Economia
Prima gli azionisti? Non più…
Duecento tra le più grandi aziende americane pubblicano un documento in cui sconfessano il mantra che per anni ha guidato le politiche societarie. Per creare valore bisogna guardare anche all'impatto ecologico, al rispetto dei clienti e «alle condizioni dignitose offerte ai dipendenti»
«Primo obiettivo di una azienda è creare valore per gli azionisti». Un mantra, una sorta di credo al limite del dogma nel mondo delle imprese quotate in Borsa che ha dominato l'economia liberale negli ultimi decenni. Una regola aurea che ora viene messa in dubbio dallo stesso “cuore” del capitalismo finanziario mondiale.
Duecento tra le principali aziende di Wall Street e colossi finanziari – da Jp Morgan ad Amazon, da BlackRock a General Motors – hanno reso pubblico un documento in cui sostengono che per creare valore di lungo periodo, le aziende non devono solo portare dividendi ai propri azionisti, costi quel che costi. L'attenzione al profitto deve rimanere, ma dovrà essere solo una delle linee guida: d'ora in avanti i manager devono considerare anche l'impatto sull'ambiente e sulle comunità locali, i rapporti corretti con i fornitori, il rispetto dei consumatori e le condizioni offerte ai propri dipendenti.
Le duecento imprese firmatarie fanno parte di "The Business Roundtable", che come si intusce dal nome è un tavolo di lavoro attorno al quale si siedono le grandi multinazionali per capire cosa può fare bene al loro business. Per decenni, seguendo le teorie degli economisti iperliberisti (in primis, Milton Friedman) i manager avevano come imperativo categorico la traduzione pratica del motto "prima gli azionisti". A tutti i costi: di fronte a un calo dei consumi o dei profitti, non hanno esitato a tagliare personale, spostarsi dove si pagavano meno tasse, o dove le norme anti-inquinamento erano meno rigide.
Ora, sostiene il documento approvato falla “tavolta rotonda degli affari”, scelte di questo tipo non sono più un vantaggio, ma si stanno trasformando in elementi negativi e a lungo andare danneggiano il business. Un cambio di rotta senza precedenti a questi livelli e narrata in questi termini. Ma il dibattito iniziato a livello di fondi etici e finanza sostenbile si sta allargando anche agli investitori più tradizionali, invertendo i rapporti di forza. "La società devono proteggere l'ambiente e trattare i dipendenti con "dignità e rispetto", si legge nel documento così come lo riporta il Financial Times.
Il quotidiano britannico mette, giustamente, l'accento sul fatto che l'iniziativa dei "duecento" può essere letta come una risposta politica alla crescita dei movimenti populisti e sovranisti che hanno attecchiti puntando sul fatto che i governi hanno lasciato mano libera alle aziende a discapito delle condizioni sociali e ambientali. Ecco perché viene definito “capitalismo inclusivo”, perché si occupa di interagire con tutti coloro che in qualche modo vengono coinvolti nell'attività di una grande gruppo.
Allo stesso modo, il Financial Times sottolinea come il documento di "The Roundtable Business" sia una mossa politica per lanciare un messaggio ai candidati più radicali del Partito Democratico, da Elizabeth Warren a Bernie Sandres, che stanno conducanedo una campagna attaccando le multinazionali come macchine di profitti, che guardano solo ai soci e non alle ricadute sociali delle loro scelte. E in qualche modo proporsi per cambiare le regole assieme ai politici che domani potrebbero essere alla Casa Bianca, invece di subirne le scelte. Lo stesso Jeremy Corbyn si è aggiudicato la leadreship dei Laburisti nel Regno Uniti proponendo nuove regole per le imprese e le finanza.
Del resto, fu proprio Larry Fink, il numero uno di BlackRock, il più grande fondo di investimento del mondo, a chiedere alle grandi multinazionali giusto un anno fa di impegnarsi di più sul tema delle ricadute sociali e guardare meno alla creazione di valore per gli azionisti. E di recente, sempre "The Roundtable Business" ha chiesto alla Sec (la Consob americana) di introdurre limiti per arginare le pressioni degli azionisti – a cominciare dai fondi attivisti – che portano a iniziative che guardano esclusivamente alla creazione di profitti, senza preoccuparsi delle conseguenze. Ora, però, devono dimsostrare che non sia solo una mossa politica, ma allargare il "tavolo" ai governi per cambiare veramente le regole.
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