Sport

Premier league, tra sceicchi e impegno sociale

Il campionato inglese oggi è il più bello del mondo, come accadeva in casa nostra ai tempi di Platini e Maradona. Merito sì degli ingaggi favolosi elargiti dai proprietari dei club, ma anche di una grande capacità organizzativa. Sulla scorta del nuovo numero di VITA dedicato allo sport, con Stefano D’Errico della Chelsea Fc foundation, andiamo a scoprire una faccia meno nota di questo mondo

di Nicola Varcasia

Stefano D’Errico si trova a Londra, dove ha appena raggiunto la sua squadra, il Chelsea, volata qualche giorno fa negli Stati Uniti per la Premier league summer series, una tourneé nel nuovo continente organizzata per la prima volta dalla massima Lega inglese. I suoi gol non li segna nel perimetro di gioco, ma in quello, ben più largo della responsabilità sociale. Il suo ruolo è infatti quello di senior schools education officer presso la Chelsea Fc foundation, l’organizzazione non profit che cura le iniziative di stampo sociale promosse dal team. Proprio con D’Errico, che è anche co-founder di Community soccer report, un osservatorio dedicato alla corporate social responsibility del calcio italiano, VITA ha collaborato per assegnare il primo Scudetto della Csr, che trovate nel nuovo numero appena uscito. In virtù di questa sua “doppia cittadinanza” gli abbiamo chiesto di raccontarci il modello Premier league.

Cominciamo dai numeri

Parliamo di oltre 100mila giovani coinvolti all’anno, di 18.500 scuole elementari coinvolte in programmi educativi e di circa 6.200 persone che lavorano per le organizzazioni comunitarie a disposizione dei club professionistici inglesi, quali la Chelsea FC Foundation, l’Arsenal in the community e altre.

C’è un calcolo su quanto viene donato al territorio annualmente?

La cifra si aggira intorno ai 35 milioni di sterline elargiti ogni anno per progetti di responsabilità sociale: sono soldi che provengono direttamente dalla Premier, da altre organizzazioni partner e istituzioni. I Club attivamente coinvolti sono quasi un centinaio: non solo le squadre della Premier league possono accedere a questi programmi, ma anche quelli delle serie minori professionistiche. Il concetto di fondo espresso dal movimento calcistico inglese è quello di fare sistema: tra i pilastri della strategia di sviluppo della Premier a livello globale è presente anche l’impegno per la community.

Si può fare un paragone con la Serie A?

Già il fatto di avere dei dati complessivi a disposizione marca una certa differenza. Significa che qualcuno si è occupato di raccoglierli e raccontarli. Come abbiamo visto analizzando le attività delle grandi squadre di Serie A, la reportistica sulle iniziative sociali è ancora merce piuttosto rara e a livello di Lega il tavolo dei progetti comuni è più formale che altro.

Non c’è proprio nulla da salvare?

Affatto. Oltre alle eccellenze date da alcune delle squadre di vertice, che hanno maturato una progettualità a medio e lungo termine e, conseguentemente, si sono strutturate anche con figure dedicate alla Csr, ci sono tanti club che hanno sviluppato un legame con il territorio molto forte e radicato e si fanno carico di molteplici iniziative.

E a livello di sistema?

Anche la nostra Serie A porta avanti delle campagne molto interessanti, ne è un esempio quella contro il razzismo. Il punto è che non si va oltre la sensibilizzazione. La differenza sostanziale è proprio questa: in Inghilterra, le squadre, supportate anche economicamente dalla Lega, realizzano in prima persona, attraverso le loro organizzazioni, dei progetti, collaborando con il territorio. In Italia questo non accade e l’iniziativa è lasciata agli sforzi individuali – in gran parte dei casi lodevoli – di ciascun club. Oltretutto, in Inghilterra questo è facilitato anche dalla presenza di veicoli dedicati – la Premier league charitable fund, ma anche le serie minori ne hanno una a disposizione – che aiutano a coordinare e indirizzare il lavoro di tutti in numerosi ambiti.

La tourneé negli Stati uniti è un esempio di cosa significhi fare sistema?

Sì, il tour dura due settimane. La prima ha l’obiettivo di ricreare il modello Premier in America, con la partecipazione di sei squadre, che giocheranno negli stadi di vari stati della Costa est. L’idea è di esportare il modello Premier in toto, non solo semplicemente con le partite, che ovviamente restano l’attrazione principale, ma mostrando tutto quello che vi gravita intorno, tra cui l’impegno sociale sia della Lega in quanto tale sia dei programmi proposti dai singoli club.

Lei cosa fara?

Lavoreremo con le comunità locali, ad esempio in scuole, centri giovanili o altre organizzazioni del territorio, coinvolgendo in particolare bambini e ragazzi in attività legate al mondo dei programmi educativi e sportivi della Premier league.

Nella seconda settimana?

Il lavoro proseguirà con le attività che normalmente il club svolge attraverso le attività internazionali della Chelsea foundation.

Tornando all’Italia, quando uscirà il prossimo Csr report sulla Serie A?

Indicativamente entro la fine dell’anno. Bisogna tenere d’occhio due neopromosse, Cagliari e Genoa, che hanno una storia interessante nel loro rapporto con il territorio. E altre compagini stanno sfruttando le novità regolamentari imposte dalla Uefa per strutturarsi in maniera sempre più convincente. In un’ipotetica classifica del Campionato Csr 23-24 potrebbero esserci delle sorprese.


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