Volontariato

Primato della coscienza, attenzione ai mezzi, azione come comunicazione

di Pasquale Pugliese

(Il 19 ottobre del 1968 moriva – anzi passava alla “compresenza” come avrebbe scritto – Aldo Capitini. Eccone un sintetico profilo già pubblicato su “Madrugada, rivista trimestrale dall’associazione Macondo”)


Ma il profeta non è l’utopista.

La differenza sta in ciò:

mentre l’utopista disegna una stupenda struttura di società ideale

ma ne rinvia l’attuazione a tempi migliori,

il profeta comincia subito, qui ed ora.

Norberto Bobbio

Norberto Bobbio, introducendo con queste parole il libro di Aldo Capitini “Il potere di tutti”, ne coglie il tratto della personalità: la coniugazione di pensiero e azione. Capitini apre la via italiana alla nonviolenza incardinandola su tre elementi che hanno una ricaduta qui ed ora nella sua vita e costituiscono, anche oggi, essenziali punti orientamento: primato della coscienza, attenzione ai mezzi, azione come educazione.

primato della coscienza

Alla Scuola Normale di Pisa, dove aveva ottenuto l’incarico di segretario, Capitini fa la prima obiezione di coscienza: rifiuta la tessera del partito fascista imposta dal direttore Giovanni Gentile. Nel ’33 è perciò licenziato e costretto a tornare dai genitori nella torre campanaria di Perugia. Il suo studiolo diverrà il punto d’incontro di una nuova generazione di antifascisti, molti dei quali prenderanno poi parte alla resistenza. Capitini mantiene una posizione  restistente non armata che lo porterà, per due volte, nelle carceri fasciste.   La personale persuasione gli consente di riconoscere anche in altri le azioni fondate sul primato della coscienza.

Finita la guerra, nel 1948 diventa punto di riferimento del giovane Pietro Pinna che, avendo deciso di dichiararsi obiettore di coscienza all’obbligo militare, gli scrive per avere conforto in quella scelta che lo avvierà nel calvario delle carceri militari. Capitini finché la scelta non è compiuta non risponde a Pinna, poi gli sarà a fianco nei processi e ne renderà pubblica l’azione solitaria. Il caso servirà ad avviare il dibattito che porterà nel 1972 alla legge per l’obiezione di coscienza.

Nel 1952, quando Danilo Dolci, da poco arrivato a Partinico, si stende nel letto dove un bambino è morto di fame e comincia un digiuno ad oltranza contro la povertà, l’unico biglietto di sostegno gli arriverà da Perugia, a firma Aldo Capitini.  Da allora Capitini rilancia sul piano nazionale l’antimafia sociale di Dolci, mentre i governi e la Chiesa sostenevano che in Sicilia la mafia non esiste.  Il filo rosso che lega le azioni di Capitini è evidente: assumere una posizione di coscienza e tenerla, anche da solo, affrontando responsabilmente le conseguenze. Mettendo il proprio peso sulla bilancia intima della storia[1].

attenzione ai mezzi

Nel paese di Macchiavelli, nel quale “il fine giustifica i mezzi”, Capitini, già durante il fascismo coglie la novità dell’insegnamento di Gandhi: il fine sta all’albero come il mezzo sta al seme, tra i due c’è lo stesso inviolabile legame,ossia siamo direttamente responsabili dei mezzi che usiamo.

A partire da questa persuasione, dopo essere stato nel ’37  tra i fondatori del movimento clandestino liberalsocialista – due rivoluzioni invece di una, massimo socialismo e massimo liberalismo – non ne condivide la confluenza nel Partito d’Azione, rimanendo isolato: svolge una critica serrata alla forma-partito e apre una modalità di azione politica nella quale il fine si realizzi già nel mezzo. Scrive nel ’49: Il partito è il mezzo e il potere è il fine. Ma può il mezzo essere diverso dal fine? Noi dobbiamo vedere la cosa da un punto più severo: bisogna fare un lavoro fuori del potere, un decentramento del potere, abituare a vedere il potere diffuso in tante cose fuori dal governo, in tante iniziative, atti, posizioni sentimenti, fondare una prospettiva diversa[2]

A partire da questa persuasione Capitini si concentra instancabilmente sulla costruzione di mezzi fondati su una “prospettiva diversa”: realizza i Centri di Orientamento Sociale; apre i Centri di Orientamento Religioso, vocati alla riforma religiosa; s’impegna nella creazione dell’Associazione per la Difesa e lo Sviluppo della Scuola Pubblica, quando non esisteva ancora la scuola media unificata; fonda la Società Vegetariana Italiana…

 azione come educazione

Il primato della coscienza e l’attenzione ai mezzi portano Capitini a sperimentare e teorizzare l’azione nonviolenta come azione educativa.

Svolta l’azione di coscientizzazione tra i giovani nel decennio ’33-’43, dopo la liberazione dell’Italia centrale, nel ’44, Capitini si rende conto che è necessario ancora un diffuso lavoro di formazione alla democrazia. Avvia così i Centri di Orientamento Sociale come mezzi di partecipazione dal basso e di educazione degli adulti. Nei COS tutti possono prendere la parola con pari dignità, operai e intellettuali, contadini e amministratori:al Cos si imparava ad esprimere il proprio pensiero in maniera evidente e semplice, ma s’imparava anche a lasciar parlare gli altri; e in questo modo si svolgeva un collaborante pensiero collettivo…e dopo ventidue anni di fascismo. Il Cos era uno spazio nonviolento e ragionante[3].

Nel dopoguerra, Capitini si rende conto che l’impegno più urgente è la promozione della pace e del disarmo, ancora a partire da un taglio educativo, che sviluppa attraverso alcune tappe: la realizzazione dellaMarcia per la pace e la fratellanza tra i popoli, da Perugia ad Assisi, del 24 settembre del 1961, con la quale convoca, per la prima volta, “il popolo della pace”: come avrei potuto diffondere la notizia che la pace è in pericolo, come avrei potuto destare la consapevolezza della gente più periferica, se non impostando una manifestazione elementare come è una marcia?[4]; esito della Marcia è la nascita nel 1962 del Movimento Nonviolento, la cui “Carta programmatica” prevede come essenziali strumenti di lotta: l’esempio, l’educazione, la persuasione…[5]; nel 1964, fonda la rivista “Azione nonviolenta”, per porre “un centro in questo lavoro” che, come scrive sul primo numero, sarà informativo, teorico, pratico-formativo…perché la nonviolenza è infinita e creativa nel suo sviluppo[6].

[1]     “Elementi di un’esperienza religiosa”, ristampa anastatica 1990, Cappelli, Bologna

[2]              Oggi si trova in “Liberalsocialismo”, 1996 Edizioni e/o, Roma

[3]                  Oggi si trova in “opposizione e liberazione” (a cura di Piergiorgio Giacché), 2003, l’ancora del mediterraneo, Napoli

[4]     “In cammino per la pace”, 1962, Einaudi, Torino

[5]     Movimento Nonviolento www.nonviolenti.org

[6]     Editoriale del primo numero di “Azione nonviolenta”, gennaio 1964, Perugia

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