Cultura

Primo amore, il corpo svuotato dalla testa

Recensione del film "Primo amore" di Matteo Garrone.

di Giuseppe Frangi

Com?è il mondo, com?è la vita vista da un cervello assediato da una fame di magrezza? Per il suo attesissimo film, Primo amore, Matteo Garrone (regista del film cult, L?imbalsamatore) ha scelto, con coerenza implacabile, di fare degli occhi del suo protagonista la sua cinepresa. Così l?ossessione di Vittorio, orafo vicentino, a caccia di una donna che, per amor suo, accetti di svuotare progressivamente il proprio corpo, in una sorta di anoressia imposta, diventa l?ossessione di tutto il film. Che avanza spogliandosi di tutto, riducendosi all?osso, diventando un tutt?uno, dal punto di vista formale, con il punto di vista del protagonista. Il quale si prosciuga via via, eliminando ogni contatto sociale, lavoro compreso, e inchiodandosi, amante e controllore, al solo rapporto con Sonia (un?eccezionale Michela Cescon). Garrone non si concede vie di fuga, anche se qua e là vi accenna: la corsa d?amore tra i pioppi, le cavalcate in moto nella campagna riarsa. In realtà, anche quegli attimi coincidono con momenti di ?arimo? da parte di Vittorio. Pause di istanti, nell?implacabile scivolamento dentro la sua patologia. Così la coerenza paranoica di Vittorio si specchia nella coerenza formale del film. Non c?è spazio per l?errore in questo cammino dentro l?orrore. E questo, paradossalmente, è il vero limite di Primo amore.


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