane.


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