Politica

Prevenire il disastro

di Franco Bomprezzi

Temo moltissimo queste settimane d’agosto. Non è la prima volta che le peggiori decisioni politiche ed economiche vengono prese quando i cittadini non sono in condizione neppure di protestare. Non perché siano tutti al mare o in montagna, o nelle isole tropicali. Anzi. Ma perché in agosto si è comunque soli e dispersi: anche le associazioni di tutela delle famiglie e delle persone con disabilità chiudono le sedi, per assicurare almeno le ferie a quelle poche persone che, con stipendi assai bassi, garantiscono durante l’anno i tanti servizi di informazione e di tutela che vengono messi quotidianamente in discussione.

Non sono un economista, e in questi giorni mi spiace davvero di aver studiato poco i numeri, di non essere in grado di argomentare in modo tecnicamente accettabile di fronte alle tante stupidaggini che leggo sui giornali e ascolto alla radio e in televisione. Non mi ero mai occupato abbastanza dello spread, anche se devo fare i conti con l’Euribor, per monitorare il tasso variabile del mio mutuo per la casa (accessibile) che finirò di pagare – almeno spero – fra tre anni. Mi muovo faticosamente fra tassi d’interesse, bond, btp, pil, downgrade, e quant’altro. Ma quando sui giornali si esagera nel tirare fuori sigle e parametri monetari sento una inconfondibile puzza di fregatura.

Se ho capito bene il nostro Governo (?) sta per assestare una nuova legnata ai bilanci delle famiglie, sotto forma di riduzione delle agevolazioni fiscali, di stretta previdenziale, di innalzamento (forse) dell’età pensionabile per le donne, e soprattutto riducendo i servizi sociali pubblici per i quali attualmente è prevista una erogazione gratuita o a bassa partecipazione di costo. Si parla, in modo oserei dire grottesco, di ritorno alle liberalizzazioni, si ipotizzano cessioni di patrimonio pubblico (ma chi lo comprerà mai?), si pensa ad esempio di affidare al privato sociale nientemeno che il servizio di integrazione scolastica (che è già ridotto ai minimi termini).

Nel frattempo l’Inps continua a spremere il mondo degli invalidi civili: l’ultima circolare annuncia in modo autonomo (non sembra essere una decisione del Governo, ma una semplice determinazione dell’Inps) che sospenderà l’erogazione di pensione e indennità di accompagnamento a chi non ha risposto alla raccomandata delle Poste che invitava alla visita di controllo. Una decisione a dir poco rischiosa, sapendo come funzionano le Poste in Italia, da Nord a Sud. Una decisione che quasi inevitabilmente colpirà nel mucchio, provocando ulteriori danni. Eppure ormai dovrebbe essere chiaro il fallimento della grande manovra di controlli a tappeto: i pochi “veri falsi invalidi” sono sempre stati trovati non dall’Inps, ma dalle forze di Polizia e dalla magistratura, perché si tratta di truffatori, che si nascondono grazie a medici compiacenti, loro sì da punire in modo esemplare, il che – posso essere smentito – non mi risulta sia ancora accaduto.

Ma il punto che più mi sta a cuore, in questo agosto piovoso (a Milano) è un altro: come possiamo immaginare una ripresa economica del Paese se si continua a deprimere la capacità di spesa delle famiglie a reddito medio-basso, ossia la stragrande maggioranza delle famiglie italiane? Come possiamo pensare di costruire il risanamento della spesa pubblica facendolo pagare, in termini monetari, fiscali e di servizi negati, sempre e soltanto alle famiglie più deboli? Possibile che nessuno, tra le grandi firme degli economisti italiani, si accorga del grande inganno che sta alla base della manovra messa in moto da Tremonti, assecondata dalla Lega, gradita nella sua sostanza anche da Berlusconi (dal momento che non si toccano i redditi alti e neppure la “cricca” dei grandi appalti pubblici e privati)?

E’ facile immaginare che a settembre si scatenerà la caccia ai voucher, agli assegni sociali, agli interventi a pioggia, alle provvidenze compassionevoli, al solidarismo peloso di chi da un lato toglie e dall’altro restituisce in minima parte. Sarà di nuovo guerra tra poveri, quasi inevitabilmente. Anche perché il terzo settore non è stato messo sinora in condizione di svolgere neppure quel ruolo di autentica sussidiarietà, previsto dalla Costituzione, che non è sostituzione del servizio pubblico, ma contributo attivo al welfare, per renderlo più efficiente e vicino agli effettivi bisogni dei cittadini. Stiamo per pagare tutto in una volta un prezzo altissimo, e non vedo chi possa impedirlo, dal momento che non sembrano delinearsi alternative credibili rispetto alla politica (?) di questo Governo, ormai diretto in modo notarile dai mercati e dall’Europa, che entra nel merito delle nostre scelte di riforma, ovviamente non avendone la competenza, e neppure la conoscenza sociale (non bastano, secondo me, i parametri di bilancio, freddi e asettici, per definire la correttezza dei conti di una nazione).

Parlare, come fa l’Europa, di “riforma strutturale del welfare” mi fa accapponare la pelle. Non so perché, ma ho la sensazione che mai come adesso ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio, un sussulto di dignità e di fermezza, da parte di tutti coloro – e sono tanti – che non ci stanno a vanificare almeno vent’anni di riforme nel segno dell’inclusione sociale e dei diritti di cittadinanza. L’intera legislazione italiana in materia di disabilità, ad esempio, rischia concretamente di finire nel tritacarne della macelleria sociale. E forse non se ne rende del tutto conto neppure il presidente Napolitano.

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