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Prandelli: «Quanta avidità nei nostri giocatori»
Dalla biografia, 5 idee del ct per un calcio “migliore”
Al via contro la Spagna i campionati Europei più tormentati della nazionale Azzurra. Partita per l’appuntamento internazionale proprio nel mezzo dell’ennesimo enorme scandalo scommesse, che ne ha messo addirittura in forse la partecipazione. «Possiamo anche non andare», ha dichiarato il ct Cesare Prandelli alla vigilia della partenza, dando una scossa al sistema. Un’affermazione che ha rimbombato negli spogliatori e soprattutto fuori, ma che non avrebbe dovuto sorprendere: Cesare Prandelli, oltre ad aver introdotto in Nazionale il codice etico dei calciatori, è infatti l’autore – in tempi non sospetti- del libro “Il calcio fa bene”, edito da Giunti. Dove, di pagina in pagina, traccia una rotta che potrebbe portare a un calcio un pochino migliore. Ecco qualche spunto del Prandelli-pensiero preso direttamente dal libro. Idee su cui si potrebbe meditare, tra una partita e l’altra…
Passione e fantasia.
«Se fin da bambini abituiamo i ragazzi a usare scarpe perfette, il terreno di gioco perfetto, quel ragazzo non tirerà mai fuori la fantasia. Se invece giochi sotto un pino e c’è la radice che fa rimbalzare male il pallone, devi essere rapido e veloce a controllare la palla. Poi magari il pallone non è perfetto, un giorno è più sgonfio, un atro è troppo leggero. E allora lì viene fuori l’istinto. Per me questo è il calcio dei bambini, dei ragazzi. Quello che ho giocato io. Se oggi quel modello non è più proponibile, bisogna che gli allenatori riconoscano l’importanza della fantasia. È quanto secondo me che fa la differenza in una scuola calcio. Passione e fantasia. Fantasia e passione».
Faccio il calciatore così divento ricco.
«Questo è uno dei falsi miti che intaccano la passione. Ci sono tanti calciatori che arrivano in serie A e come unico obiettivo hanno il contratto. La passione un tempo l’hanno conosciuta ma poi l’avidità e il desiderio di gloria hanno avuto la meglio. A questi giocatori interessa solo il benessere, inutile sperare di ottenere grandi risultati da loro. Sta tutta qui la differenza fra loro e i giocatori veri. Affidabili, responsabili, rispettosi. Gli altri sono soltanto dei grandi talenti, troppo fragili per essere affidabili».
Straordinaria capacità di aggregazione.
«Naturalmente tutti vogliono vincere, magari durante la partita nascono forti contrasti con gli avversari perché non ci sta a perdere, però quando l’arbitro fischia la fine dovrebbe esserci un abbraccio. Purtroppo nel calcio di oggi questo non accade. Ecco perché dobbiamo fare in modo che torni a essere passione e divertimento come ai tempi dell’oratorio. Genitori, allenatori, dirigenti sportivi occorre lavorare tutti insieme per liberare questo nobile sport dalla tensioni, dalle forzature. Lasciamo che emergano l’aspetto culturale del calcio, la sua straordinaria capacità di favorire l’aggregazione sociale. Servirà a tutti i ragazzi, agli addetti ai lavori, ai genitori. E ai tifosi e ai calciatori».
Il pressing dei genitori.
«I ragazzi crescono smarriti, perdono serenità davanti al pressing dei genitori. Egoismo travestito da amore. Mi dispiace dirlo, ma la famiglia che investe nel futuro calcistico del figlio è molto pericolosa. I ragazzi per diventare grandi hanno bisogno di sciogliere le redini e di galoppare liberi. Sbagliando, certo. Lavorando, sudando. Soprattutto divertendosi incuranti delle classifiche. Ho incontrato genitori che si sono licenziati dal lavoro per seguire il figlio, certi che sarebbe diventato un campione. Obbligandolo a seguire un sogno non suo e rischiando di creare fatture insanabili all’interno della famiglia. Mia madre non è mai venuta alle mie partite, mio padre qualche volta. Vorrei altrettanto. Perché quando un ragazzino vede in tribuna i genitori che litigano, e oggi purtroppo capita spesso, soffre davvero».
Codice etico della Nazionale.
«Il nuovo calcio, lo sport pulito, bello appassionato che ho conosciuto e praticato riparte dalla cultura calcistica. Ho riflettuto su questo insieme ai dirigenti federali e alla fine mi sono sentito in dovere di introdurre il codice etico per i giocatori della Nazionale. In una società normale – parlo di società civile – non ce ne sarebbe bisogno. Per come sono fatto, è stata una scelta naturale. Chi arriva in nazionale, chi rappresenta l’Italia, chi indossa la maglia azzurra, ha il compito di mantenere lo stesso tipo di stile, di comportamento di immagine anche nel suo club. Se un giocatore della Nazionale si comporta in maniera sbagliata deve sapere che non sarà convocato. Le regole sono necessarie, indispensabili. Il codice etico in un Paese normale, in una squadra normale esiste da sempre. Forse noi, nel tempo, lo avevamo perso ed era giusto recuperarlo».
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