Arriviamo a Pristina, sulle colline si vede lo schieramento dell?esercito. Per le strade ci sono i segni delle devastazioni compiute dai soldati serbi: vetrine rotte, negozi saccheggiati e bruciati. Le bombe arrivate dall?alto hanno colpito case, uffici comunali, caserme. Ci presentiamo dal presidente del Consiglio comunale di Pristina di prima mattina con la sola argomentazione delle vostre adesioni: ?Io vado a Pristina e a Belgrado? che avete scritto in migliaia. Le mostriamo, mostriamo i volantini. Bogdan Nerandzic, questo il suo nome, ci riceve alle 8 del mattino e ci dice: «Siamo contenti che siete venuti qui a trovarci, siete i primi che lo fanno rischiando di persona». Noi rispondiamo: Pensiamo che la nostra vita non valga più della vostra». Sorride, ringrazia. Fuori il clima è tesissimo, c?è paura, si spara. Alle 15 quel poco di vita che è rimasta in questa città, si ritira, si nasconde.
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