Politica

Primarie Usa: Romney domina tra i Repubblicani in Michigan

La crisi economica detta la scelta del governatore miliardario del Massachusetts

di Alessandra Marseglia

Dopo due medaglie d?argento, finalmente quella d?oro per Mitt Romney; nelle primarie Repubblicane del Michigan di ieri il governatore del Massachusetts si è aggiudicato la maggioranza delle preferenze, con il 39% dei voti seguito dal 30% del senatore John McCain. Una vittoria annunciata in buona parte: nato proprio nella capitale dello Stato, Detroit, 60 anni fa, Romney è figlio di un Governatore storico del Michigan.

Inoltre, lo Stato dell?Est side è uno dei principali distretti industriali americani, sede del colosso mondiale dell?automobile General Motors, dove la crisi economica americana, con la svalutazione del dollaro e la crescita del costo del petrolio è maggiormente sentita; prevedibile che la scelta degli elettori cadesse su Romney, divenuto miliardario senza ammuffire sui banchi (?un solo semestre a Stanford è stato sufficiente? ha dichiato) e dopo aver creato Bain Capital, un fondo di investimento con interessi in tutto il mondo.

Amico fidato di George W. Bush, alla cui politica, insieme a quella di Ronald Reagan, dice di ispirarsi, Romney deve l?inizio della sua carriera politica proprio all’attuale presidente degli Stati Uniti. Nel 2002, infatti, proprio grazie a lui fu nominato presidente e ceo delle Olimpiadi Invernali di Salt Lake City, una carica di prestigio che nello stesso anno lo portò direttamente alla guida del Massachussettes.

Nonostante la carriera di successo e la classica famiglia perfetta, (coronata da 5 figli maschi, i ?Romney?s boys? già star della tv e del web) la candidatura di Romney alla guida dei Repubblicani per la corsa alla Casa Bianca è stata ampiamente contestata in virtù di un fattore decisivo secondo molti osservatori: il suo credo Momone. Una religione non riconosciuta se non osteggiata da molti americani cattolici e protestanti; proprio nel tentativo di superare le loro ostilità Romney ha tenuto un pubblico speech sul rapporto tra fede e politica, scritto sulle orme del più celebre discorso di insediamento alla casa bianca del primo presidente cattolico della storia degli Usa, John F. Kennedy.

In realtà, le dichiarazioni di Romney di una politica ?ispirata da Dio ma non confessionale? più che fugare lo scetticismo l?hanno sollevato: in un?America multiconfessionale per natura e che dopo 7 anni dall?11 settembre vive ancora con lo spettro di Al Queida, la questione religiosa è tema da trattare con cautela.

Religione a parte, il programma di Romney è ispirato al più totale liberismo soprattutto nelll?health care con ampio spazio alle compagnie assicurative. ?Il modo per migliorare un servizio non è metterci più governo – ha detto Romeny – piuttosto coinvolgere quelle aziende più dinamiche che fanno da acceleratore per tutto il mercato?.

Sui temi dell?ambiente e del global warming è a favore di un generico intervento, senza però specificare tempi e modi, forse proprio per non urtare troppo quell?industria pesante che l?ha fatto vincere in Michigan.

Il programma sull?immigrazione è abbastanza duro con i clandestini da piacere a una buona parte conservatrice dell?America: esclusa ogni possibilità di una loro progressiva legalizzazione, Romney propone pene ancora più dure per le aziende che assumono immigrati senza permesso di soggiorno.

Sull?Iraq, il governatore garantisce appoggio assoluto alla politica del suo mentore Bush e dopo aver sostenuto l?inizio della guerra e l?invio successivo di altre truppe adesso è contrario ad un calendario del ritiro.

Infine, sulla politica estera si è espresso più volte per un isolamento diplomatico dell’Iran, chiedendo che il presidente Ahmadinejad sia giudicato in tribunale per crimini di guerra.

?Adesso prendiamo anche il South Carolina e il Nevada e siamo pronti per la Casa Bianca? ha detto Romney ieri sera nell?euforia del discorso successivo alla vittoria, forse correndo un po? troppo. Con la sua vittoria, infatti, il panorama dei Repubblicani appare ancora più frastagliato, con Mike Huckabee, John McCain e Mitt Romney appunto a una vittoria ciascuno e Rudolph Giuliani che ,pur annaspando, annuncia sorprese nei grandi Stati, in Florida in primis.

Ma come per i Democratici anche per i Repubblicani più la campagna si inoltra più la sfida si trasferisce dalle piazze alle banche, ovvero alle risorse finanziarie di ciascun candidato. E allora, se davvero la sua stella dovesse continuare a brillare, Romney ha ottime chance di farcela: ha già messo da parte 63 milioni di dollari, terzo dopo Hillary Clinton e Barack Obama, e se non dovessero bastare, c?è sempre la riserva aurea personale cui attingere.


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