È in forma Cesare Prandelli. Felicissimo di poter trascorrere il sabato pomeriggio nell’
oratorio di Orzinuovi, dove tirava i primi calci da bambino. Tra un ricordo d’infanzia e l’altro, però, ha ritenuto opportuno affrontare anche argomenti molto più concreti. Ad esempio
ha detto la sua sulla proposta di legge portata avanti dai deputati Filippo Fossati e Bruno Molea, per dare finalmente un ordine alla “galassia” degli sport di base. Il Mister non ha dubbi: «
L’auspicio è che venga approvata in tempi rapidi, fondamentale che non si perda più tempo». Il suo collega e amico
Emiliano Mondonico, accanto a lui, ci ha messo pure una puntina polemica che non guasta: «
Fatta la legge trovato l’inganno, certamente il progetto è fattibile ma facciamo in modo che il risultato complessivo non dia adito a fregature». Durante la chiacchierata coi giornalisti –la cornice era la presentazione della
seconda edizione della “Junior Tim Cup – Il calcio negli Oratori”, organizzata da CSI, TIM e Lega Serie A– Prandelli ha dato una risposta chiara e netta anche su altri temi –ad esempio lo
ius soli sportivo, la lotta contro le dipendenze. Laddove la politica temporeggia, il ct della Nazionale suggerisce di darsi una mossa, senza se e senza ma. A proposito dell’hashtag del torneo
#ilbulloèunapalla, è convinto che ci voglia davvero poco per abbassare la cresta ai palloni gonfiati: «Con
Don Vanni, il prete che mi ha formato qui in paese, vi posso garantire che i bulli avevano vita brevissima».
La proposta di legge sugli sport di base, portata avanti dai deputati Fossati e Molea, si muove sulla giusta direzione?
«Certamente è un buon segnale. L’auspicio è che la legge venga approvata in tempi rapidi. Io sono ottimista di natura, però ho la sensazione che i tempi non saranno rapidissimi. Sono anni che sentiamo questo tipo di proposte , purtroppo le lungaggini burocratiche hanno sempre dato l’alt a occasioni importanti. Quindi di fronte a me vedo grande prospettive, ma vorrei capire quando questo mio sogno si avvererà»
Che sensazione provi quando torni nel tuo oratorio?
«Tutte le volte che torno qui a casa mi ritorna in mente l’immagine di una persona che per me, e per tanti altri ragazzi, è stata fondamentale: Don Vanni, figura che ci ha educato e ci ha lasciato un’impronta profonda. In oratorio si cresce, e quando poi cominci ad affrontare la vita là fuori ti accorgi di aver vissuto un’esperienza essenziale. Don Vanni, per dirne una, già allora dava i cartellini gialli e rossi. In questo modo potevi entrare all’oratorio solo comportandoti bene. Dava tanto e pretendeva tanto: un binomio fantastico, ecco perché ancora oggi lo considero una persona mitica»
Don Vanni ti ha mai ammonito?
«Sì ho preso un cartellino giallo clamoroso. Ero un lupetto e stavo diventando scout, ma mi piaceva già allora giocare a calcio, quindi quando c’era la partita del sabato per me era un momento esaltante. Un bel giorno mi fa: “Insomma tu non puoi far tutto, deciditi o il calcio o gli scout. Per punizione ora stai fuori una settimana”. Poi ha capito la mia passione, ha compreso che lo sport per me era vita, sarebbe stata una violenza impedirmi di scendere in campo. Insomma quello che voglio farvi capire è che l’oratorio io l’ho vissuto proprio fisicamente, ce l’ho ancora sulla pelle»
Cosa ne pensi del “Servizio Civile Sportivo” per i campioni già affermati?
«Io penso –anzi, ne sono certo- che molti ragazzi abbiano mantenuto il rapporto col proprio oratorio. Il lunedì –non voglio fare nomi, perché stiamo parlando di scelte molto personali- tanti di loro vanno a giocare coi ragazzi. Sono convinto che non debba diventare un obbligo, perché le imposizioni fanno sempre male»
Il calcio in oratorio serve anche a migliorare la tecnica?
«Per quanto riguarda la tecnica posso confermare che l’oratorio è il posto migliore. Quando giocavo c’era un campo in cui, con la pioggia, si formavano delle buche; poi ti capitava di fare spesso l’uno-due col muro o con gli alberi che facevano da recinto. Quindi sì, sicuramente l’oratorio è il luogo ideale per perfezionare il gioco. Però c’è un elemento ancora più importante: è un posto in cui i più giovani capiscono che ci sono delle scelte da fare. Quando capitava di venire sostituiti da un altro ragazzo nessuno di noi se la prendeva a male: ci rendevamo conto dei nostri limiti, comprendevamo che era un diritto del più anziano scegliere i giocatori più bravi. La verità sapete qual è? In passato si diceva “giocatore da oratorio” in senso spregiativo, ma negli ultimi anni gli atleti più in gamba vai a cercarli proprio negli oratori»
Lo ius soli sportivo è fattibile in tempi brevi?
«Mi auguro proprio di sì. Il presidente Malagò si è espresso chiaramente su questo punto, è un dovere della Federazione Calcio seguire le sue indicazioni. Anche perché siamo molto in ritardo rispetto ad esempio alla Federazione del Cricket e del Rugby»
I bambini nelle curve chiuse per squalifica: è una buona idea?
«È un’ottima idea: i bambini stemperano le tensioni, può sembrare strano ma in un contesto simile “disciplinano” i genitori, restituiscono la dimensione ludica che deve essere propria del calcio. Già in passato avevamo lanciato questa proposta, poi le solite lungaggini burocratiche hanno fermato il tutto. Ora mi sembra che ci siamo».
Il tuo sogno da bambino?
«Da bambino non mi vedevo professionista, sognavo di avere sempre la grande passione. L’incubo peggiore in quegli anni lì era “tra tre giorni non giocherò più a calcio”. Quella sì era un’ipotesi che mi impensieriva molto»
Per la prima volta il mondo dello sport si sta muovendo con serietà contro tutte le dipendenze
«Era ora, perché qualunque forma di dipendenza crea problemi. A questo riguardo ho un ricordo personale. Avrò avuto quattordici anni. Passano due ragazzi e mi domandano: “Vuoi fumare l’afghano?”. Ecco, lì ho capito che ci sono delle situazioni dove, con tutta la buona volontà, fatichi a mettere mano. Loro non capivano il mio mondo, io non capivo il loro. La verità è che la passione sana mette allegria, coinvolge tutti: quando le passioni diventano dipendenze allora sì diventa un problema. Però vanno affrontate: devo dire che si sta lavorando molto dal punto di vista del dibattito, prima si tendeva a nascondere. Perché tutti i ragazzi pensano di essere eroi invincibili, invece non sanno quanta fragilità si nasconde nel profondo del loro animo. Il bullismo è figlio di questa fragilità: per questo gli educatori sono fondamentali, capiscono se il ragazzo è prepotente. Lo slogan di questo torneo, #il bulloèunapalla è azzeccatissimo: la palla si può sgonfiare facilmente, il bullo lo sgonfi con uno spillo»
Hai trasformato Coverciano in un oratorio?
«Ovviamente sono situazioni diverse. Però sicuramente porti in Nazionale le tue esperienze, il tuo vissuto. Per chi faceva il bullo con Don Vanni erano dolori: non potevano esserci clamorosi atti di bullismo perché c’era un educatore, uno che osservava e puniva se necessario»
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