Giovani e violenza
Primavalle, Palermo, Caivano: così trattiamo gli adolescenti autori di violenza sessuale
La domanda che oggi ci poniamo è (anche) questa: cosa fare con questi minori (maschi) che agiscono violenza sessuale? Ne abbiamo parlato con il criminologo Paolo Giulini che da dieci anni lavora a Milano con adolescenti e giovani autori di reati sessuali. «Il trattamento non cura questi ragazzi: non c’è nulla di patologico in loro. L’obiettivo, semmai, è aiutarli ad assumersi la piena responsabilità del reato e a rielaborarlo affinché non lo ripetano». Oggi il gruppo è composto da quindici giovani con un’età che va dai 15 ai 28 anni
A luglio il femminicidio della giovane Michelle a Primavalle (Roma) agito da un coetaneo che si trova nell’Istituto Penale per Minorenni di Roma “Casal Del Marmo”; ad luglio i sette ragazzi (ci cui uno minorenne) che stuprano una giovane a Palermo; ad agosto un altro gruppo che agisce violenza su due cuginette a Caivano. A Firenze, 24 minorenni sono finiti sotto inchiesta a Fper violenza sessuale aggravata nei confronti di due dodicenni e per produzione, detenzione e divulgazione di materiale di pornografia minorile nella notte del Capodanno. A Milano la conclusione, ieri, di un’indagine che ha portato all’arresto di due minori responsabili di aver violentato una ragazza all’epoca 14enne.
L’elenco, che fa venire i brividi, potrebbe essere ancora più lungo.
Dopo aver raccontato, con Alessandra Kustermann, come aiutare le ragazze vittime di violenza sessuale (qui l’intervista) la domanda che oggi ci poniamo è (anche) questa: cosa fare con questi minori (maschi) che agiscono violenza sessuale?
«La forma di intervento più adeguata non è chiuderli in carcere e buttare la chiave», chiarisce subito Paolo Giulini, criminologo clinico, cofondatore del Centro Italiano per la Promozione della Mediazione – Cipm che vanta una trentennale esperienza con gli autori di reati sessuali presso la Casa di reclusione di Milano-Bollate.
La forma di intervento più adeguata non è chiuderli in carcere e buttare la chiave
Paolo Giulini, criminologo clinico, cofondatore del Cipm
«Da dieci anni, a Milano, il Cipm ha sviluppato interventi trattamentali criminologici specifici per adolescenti e giovani adulti autori di reati sessuali per aiutarli a superare i meccanismi di negazione e minimizzazione, prendere consapevolezza del reato commesso e scongiurare così il rischio di ripetere il gesto».
Come funziona il trattamento
Oggi Giulini ha un carico un gruppo composto da quindici persone, con un’età che va dai 15 ai 28 anni. In passato c’è stato anche un ragazzo di 14 anni». La maggior parte di loro è accusato di violenza sessuale su coetanei o famigliari (per lo più sorelle); alcuni di adescamento o di detenzione di materiale pedopornografico attraverso i mezzi informatici.
«Non tutti quelli che frequentano il nostro gruppo provengono dal carcere però», specifica Giulini. «La legge italiana (art.28 del D.P.R. 448/1988), prevede che il Giudice possa sospendere il procedimento penale attivando una “messa alla prova”, un progetto ad hoc al fine di valutare l’eventuale cambiamento del minorenne autore di reato». Al termine del percorso (che può durare al massimo tre anni) il Giudice decide se dichiarare l’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, oppure se procedere con il processo. «La messa alla prova è prevista anche per reati tremendi come l’omicidio: ciò che conta, infatti, non è la gravità del reato quanto capacità del minore di recuperare». La scelta della terminologia utilizzata dice molto. «Li chiamiamo “giovani autori di violenza” invece di “giovani violenti o maltrattanti” nella convinzione che vi sia la possibilità di lavorare sui comportamenti, provocandone un cambiamento. Pur riconoscendo che non tutti cambieranno».
Attenzione: il trattamento non cura: «Non c’è nulla da curare»
A tal proposito Giulini ci tiene a sottolineare che «il trattamento non cura il minore autore di reato. Non c’è nulla da curare perché nella maggior parte dei casi in questi ragazzi non c’è una patologia psichiatrica, una malattia mentale, una incapacità di intendere. Alla base si riscontra piuttosto una “fragilità” che deriva da un complesso intreccio di aspetti sociali, culturali, relazionali, emotivi e identitari». Il trattamento, specifica, « viene quindi attuato per la tutela delle vittime, perché chi ha commesso questo tipo di reato non recidivi, e se a rischio di farlo possa chiedere aiuto».
Non c’è nulla da curare perché nella maggior parte dei casi in questi ragazzi non c’è una patologia psichiatrica, una malattia mentale, una incapacità di intendere. Alla base si riscontra piuttosto una “fragilità”
Paolo Giulini, criminologo clinico, cofondatore del Cipm
In quest’ottica, allora, i progetti sviluppati dal Cipm «hanno l’obiettivo di aiutare questi giovani ad acquisire capacità di gestione della rabbia e dell’aggressività e a risolvere eventuali problematiche relazionali in famiglia: spesso infatti provengono da un nucleo familiare disfunzionale e/o maltrattante o comunque non adatto a rispondere ai loro bisogni di crescita». E infatti è previsto anche un gruppo settimanale per parenti di autori di reati sessuali adolescenti e giovani adulti.
«Ma il fine è soprattutto quello di aiutali a prendersi la piena responsabilità del proprio gesto e a rielaborare il reato: questa assunzione di responsabilità è proprio un prerequisito per poter cambiare e per evitare che tali gesti si ripetano in futuro».
È un lavoro che avanza gradualmente. «Inizialmente, infatti, molti di loro manifestano massicci meccanismi di difesa, di negazione o di minimizzazione dell’atto commesso, e mancano di empatia nei confronti della vittima, ignorando le ripercussioni che il loro gesto ha e avrà sulla traiettoria di vita della ragazza».
Inizialmente, infatti, molti di loro manifestano massicci meccanismi di difesa, di negazione o di minimizzazione dell’atto commesso, e mancano di empatia nei confronti della vittima
Paolo Giulini, criminologo clinico, cofondatore del Cipm
Di fronte a queste proposte la maggior parte di loro partecipa alle attività, frequenta gli incontri con i criminologi e gli psicoterapeuti e si affida alle figure di riferimento degli educatori. «Ce ne sono alcuni, al contrario, che assumono una modalità passiva: non credono di dover cambiare, ma solo di dover prendere parte al percorso per non subire delle conseguenze dei propri comportamenti». Ad esempio per evitare il carcere.
Il confronto avviene spesso tra pari. «Il gruppo agisce da cassa di risonanza positiva nei partecipanti, aiutando a superare i vissuti di stigmatizzazione che, nel caso degli adolescenti abusanti, derivano non solo dall’aver commesso un reato, ma dalla natura del reato stesso».
Questi trattamenti funzionano?
«La valutazione del rischio di recidiva è un obiettivo necessario e al contempo complesso da realizzare. Per avere un dato sulla recidiva dovremmo continuare a seguire i ragazzi una volta terminato il percorso, ma questo non ci è possibile. Dal nostro lavoro trattamentale ventennale con gli autori adulti emergono risultati molto incoraggianti. Come aveva spiegato Francesca Garbarino, criminologa clinica e vice presidente Cipm, dopo il nostro intervento il tasso di recidiva oscilla tra il 3 e il 4 per cento. Nel caso del lavoro con i più giovani è dirimente considerare in quale contesto famigliare e sociale avviene il percorso».
Nei Paesi in cui negli ultimi quarant’anni si è maggiormente investito sulla prevenzione dei reati sessuali è emersa con evidenza la necessità che il trattamento inizi ai primi segni di violenza. «Più del 50 per cento dei 2500 progetti di trattamento in Usa e dei 45 progetti canadesi sono rivolti agli aggressori sessuali adolescenti», sottolinea il criminologo.
L’Italia su questo fronte sconta una certa penuria di proposte. «Spesso le prescrizioni nelle messe alla prova per i reati sessuali prevedono programmi generici e non valorizzando la necessità di trattamenti specifici per questa tipologia di autori. Il problema, invece, è molto complesso e, come tale, meriterebbe una risposta altrettanto articolata».
«Gli strumenti per fornire adeguate risposte nel penale e nell’amministrativo oggi ci sono, più difficile è consolidare presidi capaci di intervenire in modo concertato e multidimensionale, come richiedono da tempo sia la Convenzione di Lanzarote che quella di Istanbul».
Una scorciatoia per la riabilitazione dei violenti?
Quando nel 2022, a Vicenza, Zlatan Vasiljevic, un uomo che in passato era stato seguito per sette mesi da un centro dedicato agli uomini autori di violenza, assassinò l’ex compagna e la donna con la quale conviveva, Antonella Veltri, la Presidente di D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, aveva tuonato: «i percorsi dedicati ai maltrattanti sono presentati come la panacea di tutti i mali e stanno diventando una sorta di scorciatoia per la riabilitazione dei violenti. Non basta un breve percorso per un cambiamento profondo e per arginare la violenza».
Su questo, però, la “relazione sui percorsi trattamentali per uomini autori di violenza di genere” approvata il 25 maggio 2022 dalla commissione di Inchiesta sul Femminicidio, era stata chiara: «in assenza di un intervento di supporto, otto uomini maltrattanti su dieci (85 per cento) tornano a commettere violenze contro le donne». I programmi integrati rivolti ai soggetti autori di violenza si rifanno anche alle indicazioni della Convenzione di Istanbul, documento cardine sulla prevenzione e lotta contro la violenza sulle donne.
In assenza di un intervento di supporto otto uomini maltrattanti su dieci (85 per cento) tornano a commettere violenze contro le donne
Dalla Relazione sui percorsi trattamentali per uomini autori di violenza di genere” approvata il 25 maggio 2022
Per i giovani autori anche il gruppo di sostegno
A Milano il Cipm ha avviato anche il progetto “Circolo di Sostegno e Responsabilità”: tre volontari, formati, supervisionati e in contatto con gli operatori del trattamento si impegnano nella presa in carico e accompagnamento sul territorio del giovane autore di reato a rischio di recidiva, sia nella fase delle misure cautelari che durante una Messa alla prova e dopo il fine pena, spiega Giulini, «aiutandolo nei propri bisogni di reinserimento e fornendogli un supporto e uno spazio in cui parlare delle proprie difficoltà». Nel contratto è previsto anche l’impegno a frequentare i gruppi trattamentali settimanali. «Questo intervento si basa sui principi della giustizia riparativa, attraverso cui i partecipanti vengono coinvolti e responsabilizzati nel percorso di reinserimento sociale. Le valutazioni su questi Circoli, avviati da più di una trentina di anni in Canada hanno dimostrato una drastica diminuzione del tasso di recidiva».
Cosa si fa con gli autori adulti
Per agli adulti autori di violenza sessuale esistono protocolli molto simili. Oggi sono rari i casi in cui gli uomini accedono al percorso in virtù di una domanda spontanea. Spesso, al contrario, prendono contatto con un centro specializzato perché inviati da parte delle Forze dell’ordine, oppure dai giudici oppure dai servizi sociali.
Per chiarire: il primo caso (invio da parte delle Forze dell’ordine) si manifesta in accordo con quanto previsto dal Protocollo Zeus: il progetto prevede che i destinatari dell’ammonimento del questore per atti persecutori, per violenza domestica e per cyberbullismo siano spinti a frequentare un programma di prevenzione organizzato dai servizi del territorio.
Nel secondo caso l’accesso al trattamento avviene attraverso la normativa del «Codice Rosso», (entrata in vigore il 9 agosto 2019), in base alla quale il giudice può decidere di inviare l’autore ad un percorso trattamentale specifico. In questo caso il percorso (per il quale la legge prevede un contributo economico da parte dell’autore di violenza) può essere vissuto sostanzialmente come un obbligo da adempiere, e quindi affrontato senza il necessario coinvolgimento. L’obiettivo che l’uomo si propone potrebbe essere in primo luogo strumentale, ossia scongiurare la detenzione o alleviare la pena.
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