Formazione

Presentato il Rapporto sull’ immigrazione della Cgil

"I sindacati confederali in Italia sono uniti nella lotta al razzismo e alle discriminazioni sui posti di lavoro" ha detto il presidente dell'Ires Agostino Megale

di Redazione

”I sindacati confederali in Italia possono non sedere insieme al tavolo delle trattative, ma non si divideranno mai nella lotta al razzismo e alle discriminazioni sui posti di lavoro”. Lo ha detto il presidente dell’Ires (l’Istituto di ricerca della Cgil), Agostino Megale, oggi durante la presentazione del II0 Rapporto sull’ immigrazione. Dall’indagine emerge che l’Italia, che oggi conta un immigrato ogni 35 abitanti e’ uno dei quattro paesi Europei in cui la presenza extracomunitaria supera il milione di residenti. Una cifra ancora lontana dal rapporto presente in altri grandi paesi europei quali la Francia e la Gran Bretagna (uno ogni 15) o la Germania (uno ogni 10). In Italia si conta il 2,6% di stranieri, contro una media del 5,1% nel resto dell’Ue. Gli 110.575 immigrati occupati sono impiegati nel settore manifatturiero (23%), turismo e ristorazione (16%), agro-industria e costruzioni (10%) e commercio (6%). Il 60% dei nuovi assunti stranieri, nel corso del biennio considerato (2000-2002), si sono inseriti in imprese di dimensioni inferiori ai 50 dipendenti. I flussi continuano ad indirizzarsi verso alcune aree nord-occidentali (in Piemonte, negli ultimi due anni, i nuovi assunti stranieri sono stati il 9% circa del totale; in Lombardia l’ 11% circa), ma soprattutto del nord-est, dove tale valore medio raggiunge il 13% e appare in forte crescita, e in aree toscane, marchigiane ed umbre caratterizzate da una spiccata e tradizionale presenza di piccole e medie imprese. Una incidenza media decisamente bassa sul totale delle assunzioni sembra invece caratterizzare la situazione del Mezzogiorno e delle Isole. Sono 536.604 i lavoratori, regolari sia sotto il profilo del permesso di soggiorno che dei contributi previdenziali. Il lavoro dipendente sommerso, secondo il Rapporto Ires, interessa sia soggetti in possesso di permesso di soggiorno, sia (in misura minoritaria ma probabilmente crescente) lavoratori entrati clandestinamente (15%) o ai quali il permesso e’ scaduto (85%). Di coloro a cui e’ scaduto il permesso, e’ plausibile ritenere che una quota rilevante sia composta da soggetti che, approssimandosi la data del rinnovo del permesso, si sono trovati di fronte all’alternativa tra mantenere un posto di lavoro relativamente consolidato ma in nero, oppure presentarsi in Questura, correndo cosi’ il rischio di rifiuto del rinnovo perche’ non in grado di certificare la propria condizione di occupati. Le posizioni di lavoro irregolare risultano collocate nei servizi (in misura vicina al 70%), e in misura minore in agricoltura e nell’industria con particolare riferimento all’edilizia (rispettivamente il 14% e il 16% circa). Il 77% degli avviamenti al lavoro degli immigrati e’ avvenuto per vie informali e/o grazie alla capacita’ d’ iniziativa dei lavoratori stessi. In particolare il 34% ha trovato lavoro attraverso amici o conoscenti immigrati, il 32% presentandosi direttamente al datore di lavoro e l’11% attraverso amici o conoscenti italiani. Solo nel 16% dei casi e’ avvenuto tramite il collocamento o un’agenzia per l’impiego, oppure al termine di un percorso di formazione. Il residuo 7% circa, infine, e’ avvenuto tramite un sindacato o un’associazione di volontariato. Dal Rapporto emerge che all’innalzarsi del livello di scolarizzazione si accompagna una diminuzione del ricorso a rapporti con altri immigrati per la ricerca di lavoro, e un deciso ampliamento del ventaglio di modalita’ e canali praticati (agenzie, sindacato, formazione professionale, risposta ad annunci). Circa il 70% degli immigrati e’ stato assunto, nell’ordine, con contratto a tempo determinato a full time, stagionale, di formazione lavoro, di apprendistato, oppure. in nero. Qui il dato piu’ significativo e’ quello che registra l’attuale posizione contrattuale dei medesimi intervistati, cioh il passaggio dal 30% circa al 65% circa di coloro che oggi sono in possesso di un contratto a tempo indeterminato a full time (il part time risulta interessare, in questo caso, solo le donne, le cui posizioni per altro sono anche caratterizzate in generale da maggiore precariet` nel tempo). E’ dunque evidente il consolidamento sul piano contrattuale verso forme di maggiore stabilita’; processo che, secondo la Cgil, inoltre si presenta relativamente rapido. L’88% degli immigrati e’ stato assunto con la qualifica di operaio comune (o assimilabile). Su questa modalita’ di accesso ai mercati interni delle imprese non sembrano influire ne’ il settore o le dimensioni aziendali, ne’ variabili soggettive quali – ad esempio – l’eta’ anagrafica o le esperienze lavorative precedenti. Soltanto il titolo di studio sembra contare: infatti la quota di operai comuni, all’ atto dell’assunzione, risulta piu’ bassa tra coloro che si collocano ai livelli medi o superiori di istruzione. Tra questi ultimi non soltanto cresce quella dei qualificati e specializzati, ma sono compresi i rari casi di quadri tecnici e di impiegati. u un totale di 350 Ccnl solo 30 prevedono la tutela del lavoratore immigrato. Le associazioni datoriali firmatarie sono state quelle delle piccole imprese, dell’artigianato e della cooperazione, mentre le presenze della grande impresa risultano presenti in misura assolutamente sporadica. Meno dell’1% degli accordi aziendali tratta materie inerenti alla condizione lavorativa e/o sociale della forza-lavoro immigrata. Su un campione di 200 accordi territoriali in vigore, 16 trattano materie relative al lavoro degli immigrati. Gli immigrati iscritti alle tre principali confederazioni erano, nello scorso settembre, 237.000, cosi’ distribuiti: Cisl 106.000, Cgil 99.600 e Uil 31.400. Le federazioni di categoria alle quali in base ai dati disponibili continua ad essere iscritta la maggioranza degli immigrati sono: edili (21%), metalmeccanici (20%), commercio/servizi (12%), altri settori (33%).


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